Piattaforme continentali nell’Artico: passa la linea russa

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Fonte Immagine: https://thebarentsobserver.com/en/arctic/2019/04/russia-scores-scientific-point-quest-extended-arctic-continental-shelf

La Russia vince un contenzioso in merito alla piattaforma continentale, dopo una rivendicazione lunga 20 anni. Nel frattempo Canada e Danimarca reclamano, ma la Russia saprà aspettare.

La definizione delle piattaforme continentali è una questione che interessa gli stati rivieraschi praticamente ovunque, producendo aspre diatribe e contenziosi di difficile soluzione. Nell’Artico le discussioni sono ancora più accese e i dibattiti si protraggono per anni. D’altronde la posta in gioco è alta: si pensi che sulla base degli accordi internazionali e sul diritto del mare, nel concetto di piattaforma continentale rientrano tanto la parte superficiale delle acque marine, tanto i fondali e ciò che vi risiede. In questi giorni il caso della piattaforma continentale russa sembra essere giunto a conclusione, con un’approvazione da parte di una commissione dell’ONU a favore della Russia.

Sono stati necessari 20 anni di rivendicazioni e di presenza con imbarcazioni rompighiaccio, sottomarini e navi da monitoraggio per ottenere questo risultato. Ma adesso la Russia ha ottenuto i fondali marini nelle aree centrali dell’Oceano Artico. La decisione in favore di Mosca è arrivata il 6 febbraio dalla Commission on the Limits of the Continental Shelf (CLCS), una commissione apposita prevista dal diritto del mare che si occupa della definizione e limitazione delle piattaforme continentali.

La commissione rappresenta la principale autorità in materia di tutela dei diritti degli stati costieri.  Si tratta di una delle poche decisioni neutrali intraprese da un’autorità internazionale in tempi di guerra russo-ucraina. Va detto però che non poteva essere altrimenti dato che la CLCS valuta più che altro mediante una stima basata su mappe e dossier, non tanto su questioni meramente strategiche e sulle loro implicazioni. 

L’area rivendicata da Mosca

La Russia rivendicava un’area di piattaforma continentale molto vasta, paria a circa 1,7 milioni di chilometri quadrati di fondali marini, tutti situati nella zona centrale dell’Oceano Artico. Una rivendicazione partita circa un ventennio fa, e che ha sempre trovato opposizione, specie da altri stati rivieraschi artici, come il Canada, gli Stati Uniti o la Danimarca. Le tempistiche così lunghe però, hanno giocato a favore della Russia che, perseverando è riuscita a raccogliere una grande quantità di materiale a sostegno della propria tesi, tanto da ottenerne finalmente il riconoscimento.  

Così la CLCS ha ritenuto giusto convalidare la maggior parte delle richieste russe. Per questo ora, la Russia accede ad una vastissima piattaforma continentale, che si estende dalla Zona Economica Esclusiva, passando per il Polo Nord, fino a sfiorare le ZEE di Canada e Groenlandia.  Con buona pace di quest’ultime? Assolutamente no. Comunque la piattaforma continua a nord dello Stretto di Bering, mentre in prossimità dell’Alaska la rivendicazione russa si ferma ad un certo punto, laddove è presente un limite immaginario definito da un accordo russo-americano raggiunto nel 1990, inerente proprio le piattaforme continentali dei due paesi.

Al momento è in via di definizione l’area intorno all’isola Franz Josef e quella di Novaya Zelma, per la quale la CLCS ha ritenuto insufficiente la documentazione; probabile che la Russia integrerà quanto manca. Forse è proprio per questo che da Mosca non sono arrivate dichiarazioni ufficiali in merito, nonostante si conosca bene l’ambizione che Putin covava per questo risultato. 

Le prospettive

Sicuramente una tale affermazione territoriale, significa una dimostrazione di grandezza e potenza per la Russia, la quale andrebbe a gestire circa il 50% dell’Artico in totale. In secondo luogo, ma non meno importante, vi è la questione legata alla produzione ed esportazione petrolifera, che nell’Artico russo ha i vari punti determinanti. Più fondo marino da gestire, significa quindi più ipotetici giacimenti da scovare e rendere produttivi.

Non c’è alcuna sicurezza sul fatto che esistano realmente altri giacimenti altamente remunerativi, ma non si sa mai. D’altronde la Russia non si è fatta trovare impreparata, dato che Putin e i suoi ministri partecipano da tempo agli incontri con la CLCS, mentre i militari russi si esercitano da quelle parti da tempi non sospetti e si muovono con sicurezza nei fondali. Per questo motivo, anche se per ora tutto tace dalle parti di Mosca, è probabile che Putin celebrerà questo risultato come la vittoria della supremazia scientifica russa. 

