Il devastante terremoto, che il 6 febbraio ha colpito la Turchia nella regione dell’Anatolia sud-orientale e la Siria nord-occidentale, ha lasciato una scia di distruzione e morti, il cui conteggio sale di giorno in giorno. La catastrofe potrebbe avere anche altre conseguenze, influenzando pesantemente le strategie politiche dei leader della regione.
Riflettori puntati sul Presidente turco
Nelle ultime settimane l’attenzione mediatica si è concentrata non soltanto sulla gestione umanitaria del dramma, ma anche sul Presidente turco Erdoğan e sul ruolo che tale evento può giocare riguardo le prossime elezioni presidenziali di maggio 2023. In particolare, ci si chiede se da un lato il sisma possa causare un effetto domino capace di mettere a nudo le debolezze del sistema e così sancire il definitivo declino del longevo Presidente turco, oppure se dall’altro non possa che giocargli a favore, permettendogli di cavalcare il sentimento di solidarietà internazionale e allo stesso tempo incarnare la figura del protettore della patria.
La prima prospettiva si basa sul parallelismo con il terremoto di Izmit avvenuto nel 1999, che colpì un’area compresa fra il Mar di Marmara e il Mar Nero, causando ingenti danni anche in alcuni quartieri periferici di Istanbul. La gestione inefficiente della crisi indebolì notevolmente il consenso popolare verso la storica classe politica e fu uno dei fattori che contribuirono all’ascesa nel 2002 dell’AKP di Erdoğan, che ottenne la maggioranza assoluta dei seggi alle elezioni parlamentari. Secondo gli analisti, Il terremoto di Gaziantep ora rappresenterebbe un nuovo “momento Izmit”: sotto processo i ritardi nell’afflusso di soccorsi, specialmente nella regione di Hatay, e la speculazione edilizia tradizionalmente favorita dai governi dell’AKP e simbolo di quel boom edilizio che è stato il vero motore dello sviluppo economico turco negli ultimi vent’anni. Dunque, un boom incontrollato, segnato da numerosi condoni edilizi per mettere in regola edifici abusivi. Nonostante sia stato proprio il partito del Presidente a promuovere la legislazione antisismica del 2018, il ritardo nell’adeguamento agli standard più moderni di sicurezza, a cui si è aggiunta la mancata applicazione rigorosa delle stesse norme di quella legge, è costato caro alla popolazione turca. Il tutto si inserisce in un quadro disastroso per l’economia del Paese, con svalutazione della lira, aumento della disoccupazione e impennata dell’inflazione.
Erdoğan ha definito ciò che è accaduto come una situazione «inevitabile e il frutto del destino già scritto», non senza disporre alcune misure quali l’arresto sommario e senza processo di decine di presone accusate della costruzione di edifici non a norma. Il Presidente turco ha anche cercato di tacere l’ondata di critiche esplosa a seguito del sisma tramite la censura dei social media e l’arresto di alcuni giornalisti.
il ruolo del sisma nel confronto con i curdi
le scosse del sisma si sono abbattute su un territorio storicamente multietnico, terreno di confronto tra il governo turco e i curdi del PKK. I leader del gruppo curdo hanno annunciato di volere – per il momento – interrompere le ostilità per concentrarsi sul soccorso della popolazione locale. L’avverarsi di una “diplomazia del terremoto” che faciliti un riavvicinamento tra le due fazioni del conflitto sembra tuttavia difficile da ipotizzare: il Presidente turco non ha mostrato particolari segni di apertura ed ha continuato con la linea dura già mostrata in passato, proseguendo i bombardamenti.
Erdoğan ha inoltre dichiarato lo stato di emergenza di tre mesi in 10 province turche, periodo che dovrebbe concludersi a ridosso delle elezioni di maggio, sfruttando un’arma che già in altre occasioni – nel 2015 e nel 2016 – gli permise di riprendere politicamente le redini della Turchia. In tal senso, la possibilità di svolgere materialmente e in maniera efficiente le elezioni nella data stabilita, o estendere lo stato di emergenza e così rimandarle, verrà valutata attentamente dal Presidente. Si consideri anche che le previsioni elettorali prima del terremoto vedevano nessuno schieramento ottenere la maggioranza assoluta, con il Partito democratico popolare (HDP), di stampo curdo, come principale partito di opposizione ad Erdogan. Alle elezioni del 2019, il 63% dei voti nella regione di Diyarbakir, nel novero di quelle colpite duramente dal sisma, è andato a favore del partito curdo.
