Il Myanmar a due anni dal colpo di Stato

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Fonte Immagine: https://ifex.org/coup-and-civil-disobedience-in-myanmar-farmers-protests-and-metoo-victory-in-india/

Il Myanmar continua ad essere coinvolto in una spirale di violenze, che aggravano ulteriormente la crisi umanitaria nel paese, mentre il ritorno alla democrazia appare sempre più lontano. 

Lo scorso 1° febbraio è ricorso il secondo anniversario del colpo di Stato in Myanmar, compiuto dalla giunta guidata dal Generale Min Aung Hlaing. Lo stesso giorno, i militari hanno annunciato una nuova proroga di sei mesi dello stato di emergenza, giustificata dal mancato ritorno alla normalità nel paese. Nonostante la costituzione birmana preveda che lo stato di emergenza non possa essere prorogato per più di due volte, la giunta ha ritenuto che le circostanze attuali fossero talmente eccezionali da permettere un’ulteriore proroga.

Ciò crea incertezza sull’effettivo svolgimento delle elezioni che il regime aveva promesso per il mese di agosto, poiché esse non possono tenersi durante uno stato di emergenza. Inoltre, alla fine di gennaio, sono state annunciate nuove regole sui partiti che sollevano pesanti dubbi sulla legittimità di eventuali elezioni. Sono infatti esclusi dalle elezioni partiti e candidati collegati ad individui od organizzazioni che sono designati come responsabili di atti terroristici o considerati illegali.

In secondo luogo, i partiti che intendono partecipare alle elezioni devono assicurarsi almeno 100.000 membri entro i tre mesi dalla registrazione e avere fondi di almeno 100 milioni di kyat birmani (circa 45.000 dollari), ovvero una somma di 100 volte superiore a quella richiesta precedentemente. 

I militari hanno preso il potere il 1° febbraio 2021, rovesciando il Governo di Aung San Suu Kyi, accusata di brogli elettorali alle elezioni del 2020, nonostante gli osservatori internazionali le abbiano considerate largamente libere e democratiche. Suu Kyi è stata arrestata ed è stata finora condannata ad oltre 30 anni di carcere sulla base di numerose accuse, tra cui quelle di corruzione, possesso illegale di walkie-talkie e violazione delle norme anti-Covid.

I processi contro di lei sono stati giudicati iniqui e aventi l’obiettivo di escluderla dalla vita politica del paese. I numeri forniti dalle Nazioni Unite e dall’Assistance Association for Political Prisoners (AAPP) sono allarmanti: finora sono stati uccisi in Myanmar quasi 3.000 civili, arrestati circa 18.000 e 1.5 milioni di persone hanno lasciato le proprie case, fuggendo all’estero o diventando sfollati interni. 

Dopo il colpo di Stato, è iniziata una vera e propria guerra civile tra il regime e le forze di opposizione, organizzate in milizie (People’s Defence Forces, PDF) che costituiscono il braccio armato del Governo di Unità Nazionale (National Unity Government, NUG), formato da ex esponenti del governo di Aung San Suu Kyi. Si stima che nel 2022, le vittime tra i militari e gli oppositori siano state più di 20.000.

Il regime ha condotto una dura repressione contro la resistenza, facendo ricorso alla pena di morte, che non era stata usata nel paese da oltre 30 anni e impiegando massicciamente la forza aerea, compiendo bombardamenti indiscriminati contro le milizie e i civili. Questa scelta sembrerebbe essere correlata a difficoltà oggettive dei militari sul campo di battaglia contro le milizie, impegnate in azioni di guerriglia, difficili da reprimere, se non tramite la forza aerea. 

Il colpo di Stato ha avuto un impatto significativo anche sull’economia birmana. Nel 2021, il PIL nazionale è diminuito di circa un quinto rispetto all’anno precedente e nel 2022 ha segnato una crescita del 3%, partendo da una base di gran lunga inferiore. Il Myanmar ha anche vissuto una forte volatilità bancaria e monetaria, in seguito alla fuoriuscita dal paese di numerose multinazionali estere e al quasi completo esaurimento delle riserve estere.

Il PIL pro capite ha subìto un calo di oltre il 13% rispetto al periodo antecedente al colpo di Stato e si prevede che quest’anno il PIL sarà di dimensioni ancora inferiori agli anni scorsi. Il tasso di povertà, che ha superato il 40%, è raddoppiato rispetto ai livelli precedenti al colpo di Stato. Inoltre, si è registrato un aumento dell’inflazione che, unito ad una riduzione dei redditi familiari, ha portato maggiore insicurezza alimentare. 

La risposta della comunità internazionale alla situazione in Myanmar è stata debole, inefficace e non unitaria. Da un lato, paesi come Russia e Cina hanno creato legami politici, economici e militari con il regime. Dall’altro, i paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno imposto una serie di sanzioni contro esponenti della giunta militare, che però non hanno sortito gli effetti attesi. La via di uscita più percorribile è trovare una soluzione diplomatica alla crisi, ma l’Associazione degli Stati del Sud-est asiatico (ASEAN) non è finora riuscita a adottare misure concrete a causa delle divisioni interne. L’Indonesia, presidente di turno del 2023, ha espresso l’intenzione di agire in tal senso. Tra le ipotesi sul tavolo ci sarebbero una cooperazione più attiva con il NUG e misure più incisive per persuadere i militari a negoziare. 

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