Lo scorso 17 febbraio 2023, il nuovo ed ambizioso programma spaziale giapponese ha subito un duro colpo quando il lancio d’inaugurazione del vettore H3 – già rimandato tre volte a causa delle condizioni meteo – è stato annullato per via di un problema tecnico. Sembrerebbe infatti che all’accensione del motore principale si sia sviluppata una folta coltre di fumo che per un momento avrebbe testimoniato l’accensione del motore stesso, anche se alla fine la sua origine non si è rivelato tale, lasciando di conseguenza a terra, il razzo che trasportava il nuovo satellite “ALOS-3” sviluppato da Mitsubishi Electric per il programma di osservazione terrestre della JAXA (The Japan Aerospace Exploration Agency).
Con la costruzione di H3 il Giappone cerca di reinserirsi nella sempre più affollata “corsa allo spazio”. Un percorso sicuramente iniziato anni prima, con il lancio del più piccolo veicolo satellitare mai messo in orbita, con il primo lancio interplanetario di un razzo a combustibile solido (M-3SII) e con in assoluto il primo atterraggio su un asteroide. Ma tutti questi primati e vittorie nipponiche sembrano essersi interrotte più o meno quindici anni fa.
La progettazione di questo vettore avrebbe dovuto dare una “ventata d’aria fresca” al programma spaziale giapponese ormai fermo da un po’, ma il suo lancio fallimentare ha segnato l’ennesima battuta d’arresto per la JAXA che sperava di rimettersi in gioco con questa nuova tecnologia. L’H3 è infatti motivo di grande vanto per l’industria spaziale giapponese poiché progettato per essere più sicuro, più potente e meno costoso. Questo ultimo fattore è sicuramente di rilevante importanza strategica – complice la de facto esclusione della Russia dal mercato – in quanto al Giappone si presenta una grande chance di mostrare che può essere un’alternativa commerciale economica e credibile. Una credibilità però che rischia di scemare se tra una settimana, quando il lancio verrà ritentato, il razzo non dovesse partire.
Un problema che l’equipe giapponese assicura non dovrebbe riproporsi, ma la verità è che tranquillizzare il mercato spaziale internazionale con un lancio riuscito è l’unica mossa vincente che può adottare il Paese del sol levante per concretizzare la propria posizione in un campo da anni estremamente competitivo. Oltre al fallimento di H3, bisogna ricordare anche l’ostacolo presentatosi lo scorso ottobre con la mancata partenza del razzo “Epsilon 6”, il quale aveva il compito di portare in orbita diversi satelliti.
Una “battuta d’arresto” che fa indietreggiare i giapponesi nella corsa allo spazio, ma Tokyo è determinata ed è pronta ad immettere nel mercato i nuovissimi razzi H3, nonostante il fallimento del primo lancio. Come detto, il vantaggio di questa nuova tecnologia è l’economicità, la quale, di conseguenza, determina una notevole richiesta che sta consentendo ai Nipponici di consolidare diverse partnership, anche se la più importante rimane quella con gli Stati Uniti d’America.
Dall’invio di un astronauta giapponese sulla luna allo sviluppo della stazione spaziale Lunar Gateway, l’elenco dei progetti spaziali su cui stanno lavorando Tokyo e Washington è ambizioso. Ma la cooperazione bilaterale è ora destinata ad espandersi ulteriormente, dopo che le due nazioni hanno firmato un accordo quadro il mese scorso, che servirà come base per i loro sforzi congiunti di esplorazione umana dello spazio.
Dopo oltre dieci anni di lavoro, il patto porterà la partnership spaziale “a nuovi livelli”, ha dichiarato a gennaio il segretario di Stato americano Antony Blinken, il quale ha affermato che l’accordo rafforzerà la collaborazione in settori quali la tecnologia spaziale dei trasporti; operazioni ed esplorazioni spaziali, anche sulla luna; così come nella scienza e nella tecnologia aeronautica. Sebbene i funzionari non abbiano annunciato nuove iniziative, l’accordo – il cui testo non è stato rilasciato – sembra concentrarsi sull’aumento della collaborazione tra la NASA e la Japan Aerospace Exploration Agency, in particolare nel programma multinazionale Artemis guidato dagli Stati Uniti.
