Gli Stati Uniti bocciano il “piano di pace” della Cina. Perché?

17 mins read
Fonte Immagine: https://www.bennettinstitute.cam.ac.uk/blog/a-world-divided/

La via diplomatica alla risoluzione della guerra russo-ucraina appare arida. Russi e ucraini non hanno esaurito la volontà e la capacità di combattere. Nessuno dei due belligeranti sembra poter prevalere sul campo con una vittoria militare totale per imporre all’avversario i termini di un accordo di pace per il dopoguerra. Gli Usa scartano la Cina dalla rosa dei possibili mediatori.

Tutto è molto semplice in guerra, ma la cosa più semplice è difficile”.

Carl von Clausewitz, On War, Libro 1, Capitolo 7

Le condizioni per un accordo di sistemazione politico-territoriale non sembrano sussistere, quantomeno nel breve termine, data l’indisponibilità di entrambi i contendenti a scendere a compromessi. 

Il Cremlino continua a dichiararsi disponibile ai negoziati solo se Kiev riconoscerà le “nuove realtà territoriali”, cioè la sovranità russa sulle quattro oblast’ (Donetsk, Luhans’k, Kherson e Zaporižžja) annesse via referenda nell’autunno 2022. Un non starter per Kiev. Di più. Putin ha elevato la guerra al livello esistenziale. In occasione dell’80° anniversario della vittoria nella battaglia di Stalingrado (oggi Volgograd), Vladimir Vladimirovič ha paragonato la guerra/operazione militare speciale in Ucraina alla lotta dell’Urss contro la Germania nazista e ha affermato che il suo paese sta combattendo per difendersi dall’aggressione dell’“Occidente collettivo” (leggi Usa e Nato) in una lotta per la sopravvivenza della Russia (sic!). 

D’altro canto, Volodymyr Zelens’kyj non concepisce un negoziato con Putin, non si fida della parola dell’ex capo dell’Fsb. Sostiene che non vi potrà essere pace finché la Russia non si ritirerà dai confini ucraini riconosciuti a livello internazionale (Crimea compresa) o quantomeno dai territori occupati dal 24 febbraio. Non starter per Mosca.

Il terzo incomodo

Il position paper di 12 punti presentato dal Ministero degli Esteri cinese spicca per cerchiobottismo. Da un lato, si sostiene la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina (punto 1) e si auspica una rapida risoluzione politica delle ostilità (punti 3 e 4); dall’altro si accusa implicitamente Washington di “alimentare il fuoco” e si attribuiscono le cause della guerra alla espansione di “blocchi militari” (leggi Nato) a scapito della sicurezza russa (punto 2) – nella narrazione sinica, in ciò identica a quella russa, sono stati “gli Usa a innescare la miccia che ha portato all’attuale incendio della guerra in Ucraina”, conseguenza dell’allargamento della Nato verso est e del sostegno occidentale alle c.d. “rivoluzioni colorate”, volte a installare governi filo-occidentali alle porte di casa dei rivali euroasiatici.

Sino ad oggi Pechino aveva sempre rifiutato di giocare un ruolo di mediatore sostenendo che il compito di risolvere la crisi spettasse a Washington, accusata di esserne il responsabile primario. Cosa è cambiato? Cosa ha spinto la Cina ad esporsi sulla scena diplomatica? 

Ad avviso di chi scrive, il piano di pace cinese non è ispirato da un improvviso “pacifismo” che ha contagiato Xi Jinping e compagni, né pare mirato a una seria prospettiva di negoziato. La Cina vuole semplicemente ripulire la propria reputazione internazionale, sia in Europa che nel vasto gruppo dei paesi non allineati. La Repubblica Popolare intende mostrarsi come l’unica grande potenza interessata a porre fine al conflitto e ai suoi impatti economici globali, mentre i russi continuano a combattere e gli americani ad armare gli ucraini, prolungando la guerra. 

L’associazione con la Russia ha danneggiato l’immagine della Cina, sia negli Usa che nell’Occidente europeo e asiatico. L’aggressione russa ha inoltre creato i timori che Taiwan possa diventare la prossima Ucraina e ciò ha rafforzato l’idea di dover saldare l’Alleanza Atlantica alle democrazie del Pacifico (Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud) e contribuito ad accentuare i fari occidentali su Formosa, come testimoniato dalle numerose visite compiute sull’isola da parte di legislatori provenienti da Australia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti per esprimere sostegno a Taipei e dal simbolico annuncio della Bundeswher sull’intenzione di aumentare il ritmo delle esercitazioni congiunte con alleati come l’Australia e di ampliare la propria presenza militare nell’Indo-Pacifico con l’invio di un’intera flotta da guerra nel 2024.

