A inizio dicembre il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è stato accolto in pompa magna a Riyad, dove si era recato per una visita istituzionale di tre giorni. Il Presidente Xi Jinping ha preso parte a numerosi incontri bilaterali, con gli esponenti del governo saudita, e multilaterali, con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC).
Questi summit, che miravano a rinsaldare i rapporti tra la Cina e i paesi arabi e a creare quei legami economici e commerciali indispensabili per la transizione ad un ordine multipolare, hanno di fatto portato l’attenzione sul processo di de-dollarizzazione del sistema finanziario internazionale. Oltre ad aver firmato accordi per 30 miliardi di dollari in svariati settori, il presidente Xi Jinping ha invitato i paesi arabi a fare uso del “Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange” e ad utilizzare lo yuan per regolare gli scambi nel mercato energetico, promuovendo anche una cooperazione per incentivare l’utilizzo di valute locali nel commercio (utilizzando currency swap e valute digitali).
Già a marzo, Riyad e Pechino avevano intavolato discussioni circa la possibilità saudita di accettare yuan almeno per una parte delle vendite di petrolio; segno di quanto il regno saudita sia importante per l’internazionalizzazione della divisa cinese. In caso Riyad dovesse cedere alle richieste di Pechino, il sistema “Bretton Woods 2.0” (creatosi a seguito della sospensione della conversione del dollaro in oro nel 1971 e che si è basato da allora sui petrodollari) verrebbe messo in discussione.
Di fronte a questi avvenimenti è importante capire quanto l’egemonia del dollaro sia realmente messa a repentaglio e quali siano gli scenari che si prospettano. Tre sono le plausibili evoluzioni: la prima vedrebbe le precedenti considerazioni come un semplice allarmismo, frutto di qualche sogno di pensatori antioccidentali; la seconda prevedrebbe una frammentazione valutaria del sistema monetario internazionale; infine, un terzo scenario prevedrebbe la perdita dell’egemonia del dollaro in favore della valuta cinese, che lo rimpiazzerebbe.
Il dollaro rimane egemone
Secondo i dati a disposizione, il processo di erosione dell’egemonia del dollaro a favore di altre valute è ancora lontano dal compiersi, nonostante la volontà di alcuni paesi revisionisti di ridurre l’esorbitante privilegio di cui parlava Valery Giscard D’Estaing. Attualmente, i meccanismi finanziari messi in atto per evitare di usare il dollaro nel regolamento degli scambi commerciali e finanziari non si sono rivelati efficaci. Una valuta, per essere considerata egemone, deve avere il primato in almeno una delle classiche funzioni della moneta: unità di conto, riserva di valore, mezzo di scambio comunemente accettato.
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il dollaro è di gran lunga la prima moneta utilizzata come riserva nelle banche centrali. Il biglietto verde costituisce ancora il 60% delle riserve mondiali sotto forma di buoni del tesoro Usa. Attualmente, nessuna valuta sembra in grado di contrastare il dominio del dollaro. Infatti, la seconda valuta che funge da riserva di valore è l’euro (meno del 20%). Lo yuan conta oggi meno del 3%. Difficilmente questo primato verrà scalfito nel prossimo futuro vista la stabilità e la sicurezza che il dollaro ha storicamente garantito, a differenza di altre monete che non dispongono della stessa fiducia riposta nella valuta americana e nell’economia che lo sostiene.
Inoltre, la reale possibilità che Riyad possa accettare il renminbi al posto del dollaro per le esportazioni di petrolio è tutto fuorché certa. Nonostante i rapporti tra Arabia Saudita e Washington siano tesi, per i sauditi l’alleato americano è attualmente insostituibile in materia di sicurezza. Specialmente a seguito dello scoppio della guerra russo-ucraina che ha ridimensionato l’importanza dell’accordo di cooperazione militare tra Russia ed Arabia Saudita, firmato a pochi giorni dal disastroso ritiro americano dall’Afghanistan.
Finché i rapporti con l’Iran non si avvieranno verso una distensione e la guerra in Yemen continuerà a minacciare l’esistenza stessa del Regno Saudita, una mossa apertamente antiamericana appare improbabile. Tuttavia, alcuni fattori potrebbero intaccare l’egemonia del dollaro ed è quindi importante tenerli in considerazione.
