Gli emendamenti in corso in Arabia Saudita rappresentano una rara mossa nello scacchiere regionale. La maggioranza degli Stati del Golfo arabo, infatti, concede la cittadinanza solo ai figli di cittadini di sesso maschile.
Il decreto reale
I bambini nati da madri saudite avranno ora diritto alla cittadinanza. È questo l’oggetto del decreto reale pubblicato l’11 gennaio scorso dal re saudita Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, il quale sancisce la modifica dell’articolo otto sulla cittadinanza saudita, dibattuto sin dal 2016.
“Una persona nata nel Regno da padre straniero e madre saudita può ottenere la cittadinanza saudita se vengono soddisfatti determinati requisiti”, afferma l’emendamento.
Okaz, rivista filo-governativa con sede a Jeddah, ha pubblicato ulteriori dettagli del decreto reale. Il decreto conferisce al Primo Ministro il potere di concedere la cittadinanza a una persona “di padre straniero e madre saudita, se l’individuo soddisfa le condizioni richieste”. È importante notare che Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd (d’ora in poi MbS) è stato nominato Primo ministro del Regno a partire dal mese di 28 settembre 2022. Prima dell’emendamento, le decisioni sulla naturalizzazione dei figli di padri stranieri e di madri saudite erano lasciate al Ministro degli Interni.
Secondo l’articolo nove della legge sulla cittadinanza, un individuo può richiedere la naturalizzazione all’età di 18 anni, a condizione che abbia “conoscenza dell’arabo, sia residente nel Regno per un periodo di almeno 10 anni consecutivi, dimostri buona condotta e comportamento, non abbia condanne di oltre 6 mesi per reati di valore morale, svolga una professione di cui il Paese ha bisogno”.
Tuttavia, le modalità di attuazione e i dettagli della nuova legge sulla cittadinanza rimangono ancora poco chiari. Alcuni osservatori hanno evidenziato l’emendamento come un mero trasferimento di potere decisionale dal Ministro dell’Interno al Primo Ministro. La pagina nazionalista Al Saud History, ad esempio, afferma in un Tweet che il decreto “non ha affrontato la questione della concessione della cittadinanza, ma ha sostituito la dicitura «con decisione del Ministro dell’Interno» con la frase «per ordine del Primo ministro, sulla base di una proposta del Ministro degli Interni.»” Inoltre, non è chiaro se i figli delle donne saudite che richiedono la cittadinanza attraverso la nuova legge debbano essere musulmani o di qualsiasi altra professione religiosa.
La trasmissione della cittadinanza nel Golfo: tra stalli e cambiamenti
La possibilità di naturalizzazione dei bambini nati da donne locali e padri stranieri è una rara mossa nella regione. Infatti, la maggior parte degli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), organizzazione regionale che comprende Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Qatar e Oman, concede la cittadinanza solo ai figli di cittadini di sesso maschile.
In Bahrein, ad esempio, le madri bahreinite possono sponsorizzare i figli avuti da padri stranieri finché il bambino è minorenne. Quando il bambino ha raggiunto l’età di 18 anni, deve aver trovato un lavoro o essere iscritto a scuola per rimanere nel Paese. In Kuwait, la legge sulla nazionalità concede anche esclusivamente agli uomini la possibilità di trasmettere la cittadinanza ai propri figli. Secondo le statistiche ufficiali, sono almeno 20.000 le donne kuwaitiane ad essere attualmente sposate con stranieri. Tuttavia, non ci sono dati ufficiali che contino il numero di bambini kuwaitiani che sono nati da questi matrimoni e che, di conseguenza, non godono dei diritti di cittadinanza.
In Oman gli uomini possono trasmettere automaticamente la cittadinanza ai propri figli, indipendentemente dal fatto che siano sposati o meno con una donna omanita, mentre le donne possono trasmettere la cittadinanza solo in circostanze limitate. L’articolo 18 della Legge sulla cittadinanza omanita consente a una donna di trasmettere la cittadinanza ai suoi figli solo dopo essere rimasta vedova, divorziata o se il marito sia stato assente per almeno 10 anni consecutivi. L’articolo prevede inoltre che il minore debba aver risieduto in Oman per almeno 10 anni consecutivi, possedere una buona condotta, non essere stato condannato per alcun crimine o reato, e l’eventuale tutore del minore deve esprimere per iscritto la propria non opposizione all’acquisizione della cittadinanza dell’Oman. La legge, dunque, lascia i figli di madri omanite e di padri stranieri a rischio di apolidia se non soddisfano tutti i requisiti di cui sopra.
Nella maggior parte dei Paesi del GCC, dunque, le donne che sposano stranieri continuano ad essere penalizzate poiché viene negato ai loro bambini di beneficiare delle scuole gratuite, dell’assistenza sanitaria e future opportunità di lavoro. Gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a modificare questa legislazione: dal 2011 è stato approvato un decreto che dà la possibilità di richiedere la cittadinanza una volta compiuti i 18 anni, un aspetto che sta contribuendo a rendere in qualche modo la nozione giuridica di cittadinanza meno di genere. Anche l’Arabia Saudita va oggi verso questa direzione. Sullo sfondo della Vision 2030, agenda di riforma saudita, il Regno ha approvato altre riforme sulla residenza che hanno contribuito a spianare la strada all’acquisizione della cittadinanza da parte dei figli di padri stranieri. Nel maggio 2019 le autorità hanno implementato un sistema di residenza che offre al beneficiario l’opportunità di acquisire alcuni privilegi di cittadinanza dietro pagamento di una tassa una tantum.
Conclusioni
Ci sono, dunque, importanti cambiamenti in corso nel Regno, i quali senza dubbio andranno a vantaggio dei giovani e delle future generazioni. Il miglioramento dei diritti delle donne potrebbe aiutare a stimolare gli investimenti stranieri, in linea con la Vision 2030. Altra novità è stata lo sviluppo dell’industria dell’intrattenimento e del divertimento, settore inesistente prima della creazione di un’autorità apposita nel 2016, grazie alle riforme attuate dal principe ereditario. MbS insiste molto sull’obiettivo di promozione del Regno come hub regionale per gli affari e il turismo per aumentare i flussi di entrate non petrolifere. Ci si chiede, tuttavia, se queste riforme non siano piuttosto un tentativo di migliorare l’immagine di Riyadh dinanzi l’opinione internazionale, al centro di questioni spinose come la guerra in Yemen, l’omicidio del giornalista saudita Ǧamāl ʾAḥmad Ḵāšuqǧī e altre forme di repressione dei dissidenti da parte del governo.