La risposta americana

Il piano di pace sinico è stato fulmineamente bocciato da Washington e Bruxelles (Nato+Ue), ritenuto troppo incline agli interessi della coppia sino-russa. Pechino viene infatti accusata di non essere attore super partes. Mentre si dichiara favorevole alla più rapida fine delle ostilità, la Cina continua a finanziare la guerra di aggressione russa comprandone petrolio e gas (nel 2022 il commercio bilaterale russo-cinese è aumentato del 34,3%, toccando la cifra record di 190 miliardi di dollari) e fornendo tecnologie dual use, come semiconduttori, droni commerciali e immagini satellitari.

Washington intende sabotare il tentativo sinico di incunearsi nella partita russo-americana e macchiare l’immagine del rivale come attore non imparziale e irresponsabile.  Da qui le valutazioni di intelligence trapelate su media americani e tedeschi sulla possibile prossima fornitura a Mosca di aiuti militari letali (munizioni, artiglieria e un centinaio di droni kamikaze ZT-180). Per Washington una “linea rossa” che Pechino non deve oltrepassare. 

In tale direzione si possono leggere anche le nuove valutazioni del Dipartimento dell’Energia Usa e dell’Fbi sulle origini del Covid-19, attribuite a una fuga involontaria da un laboratorio cinese, la saga dei palloni-spia cinesi e i divieti emanati da Usa, Ue e Canada sull’utilizzo nei dispositivi elettronici governativi dell’app di condivisione-video TikTok.

Qui emerge un’altra dimensione della guerra informativa condotta dall’intelligence della superpotenza, anche attraverso il megafono dei grandi media occidentali. Le accuse a Pechino potrebbero aiutare a preparare la strada a possibili sanzioni dei paesi G7 contro la Cina in modo da allontanare gli alleati europei (soprattutto la Germania[1]) dall’Impero del Centro nella partita sul friendshoring delle catene di approvvigionamento strategiche e per il dominio tecnologico (reti 5G, intelligenza artificiale, calcolo quantistico, semiconduttori[2], ecc.), definita dal direttore della Cia William Burns “la principale arena della competizione” sino-statunitense.

Washington deve anche mantenere il più possibile unito il fronte occidentale affinché la Cina inserisca nei propri calcoli geopolitici su Taiwan un intervento dell’Occidente strategico sottoforma di aiuti militari e sanzioni in caso di attacco a Formosa. Per gli Usa la guerra in Ucraina deve costituire un precedente in grado di dissuadere il revanscismo di altre potenze revisioniste.

Insomma, gli Usa non intendono concedere tregua al loro più serio rivale geopolitico, in una congiuntura nella quale la Cina necessiterebbe di un rapporto stabile con gli Usa “per affrontare le crescenti difficoltà interne, come la demografia, la diseguaglianza sociale, l’eccessiva dipendenza dagli investimenti, la repressione dei consumi”. Né Washington è disposta a cedere alle contropartite (allentamento della guerra tecnologica, del contenimento marittimo e del sostegno diplomatico e militare a Taiwan) che i cinesi inevitabilmente pretenderebbero come corrispettivo della mediazione fra i belligeranti. 

Illuminanti in tal senso alcune recenti dichiarazioni del Ministro degli Esteri della Repubblica Popolare Qin Gang, già ambasciatore cinese a Washington. Nell’esprimere preoccupazione per il pericolo di una escalation incontrollata o di un allargamento del conflitto, Qin ha esortato “alcuni paesi” (leggi gli Usa) “a smettere immediatamente di alimentare il fuoco (…) di esaltare oggi l’Ucraina, domani Taiwan” e ha posto una domanda retorica: “Perché gli Stati Uniti chiedono alla Cina di non fornire armi alla Russia, mentre continuano a vendere armi a Taiwan?”. 

Divide et impera

L’offensiva informativa washingtoniana non mira solamente a dissuadere la Cina dal fornire assistenza militare ai russi – messaggio sintetizzato in modo caustico dal senatore repubblicano della Carolina del Sud Linsday Graham: “Se salti adesso sul treno di Putin sei più stupido che sporco. Sarebbe come comprare un biglietto per il Titanic dopo aver visto il film. Non farlo”. 

È anche un (maldestro) tentativo di creare un cuneo tra Pechino e Mosca (in tal senso le notizie sulla presunta fonte russa dell’intelligence), sfruttando le dinamiche geopolitiche di una guerra che sta aggravando gli squilibri di potenza nella partnership russo-cinese e ponendo un dilemma alla Cina fra interessi economici e geopolitici.

Da un lato, gli interessi geoeconomici spingono Pechino a desiderare una rapida conclusione di una guerra che sta danneggiando l’economia cinese e le nuove vie della seta, perché l’inflazione energetica ed alimentare globale ha aumentato i costi delle importazioni cinesi e costretto le principali banche centrali ad innalzare i tassi di interesse per frenare la spinta inflattiva, esponendo la Cina al c.d. effetto tapering della politica monetaria della Fed, ovvero il deflusso di capitali dalle economie in via di sviluppo. Se la Cina non ha (ancora) fornito direttamente armi alla Russia e ha generalmente rispettato le sanzioni statunitensi è perché per i cinesi preservare l’accesso al mercato globale è più importante di qualsiasi legame economico con la Russia.