Un’opportunità per Assad
Se il sisma rappresenta un momento critico per il futuro di Erdoğan, rappresenta invece l’opportunità di tornare alla ribalta per il Presidente siriano Assad. Infatti, Il regime siriano è intenzionato a sfruttare l’evento sismico per rompere l’isolamento a cui i Paesi occidentali – eccezion fatta per la Russia – l’avevano viva via relegato a partire dallo scoppio della guerra civile nel 2011. Assad ritiene proprio le sanzioni occidentali la causa del ritardo e della difficoltà degli aiuti. Gli analisti temono che l’eliminazione delle sanzioni possa favorire il Presidente e fornirgli nuovi mezzi per proseguire il conflitto in territorio siriano.
La strategia di Assad si basa anche sulla ricerca di appoggio da parte dei Paesi mediorientali: i leader di alcuni Stati arabi allineati agli Stati Uniti sono stati in contatto con Assad dopo il disastro, tra cui il re della Giordania e i Presidenti degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto. La Giordania e gli Emirati Arabi Uniti, che un tempo sostenevano l’opposizione siriana ma che negli ultimi anni hanno normalizzato i legami con Assad, hanno inviato aiuti a Damasco. L’Arabia Saudita, da sempre oppostasi ad Assad per via dei suoi legami con l’Iran, ha fatto sapere che la via del dialogo con Damasco è ora necessaria al fine di gestire le crisi umanitarie del Paese, compreso il recente terremoto.
Il checkpoint sisma
Le scosse di terremoto hanno devastato due Paesi che vivono situazioni completamente diverse: da un lato la Turchia, punto nevralgico degli equilibri mediorientali e globali, che si sta ritagliando sempre più spazio grazie al protagonismo del proprio Presidente; dall’altro la Siria, uno Stato fallito, che vive da ormai 12 anni una guerra civile in cui sono coinvolti molteplici attori con molteplici fini e tra cui figura il governo guidato dal Presidente Assad. Il sisma diviene così anche geopolitico, potendo segnare la fine delle ambizioni di Erdoğan e invece portare ad un importante sviluppo del conflitto siriano.
Riflettori puntati sul Presidente turco
Nelle ultime settimane l’attenzione mediatica si è concentrata non soltanto sulla gestione umanitaria del dramma, ma anche sul Presidente turco Erdoğan e sul ruolo che tale evento può giocare riguardo le prossime elezioni presidenziali di maggio 2023. In particolare, ci si chiede se da un lato il sisma possa causare un effetto domino capace di mettere a nudo le debolezze del sistema e così sancire il definitivo declino del longevo Presidente turco, oppure se dall’altro non possa che giocargli a favore, permettendogli di cavalcare il sentimento di solidarietà internazionale e allo stesso tempo incarnare la figura del protettore della patria.
La prima prospettiva si basa sul parallelismo con il terremoto di Izmit avvenuto nel 1999, che colpì un’area compresa fra il Mar di Marmara e il Mar Nero, causando ingenti danni anche in alcuni quartieri periferici di Istanbul. La gestione inefficiente della crisi indebolì notevolmente il consenso popolare verso la storica classe politica e fu uno dei fattori che contribuirono all’ascesa nel 2002 dell’AKP di Erdoğan, che ottenne la maggioranza assoluta dei seggi alle elezioni parlamentari. Secondo gli analisti, Il terremoto di Gaziantep ora rappresenterebbe un nuovo “momento Izmit”: sotto processo i ritardi nell’afflusso di soccorsi, specialmente nella regione di Hatay, e la speculazione edilizia tradizionalmente favorita dai governi dell’AKP e simbolo di quel boom edilizio che è stato il vero motore dello sviluppo economico turco negli ultimi vent’anni. Dunque, un boom incontrollato, segnato da numerosi condoni edilizi per mettere in regola edifici abusivi. Nonostante sia stato proprio il partito del Presidente a promuovere la legislazione antisismica del 2018, il ritardo nell’adeguamento agli standard più moderni di sicurezza, a cui si è aggiunta la mancata applicazione rigorosa delle stesse norme di quella legge, è costato caro alla popolazione turca. Il tutto si inserisce in un quadro disastroso per l’economia del Paese, con svalutazione della lira, aumento della disoccupazione e impennata dell’inflazione.
