Le relazioni tra la Cina, l’India e il Pakistan – caratterizzate da una vincolante triangolarità – possono essere considerate realmente “stabili”?
Premessa e cenni storici:
Prima di addentrarci nel calcolo della stabilità e delle ragioni – e se queste siano o meno sufficienti -che determinano l’equilibrio delle triangolari relazioni tra la Cina, l’India e il Pakistan, risulta necessario fare una doverosa premessa. Questa consiste nel principio di dover prendere consapevolezza fin da subito del fatto che è impensabile, ma soprattutto incompleto da un punto di vista euristico, analizzare una delle tre relazioni di tipo diadico (India-Cina; Cina-Pakistan; India-Pakistan), senza tenere in considerazione il terzo stato-elemento, a turno escluso nel processo di analisi e focalizzazione stabilito.
Detto ciò, al fine di rendere più comprensibile il contesto, urge ripassare da tre tappe del processo storico che hanno contribuito drasticamente a rendere tali le relazioni di questo immenso triangolo del Centrosud asiatico. Per quanto riguarda i rapporti sino-indiani, l’anno da ricordare è sicuramente il 1962, anno in cui si svolse una breve ma intensa guerra di confine – seppur all’ora ancora incerto – al termine della quale venne stabilito de facto una linea di demarcazione, la quale prese il nome di Line of Actual Control (LAC).
Appena un anno dopo il Pakistan, che nel frattempo si era staccato dall’India nell’agosto del 1947 – distacco non scevro da effetti nefasti -, decise di riconoscere la sovranità cinese sul tratto del Trans-Karakorum, un’area dello Xinjiang ricompresa nella regione del Kashmir. Questa cessione è di grande importanza poiché non venne riconosciuta dall’India – che tutt’ora rivendica l’intera zona del Kashmir come rientrante nella propria area di sovranità – sancendo di fatto l’inizio della triangolarità relazionale dei tre paesi. Al 1971 – otto anni dopo – risale invece un’altra linea de facto, la Line of Control (LOC), la quale divide le zone del Kashmir controllate dall’India da quelle controllate dal Pakistan.
Tale linea venne stabilita in sede di accordi conclusisi al termine della guerra indo-pakistana di quell’anno[1], la terza che ha visto coinvolti i due stati. A partire da questi tre eventi è possibile perseguire una linea narrativa caratterizzata da alcuni leitmotiv: un costante clima di tensioni tra la Cina e l’India e tra quest’ultima e il Pakistan mentre, nei rapporti tra i due estremi del triangolo si notò, già a partire dal 1965[2], una stretta collaborazione e un crescente desiderio di rendere quest’ultima foriera di una vera e propria alleanza.
La centralita’ dell’Afghanistan:
La principale svolta – o zeitenwende per dirla alla O. Scholz – nei rapporti trilaterali in analisi la si ebbe in seguito al 9/11. Questo sostanzialmente per due ragioni: da una parte mise in discussione delle alleanze, rafforzandone altre; dall’altra, invece, il tragico evento rese evidente la centralità dell’Afghanistan e degli elementi geoeconomici ad esso correlati. Riguardo al primo punto, il 9/11 pose il primo vero ostacolo alle relazioni sino-pakistane dopo più di un trentennio caratterizzato da un’ampia collaborazione. Questo ostacolo si è concretizzato quando i “feriti” Stati Uniti riallacciarono i rapporti di collaborazione con quello che consideravano il loro principale alleato extra-Nato, il Pakistan.
Questo gelo però non durò che qualche anno. Il parziale allontanamento tra Pechino e Islamabad si interruppe – anche ma non solo – quando l’India decise di percorrere due strade strategiche differenti ma accomunate da un unico obiettivo: indebolire i suoi due rivali regionali. Da un lato, infatti, l’India si diede parecchio da fare per rafforzare i propri legami con gli Stati Uniti; dall’altro, fin dai primi mesi post 9/11, New Dehli spese in favore dell’Afghanistan considerevoli energie – finanziarie e diplomatiche – per una serie di ragioni che sottolineeremo nel corso dell’analisi.
Queste due mosse dell’India scaturirono dalla parte pakistana un sentimento di tradimento – ancora – e di fragilità, portando Islamabad tra le strette braccia di Pechino. Quest’ultimo fu molto lieto di poter tornare nuovamente a far leva sul Pakistan allo scopo di infastidire, seppur con motivazioni distinte, il suo principale rivale regionale – New Delhi – e globale, Washington. La centralità dell’Afghanistan e il desiderio di proteggere la sua sicurezza e stabilità risulta di estrema rilevanza per tutti e tre gli attori coinvolti, e questo sostanzialmente per due motivi: da un punto di vista geografico l’Afghanistan rappresenta la land bridge che collega il sud dell’Asia e il Medio-oriente, passando per il centro del continente.
