Il 9 e 10 febbraio 2023 si è tenuto il Consiglio europeo a Bruxelles per trattare, tra i vari punti all’ordine del giorno, della questione migratoria. Il tema torna ad essere discusso visti i numerosi ingressi irregolari registrati: 330mila, secondo i dati Frontex, il numero più alto dal 2016, e un aumento del 64% rispetto agli arrivi del 2021.
Ad oggi l’Unione europea conta più di 2000 chilometri di barriere ai propri confini, e sebbene il tema sembra essere recente, non lo è affatto, infatti il primo muro ad essere stato eretto fu quello di Berlino nel 1961. Fu il primo esempio di volontà di segnare un confine invalicabile tra le due Germanie. Successivamente, tra il 1993 e il 1996, fu la Spagna a dotarsi di recinzioni intorno alle città spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla.
Alla fine degli anni ’90 toccò alla Lituania, con la costruzioni di muri con la Bielorussia, poi alla Grecia con 37,5 chilometri di barriera al confine con la Turchia, e anche alla Bulgaria con una recinzione lunga 235 chilometri, sempre lungo il confine turco. Negli ultimi anni è stata la volta dell’Ungheria, che tra il 2015 e il 2017, ha costruito 158 chilometri di barriera con la Serbia, e altrettanti con la Croazia. Infine, anche Polonia, Estonia e Lettonia hanno deciso di chiudersi all’esterno.
I chilometri di recinzione tra l’Europa e il Mondo continuano ad aumentare ed una delle ragioni è la volontà di arrestare l’immigrazione irregolare che negli ultimi anni ha raggiunto livelli mai visti prima. Dal 2014 ad oggi, sono giunti in Europa più di 2,4 milioni di rifugiati e migranti, e il 2015 è stato l’anno che ha fatto registrare il numero di arrivi più alto in assoluto, con più di 1 milione di migranti irregolari, principalmente dalla Siria, dall’Africa e dall’Asia.
L’Europa si trova in difficoltà a contrastare questo fenomeno che avviene su più fronti, infatti varie sono le rotte che i migranti seguono per cercare di entrare nel Vecchio Continente. Oggi la via principale è la rotta del Mediterraneo, diventata tale dopo la chiusura delle frontiere nella rotta balcanica e dopo l’accordo UE- Turchia del 2016.
L’Italia, paese di primo approdo per chi segue la rotta del Mediterraneo centrale, ha visto approdare sulle proprie coste centinaia di migliaia di migranti negli ultimi anni. In controtendenza con i dati europei, non è stato il 2015 l’anno con maggiori sbarchi (153.842), bensì il 2016, che ha visto arrivare 181.436 migranti sulle nostre coste. Negli ultimi anni, sebbene i governi italiani abbiamo cercato di contrastare questo fenomeno, gli arrivi sono aumentati costantemente: il 2022 ha segnato 105.129 sbarchi, quasi il doppio del 2021 (67.477), che già rappresentava un aumento significativo rispetto a quelli avvenuti nel 2020 (34.154), in piena pandemia Covid-19.
In Europa, nel primo mese del 2023 sono stati registrati 7400 arrivi irregolari, così suddivisi: 4256 attraverso la rotta centrale, 1582 attraverso la rotta orientale e 1292 attraverso la rotta occidentale. Dati in tendenza con quelli degli ultimi anni che mostrano come i flussi migratori siano tutt’altro che diminuiti. Questo ha portato vari paesi europei a fare pressione sulle istituzioni europee affinché prendano decisioni in merito alla questione.
Durante il Consiglio europeo, tenutosi il 9 febbraio 2023, i capi di Stato e di Governo dell’Europa hanno discusso del problema migratorio, e nelle conclusioni hanno ribadito:
- Rafforzamento dell’azione esterna, esprimendo la volontà dell’Ue di prevenire le partenze irregolari, di ridurre la pressione sulle frontiere dell’Ue e sulla capacità di accoglienza, di inasprire la lotta contro i trafficanti di essere umani, attraverso la cooperazione con i paesi di origine e di transito;
- Rafforzamento delle cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione, ritenendo necessaria un’azione rapida e congiunta tra tutte le istituzioni europee e statali al fine di garantire rimpatri efficaci, avvalendosi anche dell’art. 25 bis del codice dei visti;
- Controllo delle frontiere esterne dell’Ue, dando pieno sostegno all’ Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), chiedendo alla Commissione di destinare fondi al rafforzamento, per gli Stati membri, delle capacità e infrastrutture nelle frontiere;
- Lotta alla strumentalizzazione, alla tratta di persone e al traffico di migranti, condannando la strumentalizzazione dei migranti per fini politici e suggerendo la cooperazione tra Stati membri ed agenzie europee per contrastare la tratta di esseri umani;
- Dati sui flussi migratori e conoscenza situazionale, così da individuare con più facilità nuove tendenze migratorie;
- Patto sulla migrazione e l’asilo.
