Il peso del gas nella politica estera di Mosca

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Fonte Immagine: Russia-China pipeline (© Adobe Stockalex)

Il gas è stato alla base dei rapporti fra Russia ed Europa, ma adesso che i flussi sono stati interrotti il rischio che corre Mosca è quello di perdere il proprio status e proventi preziosi. La soluzione si chiama Power of Siberia 2, e può essere il pilastro della partnership russo-cinese. 

Il Power of Siberia

È di poche settimane fa la notizia circa il completamento dell’ultima sezione, in territorio cinese, del Power of Siberia, il gasdotto che dalla Jacutija fa arrivare il gas russo fino a Shanghai. Inaugurato dal Presidente della Federazione Russa Vladimir Vladimirovič Putin e dal Presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping nel dicembre del 2019, il gasdotto dovrebbe raggiungere la sua piena capacità, secondo le previsioni, nel 2025, arrivando a trasportare 38 bcm (billion cubic meters) di gas all’anno. 

Se si guarda al rapporto fra le due potenze da un punto di vista cronologico questo rappresenta solo l’ultimo dei tanti tasselli di quella “amicizia senza limiti” proclamata congiuntamente dai leader di Russia e Cina nel febbraio 2022. I due paesi si sono avvicinati sempre di più negli ultimi anni, più precisamente a partire dal 2014, in seguito all’annessione della Crimea da parte della Russia e alle conseguenti sanzioni dei paesi occidentali. Da un punto di vista politico, economico, e anche simbolico, invece, questa notizia ha una rilevanza che merita un maggiore approfondimento.

Il gas come strumento di politica estera

Sin dall’inizio della sua presidenza, Vladimir Putin ha capito che il gas non sarebbe stato solo una risorsa economica da esportare e con cui finanziare le casse dello Stato. Alla luce di un’analisi puramente neorealista delle dinamiche internazionali, il suo ruolo sarebbe diventato quello di un fondamentale asset strategico per la proiezione internazionale di Mosca. E così è stato: nel giro di pochi anni, Gazprom è diventata la principale azienda produttrice ed esportatrice di gas al mondo, ma ancor più importante, è diventato il principale strumento di politica estera russo. È per questo motivo che le scelte di politica energetica di Mosca devono essere analizzate con grande attenzione, perché è da lì che è possibile intuire i futuri sviluppi della sua politica estera e di sicurezza.  

Nell’analisi dello slancio russo verso la Cina, culminato (per il momento) con il completamento del Power of Siberia, non è possibile ignorare la Dottrina sulla sicurezza energetica elaborata e pubblicata nel 2019. All’interno di questo documento, viene evidenziata l’importanza dei mercati asiatici per la diversificazione delle esportazioni. Inoltre, si constata un fatto che oggi è lampante e che già 4 anni fa veniva messo nero su bianco dal governo russo: la principale minaccia alla sicurezza energetica russa sarebbe venuta dai paesi occidentali. Indipendentemente dal modo in cui questa minaccia si sia poi effettivamente concretizzata (ossia in risposta all’invasione russa in Ucraina), resta il fatto che a Mosca non ci fossero molti dubbi sull’indirizzo che avrebbero preso i rapporti con l’occidente nel futuro immediato. 

Inoltre, lo stesso concetto di diversificazione delle esportazioni ha una connotazione molto precisa nella strategia del Cremlino: costruzione di vie di transito alternative rispetto a quelle esistenti. Strategia che non mira all’aumento dei volumi esportati, ma soprattutto alla messa in sicurezza delle esportazioni già in atto, con la possibilità dunque di aumentare o diminuire i flussi in ogni momento senza subire perdite incolmabili. La valenza in materia di sicurezza di una simile scelta è fondamentale: così facendo, nessuno degli attori in questione (paesi di transito o importatori) può avere un potere di ricatto tale da influenzare le scelte di politica estera russe. In uno scenario di perfetta realizzazione della suddetta strategia, invece, sarebbe stata Gazprom ad avere in mano tale potere di ricatto. 