Dall’altro, strettamente economico, dall’Afghanistan dipendono diversi progetti economici promossi dai tre stati, tra i quali spiccano per investimenti effettuati il CPEC (China-Pakistan Economic Corridor); l’OBOR (One Belt, One Road) e il TAPI (Turkmenistan–Afghanistan–Pakistan–India Pipeline). L’India e la Cina, dunque, cercano di sfruttare l’arma economica per conquistare l’amicizia dell’Afghanistan per il ruolo di porta di accesso al Medio-Oriente – e potenzialmente all’Occidente – da questo ricoperto. Dall’altro lato, il Pakistan – grande sostenitore dei Talebani – tiene parecchio alla stabilità del paese, sia per arrestare il terrorismo che si alimenta lungo il confine tra i due paesi, sia per impedire un qualsiasi rafforzamento dei legami India-Afghanistan, che vedrebbero la prima uscirne molto più potente, potenza poi sfruttabile all’interno delle logiche e delle dinamiche settantennali tra Islamabad e New Dehli.
Si può parlare di equilibrio? Analisi e scenari:
Se volessimo affiancare una figura geometrica alle relazioni che intercorrono tra Cina-India-Pakistan quella sarebbe di certo un triangolo, come già più volte affermato, ma uno di tipo scaleno. Il triangolo scaleno, come risaputo, è contraddistinto dal fatto che i suoi lati, e di conseguenza i suoi angoli, siano tutti diversi. Il triangolo del Sud-Asia, che trova la sua base su una serie di dispute di confine irrisolte, risulta scaleno per una ragione: lo sbilanciamento in termini di potere.
Questa peculiare caratteristica, che vede il Pakistan piazzarsi all’ultimo posto sulla scala del potere (o lato del triangolo più corto se preferiamo) e la Cina al primo, coincide anche con l’elemento che tiene in piedi l’assetto costituitosi. Questo equilibrio però, per quanto duraturo, viene spesso messo in bilico da diversi episodi di battaglie o di provocazioni, dietro le quali si nascondono gli orgogli degli stati – e delle nazioni che ne risiedono dentro i confini – che si ostinano ad accettare la propria posizione di inferiorità, armandosi della convinzione di poterla cambiare.
Di fronte al contesto triangolare di cui parlavamo sopra è lecito chiedersi quali possano essere gli scenari futuri. Partendo dal peggiore, sussiste una piccola probabilità – la quale non può mai essere esclusa del tutto – che in futuro una guerra boots on the ground scoppi e che questa possa svolgersi su due fronti, situazione che vedrebbe l’India incastonata tra due fuochi e costretta a difendersi da più lati. Questo scenario risulta essere il più drastico ma anche – per il momento – il meno probabile, per via del fatto che, soprattutto dal punto di vista cinese, l’interesse si sia spostato più sul monitoraggio della questione taiwanese, del focoso ribelle nordcoreano e sulla sempre più fredda competizione con Washington.
Proseguendo con la nostra analisi, lo scenario migliore – improbabile almeno quanto il precedente – è quello che vedrebbe le tre potenze distendere le proprie relazioni, rendendosi proattive alla risoluzione delle decennali questioni di confine, portando avanti una politica estera basata su un riavvicinamento – politico ed economico – tra i tre paesi. È facile lasciarsi prendere la mano quando ci si addentra nel territorio della speculazione; quindi, cerchiamo di tenere questa opzione nella tasca della utopia geopolitica, se così vogliamo definirla.
In ultimo, e questo è lo scenario più probabile, risulta logico pensare che nel prossimo futuro la situazione non cambi poi molto. Con questo si vuole preannunciare un contesto nel quale la Cina e il Pakistan continuino la propria partnership economica – anche se non priva di rischi da parte del Pakistan – e che questa venga politicizzata dalla prima al fine di isolare il gigante demografico indiano. O ancora, che l’India persegua il suo intento di rafforzare il proprio ruolo di bastione anticinese del sud-asiatico a fianco degli Stati Uniti, riscoprendo al contempo una forte tenacia nel desiderio di ergersi al ruolo di potenza asiatica al centro tra i due mondi, l’estremo oriente e quello arabo.
Insomma, tirando le somme, il triangolo composto tra la Cina, l’India e il Pakistan, tracciato ormai più di settantacinque anni fa, risulta essere caratterizzato da un’estrema complessità che fa sì che sia sostanzialmente impossibile per uno dei tre stati azzardare una qualsiasi azione tattico-strategica pensando che questa non possa avere delle ripercussioni nelle proprie relazioni con uno o entrambi gli stati – o lati del triangolo – co-partecipanti della medesima scacchiera. Ergo, di fronte a questo scenario, non resta che attendere le mosse successive.
[1] La guerra indo-pakistana del 1971 – o terza guerra indo-pakistana – venne combattuta – tra le altre ragioni – per via della nascita e del consolidamento del movimento indipendentista di una vasta regione del Pakistan orientale che, sostenuta dall’esercito indiano, riuscì ad ottenere l’indipendenza e la sovranità. La regione in questione è quella che oggi conosciamo come stato del Bangladesh.
[2] Durante la guerra India-Pakistan 1965, il Pakistan si sentì tradito da una mancanza di un supporto statunitense – che avrebbe dovuto esserci per via dell’accordo/alleanza sancita nel 1954 -, scegliendo di rafforzare le relazioni con la Cina.