Tale programma ha lo scopo di riportare gli astronauti sulla luna già nel 2025 e stabilire una presenza sostenibile lì, per preparare le missioni su Marte e facilitare l’esplorazione dello spazio profondo. Il patto, stabilendo chiare regole di partnership aiuterà anche a semplificare il processo di negoziazione dei futuri accordi bilaterali che rientrano in questo quadro.
Un accordo dunque di una rilevanza fondamentale poiché non solo “la mano tesa” degli USA, nonostante qualche intoppo, agevolerà non poco Hinomaro a ristabilire la sua posizione nel mercato spaziale, ma soprattutto arriva in un momento importante per i due Paesi, attualmente fortemente impegnati in una competizione geostrategica con la Cina.Il Paese del sol levante è stato uno dei primi firmatari degli accordi Artemis proposti dagli Stati Uniti, con l’obiettivo di diventare il secondo paese a portare un astronauta sulla luna come parte del progetto, che è stato ampiamente criticato per la sua “esclusività”.
Critiche che derivano dal fatto che, il suddetto patto, proponeva la costruzione di zone di sicurezza circostanti le future basi lunari, nel tentativo di prevenire danni o interferenze da parte di paesi e compagnie rivali. E solo i “partner spaziali” che rappresentassero appieno l’ideologia spaziale statunitense sono stati i benvenuti nel firmare il patto stesso.
Arrivati a questo punto appare però necessario che il Giappone, nel proprio interesse, dovrebbe evitare di diventare un “lacchè” degli Stati Uniti nello spazio e dovrebbe abbandonare l’idea di svolgere il ruolo di “lancia affilata” nell’alleanza a cui gli Stati Uniti hanno dato un forte sostegno, poiché disattenderebbe le promesse e gli impegni assunti nel dopoguerra e danneggerebbe il delicato rapporto di fiducia con i suoi vicini asiatici, creando caos e turbolenze nella regione Asia-Pacifico.
Sicuramente non è sbagliato affermare che l’ambizione dei progetti futuri giapponesi richiede molto denaro, e che se, come da programma, riuscisse effettivamente a far sbarcare astronauti con cittadinanza giapponese sulla luna, consoliderebbe la sua posizione come potenza di spicco nell’ambito internazionale ed in questo caso in quello spaziale. Ma Tokyo pare al momento sottovalutare il fatto di avere a disposizione una tecnologia estremamente all’avanguardia come quella dei razzi H3 precedentemente citati, i quali presentano una capacità di carico senza rivali.
Seppur il primo lancio sia stato un fallimento, la richiesta di impiego di questi ultimi sta comunque “riempiendo” il grande vuoto che la Russia ha lasciato nel mercato spaziale. Affidarsi dunque completamente agli USA, solo per potersi definire “il secondo paese nella storia” a sbarcare sulla luna appare poco vantaggioso, si rischierebbe di perdere un’indipendenza tanto cara ai giapponesi.
Concentrarsi di più sul potenziale tecnologico che hanno a disposizione sembrerebbe la risposta ottimale, senza contare che quest’ultimo è stato introdotto proprio per migliorare l’accesso indipendente allo spazio e rafforzare le sue possibilità di conquistare una quota maggiore del mercato globale dei lanci degli altri competitors, tra cui SpaceX di Elon Musk.
In conclusione, il Giappone dovrebbe tenere a mente che con lo sgretolamento del bipolarismo e la conseguente grande trasformazione in atto delle relazioni internazionali e del panorama geopolitico, lo spazio è tornato ad essere una dimensione molto complicata, all’interno della quale le grandi potenze – come Russia, Cina, Stati Uniti – hanno già iniziato una corsa che lascia ad altri spazi molto ristretti. Solo continuando a sviluppare le proprie tecnologie senza rischiare di diventare un subordinato di Washington, il Giappone potrà avere una chance di conseguire una posizione di rilievo nell’ormai serratissima corsa allo spazio.