Frammentazione valutaria
Recentemente, Gita Gopinath del FMI ha affermato che il congelamento degli asset della Banca Centrale Russa detenuti all’estero porterà, nel lungo periodo, ad una diversificazione delle attività di riserva delle banche centrali. In seguito all’utilizzo delle sanzioni finanziarie a scapito di alcuni paesi (non solo Russia ma anche Iran, Afghanistan e Venezuela) si è parlato di weaponization del dollaro, l’uso del dollaro (e della sua egemonia) come arma. Molti analisti sono convinti che questo fenomeno stia spingendo alcuni paesi revisionisti (BRICS e paesi che aspirano ad entrare nel gruppo come Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Iran) a commerciare, trovare finanziamenti ed investimenti tramite meccanismi che escludano l’utilizzo di circuiti dominati dal dollaro.
A livello nazionale, tutti i paesi BRICS, ad esclusione del Sud Africa, possiedono un proprio sistema di pagamenti (Union Pay, ELO, MIR ecc.) e gli accordi bilaterali e multilaterali per eludere l’intermediazione del dollaro e dei sistemi finanziari occidentali stanno aumentando costantemente. Di fatto, durante la visita in Arabia Saudita, Xi Jinping ha dedicato ampio spazio alla cooperazione in materia di valuta digitale e di scambi in valute domestiche. Anche durante il vertice di settembre dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) è stata redatta una tabella di marciaper aumentare l’impiego di valute nazionali negli scambi reciproci.
Per quanto riguarda il mercato energetico, già da alcuni anni la Cina sta acquisendo petrolio da Venezuela ed Iran pagando con la propria divisa. Inoltre, le sanzioni hanno spinto Pechino e Mosca a siglare un accordo che permette il regolamento dei conti per la vendita di gas in rublo e yuan. L’invito ai paesi del Golfo ad utilizzare lo Shangai Exchange mira a riscrivere il mercato dell’energia che si sfilerebbe dal dominio incontrastato degli Usa. Come fa notare l’economista Zoltan Pozsar di Credit Suisse, la maggior parte dei paesi che detengono riserve petrolifere, nonché il maggior acquirente (Cina), sono paesi che gravitano al di fuori dell’orbita statunitense e sono consapevoli di rischiare un congelamento degli asset o un’esclusione dai circuiti dei pagamenti internazionali.
Per questo si stanno muovendo verso una maggiore autonomia. Sebbene lo yuan o il rublo non garantiscano la stabilità e la liquidità che una valuta di riserva internazionale necessita, è bene tenere in considerazione due elementi. Il primo è che il dollaro deve continuare a “guadagnarsi la fiducia” di essere una valuta di riserva affidabile; il secondo aspetto da monitorare è la nascita di sistemi di pagamento che evitano l’intermediazione del dollaro (BRICS pay, CIPS) e che acquisiranno sempre più importanza. In generale, possiamo affermare che un sistema internazionale multipolare (verso cui stanno cercando di transitare tutti gli attori finora citati) ha bisogno di un sistema monetario slegato dalla dipendenza della valuta statunitense.
Se dunque le forze che spingono il sistema ad una transizione verso il multipolarismo continueranno, l’utilizzo del dollaro verrà ridimensionato in favore di altre valute. Alla luce della crescente importanza che ricoprono le materie prime e dell’accumulo di oro che stanno sperimentando le banche centrali dei citati paesi, il nuovo sistema si baserà non tanto sulla spendibilità della valuta estera accumulata, quanto sulla sua conversione in oro o altre materie prime che fungeranno da collaterale. Infatti, Sergey Glazyev, Commissario per l’Integrazione e la Macroeconomia dell’Unione economica eurasiatica (EAEU, sta lavorando ad una nuova valuta transnazionale da utilizzare all’interno dell’EAEU, ed eventualmente tra i membri del SCO e dei BRICS.
Tale valuta sarebbe composta da un paniere di valute nazionali (sul modello dei Diritti Speciali di Prelievo del FMI) e retta da un paniere di risorse naturali. Il progetto è ancora in fase di elaborazione ma ha riscosso attenzione tra importanti economisti come il già citato Zoltan Pozsar e da centri studi come l’Ufficio di valutazione indipendente del FMI (minuto 48:23).
Il renminbi può scalzare il dollaro?
L’ultimo scenario da analizzare è la possibilità che il renminbi possa soppiantare il dollaro e diventare la valuta egemone nel sistema monetario internazionale. Attualmente, la valuta cinese non ha le capacità di diventare valuta di riserve internazionale principalmente a causa della scarsa apertura finanziaria cinese e quindi della scarsa liquidità dello yuan.
