Le recenti dimissioni di Zhang Yiming, proprietario della nota azienda ByteDance, hanno interessato gli osservatori di tutto il mondo che in questi ultimi mesi hanno sviluppato svariate analisi relative alla nuova scena economica e politica cinese.
Lo scorso 20 maggio, con una mossa piuttosto inaspettata e quasi inspiegabile, il CEO di ByteDance (gigante dell’informatica cinese e azienda produttrice della nota app TikTok) ha annunciato ufficialmente di volersi dimettere entro la fine di quest’anno. Zhang Yiming, trentottenne milionario originario del sud della Cina, ha così deciso di assegnare le redini della sua società al suo collega e co-fondatore, Liang Rubo, proprio all’apice della sua carriera.
La notizia è di recente rientrata nell’interesse della stampa internazionale perché il caso di Zhang Yiming non si presenta come un caso isolato e pare riproporre un pattern che numerosi tycoons (grandi e influenti imprenditori privati) cinesi paiono seguire sempre più frequentemente. Tale fenomeno è stato pertanto ritenuto degno di analisi più approfondite da parte di svariati economisti e osservatori internazionali interessati al complesso sistema economico e politico di Pechino.
Il caso del magnate di TikTok, anche se non rappresenta né il primo né l’ultimo episodio degno di nota, offre sicuramente una visione ampia e articolata della questione di cui i suddetti esperti si sono occupati.
Zhang ha fondato la sua società nel 2012 ottenendo una prima svolta nel 2015 con il lancio di TikTok, e ha in seguito rafforzato la propria azienda l’anno successivo tramite l’altrettanta nota applicazione Musical.ly. Entrambe le applicazioni hanno goduto di una diffusione estremamente rapida tanto da invadere anche il mercato occidentale in particolar modo a partire dal 2018, quando l’algoritmo della prima è stato perfezionato in maniera innovativa e di successo promuovendo video altamente “targetizzati” a misura del singolo utente. Oggi, secondo alcune stime, alla ByteDance è riconosciuto un valore di 250 miliardi di dollari mentre il presidente Zhang godrebbe di un patrimonio di circa 36 miliardi che fanno di lui il quinto personaggio più ricco del Paese.
È alla luce di quanto appena detto che le motivazioni date dal miliardario circa la sua decisione di ritirarsi dalla sua posizione, o quanto meno mettersi da parte nei confronti della società, hanno destato particolare interesse e generato numerosi dubbi. Zhang avrebbe infatti dichiarato di aver compreso di non possedere le doti necessarie a far di lui un buon amministratore generale e di preferire occuparsi di analisi di mercato e logistica. Ha, inoltre, aggiunto di non essere lui stesso una persona “social” e di preferire attività maggiormente solitarie.
La società di Zhang si è di recente trovata oggetto centrale di svariate controversie, principalmente all’estero. Nel 2020 l’India ha bandito ufficialmente l’app di maggiore successo del gigante cinese, la sopracitata TikTok, su tutto il territorio nazionale per questioni relative alla diffusione dei dati e conseguentemente alla “sicurezza nazionale”. Simili motivazioni sono state più volte, nel corso degli ultimi anni, portate al tavolo delle discussioni dell’ex presidente statunitense Donald Trump che aveva minacciato la società d’oltremare di applicare misure simili a quelle indiane.
Tuttavia, si ritiene che il ritiro del giovane CEO abbia questa volta a che fare con questioni di carattere spiccatamente interno al sistema della Repubblica Popolare Cinese e del suo governo. Per capire al meglio cosa si potrebbe nascondere dietro al ritiro di Zhang Yiming e alle sue dichiarazioni, secondo diversi osservatori, poco convincenti sarebbe opportuno dare uno sguardo al percorso di un altro esponente di spicco del Bigh Tech cinese: Jack Ma.
Jack Ma, fondatore della compagnia AliBaba, e ex uomo più ricco del Paese, ha dato le sue dimissioni formali da direttore generale dell’azienda nel 2018 e, fatto ancora più eclatante, è da allora quasi completamente sparito dalla scena pubblica. Personaggio estremamente influente anche in occidente (dove è stato paragonato a figure del calibro di Elon Musk e Bill Gates), decise autonomamente di ritirarsi a seguito di un’indagine approfondita da parte dell’antitrust cinese. Una delle sue ultime apparizioni risale a ottobre 2019 in cui criticò pubblicamente l’arretratezza del sistema bancario cinese di monopolio dello Stato. È poi riapparso brevemente solo di recente, e dopo aver subito una multa dal valore di 2,8 milioni di dollari, per scusarsi formalmente col regime di Pechino.