Lo status delle aree contese

È bene sottolineare che quanto ottenuto dalla Russia, seppur ritenuto un ottimo risultato, corrisponde solo al 75% delle aree rivendicate. Vi erano altre porzioni di piattaforma continentale, ma si trattava di aree contese e, in merito a quelle, la commissione ha preferito non esporsi. I fondali artici di quelle aree sono ancora oggetto di discussione e Danimarca e Canada hanno presentato le loro rivendicazioni alla commissione, la quale valuterà attentamente le posizioni dei due paesi.

Dello stesso avviso è la Norvegia che si è espressa rivendicando altre aree dell’Oceano Artico. Gli Stati Uniti invece reclameranno le acque che si estendono dall’Alaska al Polo Nord. Insomma la storia potrebbe non chiudersi qui e forse la Russia fa bene a non cantare ancora vittoria. Nello specifico va considerato che tanto la richiesta del Canada, quanto quella della Danimarca, interessano la rivendicazione della medesima area che, per inciso, si sovrappone quasi del tutto a quella appena ottenuta dalla Russia. 

L’area rivendicata dalla Danimarca si estende per circa 895.000 chilometri quadrati e ben 800.000 di questi si sovrappongono all’area rivendicata dalla Russia. Il Canada rivendica oltre 2 milioni di chilometri quadrati, di cui 1,5 in corrispondenza all’area russa. Un bel problema, dato che, stando al diritto del mare, nel caso di controversie in merito alla definizione di piattaforme continentali, dovranno essere gli stati stessi a risolvere.

Non sarà infatti la CLCS a risolvere, dato che il suo compito è quello di valutare se i dati forniti da ciascuno siano in grado di dimostrare che i fondali rivendicati si colleghino alla piattaforma continentale di quello stato. La commissione non prevede “spartizioni” dell’area e i reclami posti in seguito alla decisione che favorisce la Russia saranno decisi solo sulla base della documentazione. La soluzione diplomatica, come prevista dal diritto del mare, non è auspicabile in questo momento. 

Tempi lunghi

Ad ogni modo, la risoluzione, semmai ci sarà, non avverrà dall’oggi al domani. Se la Russia ha ottenuto un risultato dopo 20 anni di richieste, è probabile che anche le risposte ai reclami degli altri stati costieri richiederanno tempo. Un tempo necessario alla commissione per poter valutare la documentazione fornita dagli stati stessi ed eventualmente chiedere rettifiche o integrazioni. Si stima che la CLCS avrà una risposta per la Danimarca entro il 2032, mentre per il Canada, le tempistiche potrebbero essere ancora più lunghe, data la vastità dell’area rivendicata. In sostanza quindi si resta in una sorta di fase di stallo, dove anche la stessa Russia si vedrà costretta ad aspettare le successive valutazioni.

Nonostante l’accoglimento delle rivendicazioni russe infatti, il paese non avrà licenza di lavorare sui fondali marini oggetto di contesa. Il paese potrà quindi muoversi su un’area risicatissima di poche centinaia di chilometri quadrati, quelli non oggetto di sovrapposizione nelle rivendicazioni canadesi e danesi. Tuttavia risulta difficile pensare che la Russia, col passare del tempo rimanga ferma ad aspettare e non cerchi in qualche modo di minare le valutazioni finali sui fondali marini. In sostanza quella appena ottenuta dalla Russia può ritenersi una vittoria, anche se mutilata e non totalmente utilizzabile.

La vittoria infatti è sul piano puramente scientifico e territoriale, mentre si dovrà attendere qualche anno per ottenere anche quella sul piano operativo-economico. La Russia però ha dimostrato di saper aspettare i tempi giusti, e probabilmente basterà solo l’attesa per poter operare su una piattaforma continentale di vastissime dimensioni. Un risultato di grande rilievo che non potrà fare altro che giocare a favore dell’immagine di una Russia pronta a tutto per la leadership artica. 

Vive a Brusciano (NA) ed è ha una laurea Magistrale in Studi Internazionali presso L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi in Geografia Politica delle Relazioni Internazionali, incentrata sulla geopolitica del Mar Glaciale Artico. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania, collabora da pubblicista con la rivista online, tra cui “Grande Campania”, e gestisce la rivista online “Impronte Sociali” nel ruolo di direttore editoriale. Contestualmente svolge l’attività di Content Manager & editor presso la casa editrice “Edizioni Melagrana”. Nell’ottobre 2019 entra a far parte dello IARI, mettendo a frutto quelle che sono le competenze acquisite durante gli studi universitari. Scrive di Affari Artici, approfondendo gli aspetti geopolitici e strategici dei territori interessati. Ha un diploma IFTS come Social Media Manager conseguito a maggio 2021, grazie al quale gestisce account social di alcune attività del territorio. Da sempre attivo in associazioni che mirano alla promozione socio-culturale e politica, è componente del Nucleo di Valutazione presso il Comune di Brusciano.

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