Per la prima volta, peraltro, il Consiglio europeo ha riconosciuto le specificità delle frontiere marittime, anche in materia di salvaguardia delle vite umane, sottolineando la necessità di una cooperazione in termini di attività di ricerca e soccorso. Dato estremamente rilevante perché viene riconosciuta la difficoltà di gestire questo fenomeno in un contesto che è già di suo difficilmente controllabile. Il mare, infatti, ha una difficoltà che la terra non ha: muri o recinzioni sono impossibili da costruire.
Inoltre, a rendere ancora più difficile la situazione, gli Stati membri violano il diritto internazionale, come ad esempio l’Italia che con il d.l. 1/2023 si pone in contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, andando a violare il principio secondo cui il comandante di una nave è obbligato a soccorrere tutti coloro che sono in pericolo.
Sebbene si sia compiuto un grande passo avanti riconoscendo la difficoltà di gestire il mare, la posizione del Consiglio europeo è chiara ed è stata ribadita con forza: gli Stati membri vogliono contrastare e ridurre a zero gli arrivi irregolari sulle nostre coste e ai nostri confini, andando a rafforzare sia gli strumenti coercitivi al fine di rimpatrio che le frontiere.
La volontà politica degli Stati purtroppo però, non tiene conto del fattore umano del fenomeno migratorio, perché a migrare sono persone che hanno perso tutto, che non hanno la possibilità di sopravvivere in contesti dove la loro vita è messa in pericolo da regimi autocratici, guerre, carestie e cambiamenti climatici. In aggiunta, i migranti rischiano la vita, viaggiando in situazioni disumane, facendo chilometri a piedi o su un barcone in mezzo al mare, aspirando ad avere la possibilità di vivere un futuro che sia degno di essere chiamato tale, per se stessi e per le proprie famiglie.
Barricarsi e cercare di ridurre a zero gli arrivi irregolari non risolve la questione migratoria, anzi, non fa altro che negare la possibilità di sopravvivere a chi ne ha un disperato bisogno. L’Europa dovrebbe vedere nelle migrazioni la possibilità di sanare le difficoltà che sta affrontando la nostra società, e non un problema da cui doversi difendere.
I migranti rappresentano una risorsa molto importante, e a dimostrarlo sono i dati. La popolazione europea sta invecchiando e la natalità sta diminuendo sempre più, soprattutto in paesi come Italia, Spagna e Malta dove le nascite sono molto distanti dal tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna. Per molto tempo gli immigrati che arrivavano sul suolo europeo hanno sopperito a questi problemi, mantenendo una variazione naturale (differenza tra numero di nati e numero di morti) positiva, ma dal 2020, a causa della pandemia, non è più così, e la situazione potrebbe peggiorare ancora se l’approccio europeo non dovesse mutare.
Infine, i migranti rappresentano una risorsa che può portare giovamento alle economie europee, andando a far fronte alla mancanza di manodopera che ormai affligge i paesi dell’eurozona. La questione da anni non è più temporanea, e rischia di diventare strutturale. Secondo i dati dell’Autorità europa del lavoro infatti, a mancare sono principalmente lavoratori nel settore sanitario e in quello manifatturiero (infermieri, saldatori, autotrasportatori ed idraulici).
I paesi europei quindi potrebbero trarre beneficio dal fenomeno migratorio, e invece che voler fondi per implementare il controllo alle frontiere, potrebbero destinarli all’attuazione di un piano di accoglienza, andando a garantire servizi che, congiuntamente a percorsi di studio della lingua e della cultura del paese di arrivo, provvedano alla loro formazione al lavoro.