La geografia come radice della guerra?

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“La geopolitica è tornata, e torna con una vendetta, dopo questa vacanza dalla storia che abbiamo preso nel cosiddetto periodo post-guerra fredda”, ha avvertito il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti McMaster nel 2017 e io non posso che essere pienamente d’accordo con lui.

Dovrei iniziare a scrivere questa riflessione invogliando il lettore a riflettere sulla conformazione geografica della Russia, solo così si è in grado, forse, di capire certe storiche dinamiche. La Russia, dall’800 in poi, momento in cui noi occidentali abbiamo imparato a conoscerla meglio, appare circondata da un anello di montagne e di ghiaccio; il confine con la Cina è protetto da catene montuose ed è separato dall’Iran e dalla Turchia dal Caucusus. 

Tra la Russia e l’Europa occidentale si trovano i Balcani, i Carpazi e le Alpi, che formano un altro muro. A nord di quelle montagne, invece abbiamo il nulla: un corridoio piatto – la Grande Pianura Europea – che collega la Russia ai suoi vicini occidentali ben armati attraverso quella porta di ingresso in cui si trovano Ucraina e Polonia. Su questo enorme corridoio, paradossalmente, si può  andare tranquillamente in bicicletta da Parigi a Mosca, oppure si può anche guidare un carro armato. 

La Russia ha un’enorme lacuna: non ha difese naturali e questo l’ha ripetutamente esposta agli attacchi. L’unico modo che la Russia ha storicamente, da sempre, per difendere il proprio confine europeo è quello di controllare le pianure a ovest. In questo contesto analitico e geografico dei fatti, quando Putin si è reso conto che non poteva più controllare l’Ucraina, con la rivoluzione di piazza Maidan del 2014, la guerra, altro non è stata, che la logica e diretta conseguenza.

Il concetto appena espresso ha un tipico nome: geopolitica. Sebbene il termine sia spesso usato in modo approssimativo per indicare “relazioni internazionali”, si riferisce più precisamente all’idea che la geografia – montagne, ponti terrestri, falde acquifere – governi gli affari mondiali. Le idee, le leggi e la cultura sono interessanti, sostengono i geopolitici, ma per capire veramente la politica devi guardare attentamente le mappe. 

Quando lo fai, il mondo si rivela una gara a somma zero in cui ogni vicino rappresenta un potenziale rivale e il successo dipende dal controllo del territorio, come quando si gioca a Risiko. Nella visione cinica delle motivazioni umane, la geopolitica assomiglia molto al marxismo, solo che la topografia sostituisce la lotta di classe come motore dell’azione.

La geopolitica assomiglia anche al marxismo in quanto molti ne avevano predetto la morte negli anni ’90, con la fine della guerra fredda. L’espansione dei mercati e l’esplosione di nuove tecnologie promettevano di rendere obsoleta la geografia. Chi se ne frega di controllare lo stretto di Malacca – o il porto di Odessa – quando i mari sono pieni di navi portacontainer e le informazioni rimbalzano dai satelliti? “Il mondo è piatto”, dichiarò nel 2005 il giornalista Thomas Friedman. Era una metafora appropriata della globalizzazione: merci, idee e persone scivolavano agevolmente oltre i confini.

Eppure oggi il mondo sembra meno piatto . Mentre le catene di approvvigionamento si spezzano e il commercio globale vacilla, il terreno del pianeta sembra più scosceso che privo di attriti. 

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