Come prima reazione all’avvio delle ostilità in Ucraina gli Arctic-7 (gli Stati artici membri permanenti del Consiglio Artico esclusa la Russia) hanno deciso di sospendere i lavori. Ma il protrarsi della guerra e la necessità di riavviare la cooperazione internazionale obbligano a riconsiderare la posizione.
All’indomani dell’avvio della guerra in Ucraina con un joint statement gli Stati artici membri permanenti del Consiglio Artico, esclusa ovviamente la Russia, hanno condiviso la chiara presa di posizione di condanna per le attività perseguite da Mosca in territorio ucraino. Con la condanna delle azioni russe è arrivata anche la sospensione dei lavori del Consiglio e dei suoi organi sussidiari.
Per settimane ci si è interrogati su quale potesse essere il futuro della più importante piattaforma di confronto e collaborazione della regione artica. Tra i diversi scenari immaginati, anche la creazione di una piattaforma parallela che potesse permettere di riprendere la collaborazione tra gli altri membri. Nonostante la complessità del quadro geopolitico attuale, è generalmente condivisa la necessità di riavviare i lavori quanto prima, proprio perché la collaborazione internazionale sotto l’egida del Consiglio Artico ha permesso di mantenere la regione una zona libera da conflitti e un luogo in cui diversi attori potessero esprimere la propria voce. Si pensi soprattutto alle popolazioni indigene artiche, che anche grazie al ruolo nel Consiglio hanno migliorato il loro status a livello internazionale e ora, con la sospensione, rischiano una nuova marginalizzazione. A rafforzare l’urgenza della ripresa dei lavori c’è anche la necessità di non sospendere la lotta al cambiamento climatico, che sempre sotto l’egida del Consiglio Artico è stata affrontata creando dei gruppi di lavoro per diverse aree di intervento a partecipazione internazionale.
Uno dei settori a destare più preoccupazione è proprio quello della ricerca. Infatti sono proprio i gruppi di lavoro a costituire il fulcro delle attività del Consiglio. La sospensione dei lavori ha significato l’impossibilità per gli scienziati di poter condurre attività di monitoraggio, analisi e policy recommendation sotto l’egida del Consiglio. Ma l’urgenza di ripristinare la collaborazione ha condotto gli Arctic-7 ad un nuovo joint statement diffuso l’8 Giugno, nel quale dichiarano l’intenzione di riavviare i lavori su progetti che non prevedono la partecipazione russa:
“We intend to implement a limited resumption of our work in the Arctic Council on projects that do not involve the participation of the Russian Federation. These projects, contained in the work plan approved by all Arctic states at the Reykjavik ministerial, are a vital component of our responsibility to the peoples of the Arctic, including Indigenous peoples”
La soluzione proposta è ovviamente temporanea e guarda anche alla scadenza della presidenza russa del Consiglio Artico prevista per il 2023, data in cui lo scettro passerà nelle mani norvegesi. Una soluzione che per quanto temporanea potrebbe tracciare un solco profondo nelle relazioni tra gli Stati artici. Anche se il settore della sicurezza non è mai stato materia del Consiglio Artico, questa decisione può avere delle ricadute anche in termini di sicurezza in quanto va notato che tra gli Arctic-7 solamente Svezia e Finlandia non appartengono all’Alleanza Atlantica. La loro recente richiesta di aderire alla Nato è guidata da una nuova percezione del vicino russo da cui ora prevale la necessità di potersi difendere. Una soluzione temporanea che può provvedere a riavviare determinati progetti, ma immaginare una Russia emarginata dai lavori e dai progetti sviluppati sotto l’egida del Consiglio a lungo termine non è auspicabile né in termini strettamente scientifici, né sociali né politici.