La Francia è alla ricerca di un’identità mediterranea, avendo ivi acuito, nel post-Guerra Fredda, la difficoltà a trovare un piano d’azione. Verranno dunque evidenziate alcune delle strategie francesi nel Mediterraneo, specialmente orientale.
Uno dei grandi mantra strategici della Francia è da secoli quello di conservare un alto grado di influenza a scala internazionale, con il Mediterraneo – un tempo peraltro cuore dell’impero coloniale – a rappresentare uno dei territori nodali dal punto di vista marittimo.
Non è certo un mistero che Parigi, tanto nel pre-Guerra Fredda quanto ex-post, abbia guardato a quello che i Romani chiamavano Mare Nostrum con grande interesse, un interesse comunque oggi misto a disillusione, complici le ferite inferte da una storia – specialmente coloniale – che ha indubbiamente lasciato le sue scorie. Il riferimento va, naturalmente, soprattutto al trauma della Guerra d’Algeria, e ad un più generale contesto in cui – è stato osservato – il Paese è passato nel giro di (relativamente) pochi anni dall’orgoglio al senso di colpa e dal pensiero di essere portatore di ogni beneficio possibile a quello di essere responsabile di tutti i mali degli ex possedimenti. Ciò comporta oggi sistematiche riserve rispetto ad un certo tipo di decisionismo mediterraneo.
È, ad ogni modo, un dato di fatto che la fine del conflitto tra URSS e USA ha modificato in profondità l’arena geopolitica e conseguentemente l’approccio francese alla stessa. Nello specifico – per quanto rileva in questa sede – con la scomparsa dell’Unione Sovietica è diventata in primis meno marcata la necessità statunitense di sorvegliare il Mediterraneo, con spiccato riferimento al suo versante orientale.
Andando ivi a scemare la presenza di Washington si è creato conseguentemente un vuoto, una casella che i Francesi hanno cercato tra i primi di occupare, sia per regalarsi una maggiore centralità regionale e sia per non lasciare terreno alla Germania riunificata.
Un momento di vero slancio e potenzialmente marcante un “prima” e un “dopo” fu segnato da una strategia promossa da Nicolas Sarkozy, che nel 2007, ancor prima di essere eletto, propose di dar vita – tra i vari progetti – alla cosiddetta “Union pour la Méditerranée”. Questa costituiva nelle intenzioni un format che – con Francia ed Egitto chiamate a ricoprire il ruolo di attori principali – avrebbe dovuto congiungere tutti i Paesi rivieraschi, ma non l’intera UE; il fine ultimo era quello di tagliare fuori la Germania.
Tuttavia, proprio i Tedeschi riuscirono ad imporre una decisiva correzione, laddove l’idea federalistica si trasformò nella più ampia “Unione per il Mediterraneo”, comprendente l’intera Europa comunitaria e designante quindi un piano poco funzionale a rafforzare Parigi nei confronti di Berlino. Nel concreto, nessun Paese investì davvero in questo (a tutti gli effetti) compromesso, in un contesto più generale nel quale peraltro le “Primavere arabe” avrebbero poi disintegrato ogni velleità, provocando la crisi di quei regimi autoritari su cui tanto si era scelto di puntare.
Successivamente, Sarkozy, che fino ad allora aveva privilegiato l’interlocuzione con i leader autoritari della sponda Sud, optò per una diversa strategia mediterranea: quella di schierarsi al fianco delle forze insorte contro Gheddafi. Tuttavia, le vicende successive alla morte del dittatore libico, alla restaurazione del dominio dei militari in Egitto e all’acuirsi della guerra civile in Siria generarono nuove contrapposizioni, in grado di dividere le potenze occidentali e di creare – una volta di più – delle crepe in seno ai piani francesi oltre che in seno all’UE, con marcati effetti sulla strategia mediterranea di Parigi.
La situazione si aggravò ulteriormente con l’inasprimento del contenzioso riguardante la delimitazione delle Zone economiche esclusive di Grecia, Cipro e Turchia, una issue che investì la questione del diritto a effettuare prospezioni in acque del Mediterraneo orientale al di sotto delle quali giacciono ingenti risorse energetiche. In questo contesto, la Francia prese le difese di Atene, cercando apertamente di esercitare una pressione militare sulla Turchia, pressione, tuttavia, non particolarmente accusata da Ankara.
L’obiettivo di cercare – nel periodo post-Guerra Fredda – profondità mediterranea passa tuttavia anche per sinergie quali quelle con un’Italia che, se prestasse davvero il fianco, risulterebbe chiave per gli interessi francesi.
Già, Roma può assolutamente giocare un ruolo; in questo senso, il terreno è stato sondato più volte in particolare in era Macron, il cui mandato è iniziato nel 2017 e la cui più generale ambizione mediterranea vorrebbe sostanziarsi da un lato contemplando una maggiore inclusività e dall’altro imparando a convivere con i tanti (e dolorosi) errori del passato. In realtà, si ritiene da più parti che la pianificazione politica nel Mediterraneo in era Macron sia – senza neanche voler scomodare imbarazzi israeliani ed altre delicate questioni annesse – quantomai lacunosa. Eppure, com’è palese, quella transalpina resta teoricamente una voce molto influente a più scale; ricordiamo che Parigi è anche l’unica rappresentante mediterranea avente seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Sia come sia, tra timidi accenni di nostalgia imperialistica ed oggettive difficoltà dovute ad un’arena mediterranea che sembra disunirsi più che compattarsi, è un fatto manifesto che Parigi punta a coinvolgerci (maggiormente) nel suo ex spazio imperiale africano, nel quale conserva interessi vitali. Ancora, la Francia è in difficoltà nella lotta ai jihadisti del Sahel e – non avendo ricevuto i rinforzi europei sperati – teme che il fronte possa estendersi dall’area attualmente più calda (“dei tre confini” perché situata fra Mali, Niger e Burkina Faso) verso sud in direzione del Golfo di Guinea.
A proposito di Italia, è stato firmato a Roma in questi mesi (lo scorso 26 novembre) il “Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica francese per una cooperazione bilaterale rafforzata” (“Trattato del Quirinale”).
Con esso, ci si è riproposti di organizzare le reciproche relazioni per il raggiungimento di obiettivi comuni nell’àmbito della Carta delle Nazioni Unite e del Trattato sull’Unione Europea. Va ricordato, come è stato messo in luce, che il preambolo del Trattato enfatizza il concetto di “promozione dei beni comuni tra le due rive del mare”. Esso si esplica specialmente nel libero uso del mare stesso, rifacendosi alle regole della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay (1982). Di conseguenza, protezione ecologica e sicurezza marittima andranno ad ergersi a primarie declinazioni di una visione mediterranea che, non da oggi, unisce Roma e Parigi.