Tuttavia, se la ricerca di alternative al dollaro dovesse continuare, la valuta cinese sarebbe la candidata con maggiori possibilità di successo. Innanzitutto perché il FMI, dal 2016, ha incluso lo yuan nei Diritti Speciali di Prelievo (SDR), attività di riserva emessa dal fondo e costituita da un paniere delle più importanti valute: dollaro (che pesa per il 41% del valore del SDR), euro (30%), renminbi (10%), sterlina inglese e yen giapponese (8% ciascuno). In secondo luogo, perché la Cina è il paese più attivo nella ricerca di un’alternativa al dollaro.
Infatti, già nel 2009 il governatore della Banca Centrale cinese, Zhou Xiaochuan, aveva proposto una riforma del sistema monetario internazionale. Infine, grazie alla proiezione economica e commerciale di cui gode l’Impero Celeste, il renminbi potrebbe diventare divisa egemone nel commercio nella regione ed eventualmente un importante asset di riserva facilmente spendibile, tanto più se teniamo in considerazione gli sviluppi della Belt and Road Iniziative e degli investimenti infrastrutturali annessi. Infatti quest’anno, la “Nuova Via della Seta” potrebbe riacquisire slancio se verrà confermata l’organizzazione del terzo Belt & Road forum, che cadrebbe a 10 anni dall’annuncio dell’iniziativa nel 2013. Un’ultima misura utile a promuovere l’uso dello yuan nei pagamenti transfrontalieri adottata dal governo cinese è la creazione del e-RMB, lo yuan digitale.
Sul fronte delle Central Bank Digital Currency (CBDC), come testimoniato dai progetti pilotaattivi in alcune città e regioni, la Cina è in vantaggio rispetto agli altri paesi. Un ultimo elemento che potrebbe spingere lo yuan a diventare valuta egemone è il Cross-Border Interbank Payment System (CIPS), un sistema alternativo allo SWIFT per regolare i conti in yuan. Anche questo sistema, nato nel 2015, è cresciuto negli ultimi anni e dopo le sanzioni ha acquisito maggiore importanza. In definitiva, unendo la valuta digitale, il CIPS e la BRI il quadro che viene fuori è una strategia di lungo termine fondata su investimenti industriali ed infrastrutturali che mirano a promuovere l’utilizzo del renminbi e a renderlo appetibile a tutti i partner commerciali. In questo modo, più che un’egemonia del renminbi verrebbero a configurarsi “due sistemi monetari, uno occidentale e uno cinese, che operano in modi diversi e si sovrappongono scomodamente”, come suggerito da Martin Wolf sul Financial Times.
Una serie di cambiamenti vissuti dal sistema internazionale ha messo in moto delle forze che sicuramente cambieranno lo scenario in cui attualmente viviamo. I più rilevanti, negli ultimi anni, sono stati: la crisi finanziaria del 2008 che ha rivelato l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia guidata dal dollaro; la crescita di potenze revisioniste desiderose di modificare l’ordine internazionale e che riescono a trovare spazi per cooperare e opporsi al sistema a guida statunitense; la pandemia, che ha mostrato le vulnerabilità di un’eccessiva interdipendenza economica; infine, la guerra in Ucraina e le sanzioni finanziarie senza precedenti che stanno accelerando una modifica dell’ordine monetario internazionale. Il dominio del dollaro come moneta fiat si è basato sulla prevalenza di questa valuta nel mercato petrolifero e sulla conseguente finanziarizzazione dell’economia mondiale che doveva investire l’eccesso di petrodollari.
Con la rivoluzione dello scisto, Washington è diventato il primo esportatore di petrolio e i rapporti con Riyad stanno mutando velocemente. È quindi lecito pensare che l’Arabia Saudita possa accettare lo yuan per la vendita di petrolio, specialmente alla luce degli importanti progetti di investimenti di cui si fa artefice la Cina. Se Pechino riuscirà a imporre lo yuan negli scambi commerciali con i suoi partner, potrà scalfire decisamente l’egemonia del dollaro.
Tuttavia, per riuscire a diventare una valida alternativa al dollaro come strumento finanziario, Xi Jinping dovrà intraprendere decise riforme di apertura finanziaria dall’esito per nulla scontato. Infine, nel caso in cui la Cina non riuscisse a imporre il renminbi tra i suoi partner, resta la concreta possibilità di una frammentazione valutaria dell’economia.