La nuova strategia di Mosca

Probabilmente Putin non si aspettava che tutti i paesi europei – con l’eccezione dell’Ungheria – avrebbero smesso di acquistare il suo gas, o almeno non così in fretta, ma è un sacrificio che sembra essere pronto a sostenere. Avvantaggiato dalle storiche capacità di resistenza e di adattamento della popolazione russa, Putin ritiene che si tratterebbe comunque di un sacrificio breve, secondo i suoi piani. Perché se già nel 2019 l’abbandono dei mercati europei era considerato probabile, sarebbe insensato non pensare a delle contromisure. 

La prima è costituita dal programma a lungo termine di sviluppo della produzione di GNL (gas naturale liquefatto), annunciato per mezzo di un decreto governativo il 16 marzo 2021. Questo permetterà a Mosca di esportare il proprio gas in tutti quei paesi estranei al blocco occidentale, e che lontani dal continente euroasiatico sarebbero irraggiungibili dai gasdotti russi, in primis i paesi africani. La seconda prende un nome ben preciso, ed è Power of Siberia 2. Un progetto di cui si è iniziato a parlare nel 2020 e che dovrebbe portare il gasdotto già esistente a una capacità di 55 bcm/anno: non a caso, la stessa capacità del Nord Stream 1. Vista la chiusura dei mercati europei, la Russia sta spingendo per accelerare verso la realizzazione di questo progetto, necessario per sostituire i proventi perduti. Per il momento, invece, la controparte cinese non ha alcuna fretta. La Cina, infatti, seppur bisognosa di gas per la sua transizione energetica, ha già contratti a sufficienza per coprire le proprie esigenze fino al 2030. Consapevole dell’urgenza russa, probabilmente riuscirà a strappare tariffe vantaggiose grazie alla sua attuale posizione di superiorità nelle trattative. 

Quale futuro per il gas russo

Fino ad oggi, grazie alla sua immensa disponibilità e ai bassi costi, la Russia era abituata a usare il proprio gas come strumento di politica estera partendo da una posizione di forza, e ottenendo così importanti vittorie politico-strategiche. Adesso lo scenario internazionale è completamente mutato, ma questo non significa che Mosca sarà costretta ad assecondare ogni richiesta di Pechino. Seppur diminuiti rispetto al boom del 2022, i prezzi delle materie prime continuano ad essere alti, e con ogni probabilità la situazione non cambierà nei prossimi mesi. Questo garantisce a Mosca un gettito elevato e, altrettanto importante, gli consente di mantenere il suo status politico e commerciale di partner da rispettare. Gli alti costi delle materie prime potrebbero compensare (parzialmente) le perdite nei volumi delle esportazioni, così come è avvenuto nell’anno passato. 

In questo modo, seppur con qualche difficoltà, l’economia russa continuerà a reggere il peso delle sanzioni, e il crollo annunciato dai paesi occidentali agli inizi del regime sanzionatorio potrebbe restare un’illusione. Resta il fatto che il gas è diventato oggi a tutti gli effetti un fattore geopolitico, capace di influenzare pesantemente le relazioni fra grandi potenze, e per questo sempre più spesso al centro del dibattito pubblico. Palese testimonianza di ciò è il sabotaggio del Nord Stream avvenuto a settembre 2022. Nonostante le accuse e i sospetti emersi negli ultimi mesi, non vi è alcuna certezza su chi siano i responsabili, e con ogni probabilità questi resteranno ignoti. Ciò che conta per la presente analisi, però, è che questo attacco ha reso palese un fatto: per la Russia il gas è legato a doppio filo con la politica estera e di sicurezza. È per questo motivo che il completamento del Power of Siberia non è un evento da sottovalutare. La partnership fra Mosca e Pechino è tutt’altro che definitivamente strutturata, e osservare l’evoluzione dei negoziati per il Power of Siberia 2 nei mesi a venire darà indizi significativi su come questa partnership si modellerà nei prossimi anni. 

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