Erdoğan ha definito ciò che è accaduto come una situazione «inevitabile e il frutto del destino già scritto», non senza disporre alcune misure quali l’arresto sommario e senza processo di decine di presone accusate della costruzione di edifici non a norma. Il Presidente turco ha anche cercato di tacere l’ondata di critiche esplosa a seguito del sisma tramite la censura dei social media e l’arresto di alcuni giornalisti.
il ruolo del sisma nel confronto con i curdi
le scosse del sisma si sono abbattute su un territorio storicamente multietnico, terreno di confronto tra il governo turco e i curdi del PKK. I leader del gruppo curdo hanno annunciato di volere – per il momento – interrompere le ostilità per concentrarsi sul soccorso della popolazione locale. L’avverarsi di una “diplomazia del terremoto” che faciliti un riavvicinamento tra le due fazioni del conflitto sembra tuttavia difficile da ipotizzare: il Presidente turco non ha mostrato particolari segni di apertura ed ha continuato con la linea dura già mostrata in passato, proseguendo i bombardamenti.
Erdoğan ha inoltre dichiarato lo stato di emergenza di tre mesi in 10 province turche, periodo che dovrebbe concludersi a ridosso delle elezioni di maggio, sfruttando un’arma che già in altre occasioni – nel 2015 e nel 2016 – gli permise di riprendere politicamente le redini della Turchia. In tal senso, la possibilità di svolgere materialmente e in maniera efficiente le elezioni nella data stabilita, o estendere lo stato di emergenza e così rimandarle, verrà valutata attentamente dal Presidente. Si consideri anche che le previsioni elettorali prima del terremoto vedevano nessuno schieramento ottenere la maggioranza assoluta, con il Partito democratico popolare (HDP), di stampo curdo, come principale partito di opposizione ad Erdogan. Alle elezioni del 2019, il 63% dei voti nella regione di Diyarbakir, nel novero di quelle colpite duramente dal sisma, è andato a favore del partito curdo.
Un’opportunità per Assad
Se il sisma rappresenta un momento critico per il futuro di Erdoğan, rappresenta invece l’opportunità di tornare alla ribalta per il Presidente siriano Assad. Infatti, Il regime siriano è intenzionato a sfruttare l’evento sismico per rompere l’isolamento a cui i Paesi occidentali – eccezion fatta per la Russia – l’avevano viva via relegato a partire dallo scoppio della guerra civile nel 2011. Assad ritiene proprio le sanzioni occidentali la causa del ritardo e della difficoltà degli aiuti. Gli analisti temono che l’eliminazione delle sanzioni possa favorire il Presidente e fornirgli nuovi mezzi per proseguire il conflitto in territorio siriano.
La strategia di Assad si basa anche sulla ricerca di appoggio da parte dei Paesi mediorientali: i leader di alcuni Stati arabi allineati agli Stati Uniti sono stati in contatto con Assad dopo il disastro, tra cui il re della Giordania e i Presidenti degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto. La Giordania e gli Emirati Arabi Uniti, che un tempo sostenevano l’opposizione siriana ma che negli ultimi anni hanno normalizzato i legami con Assad, hanno inviato aiuti a Damasco. L’Arabia Saudita, da sempre oppostasi ad Assad per via dei suoi legami con l’Iran, ha fatto sapere che la via del dialogo con Damasco è ora necessaria al fine di gestire le crisi umanitarie del Paese, compreso il recente terremoto.
Il checkpoint sisma
Le scosse di terremoto hanno devastato due Paesi che vivono situazioni completamente diverse: da un lato la Turchia, punto nevralgico degli equilibri mediorientali e globali, che si sta ritagliando sempre più spazio grazie al protagonismo del proprio Presidente; dall’altro la Siria, uno Stato fallito, che vive da ormai 12 anni una guerra civile in cui sono coinvolti molteplici attori con molteplici fini e tra cui figura il governo guidato dal Presidente Assad. Il sisma diviene così anche geopolitico, potendo segnare la fine delle ambizioni di Erdoğan e invece portare ad un importante sviluppo del conflitto siriano.