Elezioni in Repubblica Ceca: cosa (non) cambia

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La vittoria di Pavel, filoatlantista e filoucraino, certifica un supporto a Kiev a cui Praga è costretta dalle circostanze e che le elezioni non avrebbero dunque modificato.

Petr Pavel ha sconfitto al ballottaggio l’ex premier Andrej Babiš diventando il nuovo presidente della Repubblica Ceca. Pavel succede al controverso presidente uscente Zeman, non ricandidabile poiché ha raggiunto il limite di due mandati, ed entrerà in carica a marzo.

I candidati e la campagna elettorale

Sia Pavel che Babiš vantavano un passato nelle strutture comuniste quando il Paese si trovava ancora nel blocco orientale. I successivi percorsi intrapresi dai due candidati ne differenziano però profondamente i rispettivi profili. Pavel, finora estraneo alla politica, ha definito un errore il suo passato comunista, affermando tuttavia di averlo superato grazie a trent’anni di fedele lavoro per il proprio Paese all’interno delle strutture occidentali: ex militare, già Capo di Stato Maggiore dell’esercito ceco, è stato infatti anche Presidente del Comitato Militare della Nato. Candidato come indipendente e fortemente avverso alle posizioni piuttosto filorusse del presidente uscente Zeman, la sua linea è di assoluto sostegno alla piena appartenenza ceca all’UE e alla Nato, oltre che di incondizionato sostegno militare a Kiev. Al contrario Babiš, magnate con diversi scandali alle spalle, è entrato in politica oltre un decennio fa fondando il partito populista ANO 2011, ricoprendo la carica di primo ministro dal 2017 al 2021 ed è stato sostenuto in queste elezioni proprio dal presidente Zeman.

Il conflitto in Ucraina è stato ovviamente al centro della campagna elettorale, tema che ha creato un diaframma tra i due candidati: Pavel come detto si è infatti espresso per un forte sostegno a Kiev, con toni marcatamente filoatlantisti e filoeuropei. Babiš ha al contrario assunto una posizione più neutrale e pacifista, tesa a smarcare il Paese da un maggior coinvolgimento nel supporto a Kiev, accusando al contempo Pavel – per il suo passato militare – di essere un guerrafondaio che rischia di trascinare il Paese al conflitto con Mosca, accuse ovviamente respinte da Pavel.

Cosa cambia il voto?

In sostanza: niente. La Repubblica Ceca è pienamente inserita nel campo occidentale – anche grazie ai forti legami economici -, integrata nell’UE e nella Nato. Seppur all’interno del gruppo di Visegrád non condivida le posizioni così filoatlantiste della Polonia non ha neanche il medesimo grado di russofilia che si riscontra a Budapest. La sua posizione è intermedia: sconta un’appartenenza alla Nato meno aggressiva rispetto a Varsavia, avvicinandosi maggiormente a Berlino della cui sfera economica è parte integrante, ma conserva anche solo flebili legami sentimentali con la Russia, tanto per una minore presa della dialettica panslava quanto per una scarsa rilevanza dell’elemento religioso ortodosso grazie al forte ateismo presente in terra ceca.

La piena appartenenza al blocco occidentale e i vincoli imposti dagli scarsi margini di manovra di cui gode al suo interno fa sì che l’approccio ceco al conflitto in corso sia dovuto alle circostanze e sia sostanzialmente indipendente da qualsivoglia linea improntata dalla sua presidenza. A maggior ragione se si considera la natura fortemente simbolica della presidenza ceca e gli scarsi poteri di cui gode, che si limitano ad esempio alla nomina del primo ministro dopo le elezioni parlamentari e dei giudici della Corte costituzionale, mentre il potere esecutivo rimane nelle mani del governo. Non a caso il presidente filorusso uscente Zeman – che ha sostenuto Babiš – non ha potuto impedire che il suo Paese inviasse armamenti a Kiev: un rifornimento che è in corso da anni ma che si è ovviamente intensificato negli ultimi mesi, tramite ad esempio la fornitura di armamenti di epoca sovietica a Kiev in cambio dei tanto discussi carri armati Leopard 2 provenienti da Berlino che stanno andando a modernizzare l’esercito ceco.

Narrazione e azione rimangono vicine

Dunque la vittoria di Pavel non cambia le carte in tavola: il sostegno ceco all’Ucraina è dettato dalle circostanze imposte dalla sua appartenenza al campo occidentale, ai suoi legami economici, all’appartenenza alla Nato. L’eventuale vittoria di Babiš non avrebbe avuto l’effetto di modificare la postura ceca nei confronti di Kiev come già non era stato capace di fare il presidente uscente Zeman. Tuttavia l’influenza che il presidente ceco in ogni caso possiede sull’opinione pubblica e sulla postura in politica estera avrebbe quantomeno portato – in caso di vittoria di Babiš – a un condizionamento della politica filooccidentale e filoucraina impostata dall’attuale premier Petr Fiala, con un effetto perlomeno sul piano della retorica nei confronti del Cremlino più che su quello pratico. Così invece non sarà: almeno nelle sue premesse la presidenza Pavel promette di non distanziare la retorica antirussa dai contingenti obblighi materiali di supporto a Kiev.

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