D’altra parte, Xi Jinping deve sostenere Putin perché Mosca è l’unico potenziale partner in grado di rafforzare la Cina nella competizione strategica con gli Stati Uniti, per rivedere l’ordine unipolare americano e costruire un mondo multipolare più consono a interessi e valori autocratici. La Cina ha quindi un concorrente interesse geopolitico alla prosecuzione del conflitto, perché più dura la guerra più gli Usa saranno distratti dal concentrare risorse e attenzioni politiche, economiche e militari nell’Indo-Pacifico e maggiori saranno le probabilità di un allargamento dello iato di interessi tra Usa ed Europa. 

Infine, più la Russia si indebolisce più diventa succube dell’influenza cinese nell’intera Eurasia, dove Mosca sarebbe costretta a giocare un ruolo di junior partner, con il Dragone che vede accrescere la propria leva geopolitica sull’Orso, confinato di fatto in una posizione di sudditanza sinora abilmente occultata dall’”amica senza limiti”. Ma in futuro la Russia dipenderà sempre più dall’Impero del Centro per capitali, tecnologie ed esportazioni di idrocarburi e materie prime e dovrà cedere allo scomodo vicino porzioni della sua storica sfera d’influenza in Asia centrale e nell’Artico. Il cortile di casa russo diverrebbe condominio sino-russo.

La guerra ha fatto emergere i limiti dell’amicizia senza limiti sino-russa, ma Washington non riuscirà a dividere l’asse Mosca-Pechino, forgiato dalla comune avversione all’ordine unipolare a trazione americana.

Putin ha comunque offerto agli strateghi washingtoniani, afflitti dal dilemma della simultaneità strategica nella competizione con due grandi potenze euroasiatiche come Russia e Cina, una prospettiva di medio-lungo periodo per attenuare questo dilemma. Il decoupling energetico fra Europa e Russia e l’indebolimento della potenza militare russa, ottenuto senza combattere vis-a-vis e senza perdere neppure un soldato americano, potrebbero ridurre la pressione al fianco orientale della Nato e permettere agli Usa di effettuare finalmente il più volte fallito pivot to Asia. Inattuato proprio per la costante minaccia russa al Vecchio Continente e per lo stretto legame geoeconomico russo-tedesco. Nei prossimi anni la Russia dovrà ricostruire la propria potenza militare in termini di manpower, munizioni e sistemi d’arma convenzionali sotto un duro regime di sanzioni internazionali. Ciò potrebbe restituire ossigeno alla grande strategia americana e liberare spazio di manovra politico, economico e militare per irrobustire il contenimento marittimo, economico e tecnologico della Cina.


[1] L’intelligence della Repubblica Federale ha denunciato l’eccessiva “fiducia e ingenuità” della comunità imprenditoriale tedesca nei confronti della Cina e ha sollevato l’allarme sull’eccessiva dipendenza dalla Repubblica Popolare sia come mercato di esportazione per le merci tedesche (nel 2021 l’interscambio bilaterale sino-tedesco ammontava a oltre 246 milioni di euro), in particolare nei settori automobilistico e chimico, sia come fonte per le importazioni di materie prime essenziali alla transizione energetica-industriale, come gli elementi delle terre rare, che la Cina potrebbe utilizzare come leva di coercizione politica ed economica.

[2] Dopo l’estenuante pressing americano, i Paesi Bassi hanno varato restrizioni per le esportazioni in Cina di tecnologie avanzate per la produzione di chip, inclusi i macchinari per la litografia ad immersione ultravioletta prodotti dal monopolista olandese Asml.

Classe 1994, laurea in giurisprudenza con lode all’Università LUISS Guido Carli di Roma, ha conseguito un Master in Affari Strategici alla School of Government della LUISS Guido Carli, con tesi in “L’interesse nazionale italiano nel contesto della sfida strategica tra Usa e Cina per la leadership globale. Rischi e opportunità dell’adesione italiana alla Belt&Road Initiative”, e un Master in Geopolitica e Relazioni Internazionali presso il Centro Studi Geopolitica.Info – Università Sapienza di Roma, con tesi in “La maturazione imperiale degli Stati Uniti e il nuovo secolo americano”. Appassionato e studioso di geopolitica americana, collabora con IARI dal giugno 2020 per l’area Usa&Canada, della quale dal settembre 2021 è caporedattore.

Latest from USA E CANADA

La guerra perpetua

Prima o poi tutte le guerre sono destinate a concludersi nella loro dimensione cinetica. Per completa