Jack Ma è dopotutto solo uno dei numerosi magnati privati che sono, a volte inspiegabilmente, spariti dai radar degli osservatori internazionali. Solo per citare alcuni esempi, Guo Guangchang (leader della società di investimenti Fosum International) sparì misteriosamente nel 2015: secondo alcuni testimoni fu prelevato dalle forze dell’ordine all’aeroporto di Shanghai e trattenuto per diversi mesi proprio nel momento in cui la sua compagnia godeva di un valore stimato in assets di 115 miliardi di dollari. Successivamente fu rilasciato e venne emessa una dichiarazione ufficiale secondo cui l’imprenditore stesse collaborando col governo a un’indagine relativa a fenomeni di corruzione.
Storia simile quella del direttore della casa di moda “Shanghai Metersbonwe Fashion & Accessories”, Zhou Chengjian, che sparì in aeroporto nel 2016 e per diverso tempo risultò irrintracciabile dai suoi stessi colleghi e collaboratori all’interno dell’azienda.
Più recentemente ha invece fatto scalpore la notizia del congelamento di tutti i beni e una condanna a diciotto anni di prigione a cui è stato sopposto il più grande nome del settore immobiliare cinese, Ren Zhiqiang. Formalmente accusato di corruzione e abuso di potere, la sua condanna ha fatto seguito alla pubblicazione da parte di quest’ultimo di un saggio online in cui si condannava in maniera più o meno implicita la gestione della pandemia da coronavirus da parte delle autorità cinesi.
Alla luce di questi fatti, si è quindi ipotizzato che il ritiro di Zhang Yiming sia legato a una precisa scelta dell’imprenditore di evitare di ricadere in situazioni simili a quelle dei suoi colleghi. Parrebbe, infatti, che a partire dai primi anni dall’entrata di Xi Jinping al governo il Partito comunista stia muovendo una lotta sempre più accanita contro i grandi imprenditori privati.
Il 30 aprile di quest’anno il governo di Pechino ha “richiamato all’ordine” tredici piattaforme private appartenenti al mondo della fintech, tra le quali appunto ByteDance, chiedendo ai loro amministratori di aderire a regolamenti più restrittivi in ambito finanziario. In particolare, è stato rimproverato ai giganti della tecnologia di attuare frequentemente mosse anti-competitive e di accumulare capitale in maniera non sufficientemente controllata.
L’aspetto finanziario sembrerebbe infatti la preoccupazione principale del governo, nonostante parrebbe che questa reale motivazione venga sempre più spesso nascosta dalla retorica socialista.
In occasione del centenario dalla fondazione del Partito Comunista Cinese (tenutosi il primo luglio di quest’anno), il presidente Xi ha più volte parlato della necessità di una “società armoniosa” in cui sia presente una distribuzione più equa della ricchezza; secondo Xi il Paese è al momento “squilibrato” e sarebbe necessario impegnarsi sempre più efficacemente a raggiungere l’obbiettivo della “prosperità comune”.
In realtà, secondo alcuni studi, ciò che preoccupa maggiormente la leadership di Pechino sarebbe la capacità di queste aziende di cambiare totalmente il sistema finanziario statale, inserendo all’interno del sistema economico cinese dei veri e propri sistemi bancari “alternativi”.
I casi più eclatanti sono sicuramente quelli della sopracitata Alibaba e Tencent, le quali da aziende rispettivamente dedite all’ e-commerce e alla messaggistica istantanea si sono in pochi anni trasformate in innovativi sistemi capaci di gestire numerosi servizi finanziari di cui la Banca Centrale scarseggiava, come l’erogazione di microcrediti e i pagamenti istantanei. Il loro repentino successo in tali ambiti e il loro conseguente aumento di profitti ha di fatto in breve tempo trasformato questi distributori di servizi in veri e propri “predatori finanziari”.
Non è un caso infatti che quando la ByteDance si è candidata a terzo operatore nelle piattaforme cinesi, sia stata appoggiata e acclamata dallo stesso governo centrale interessato a ridurre il duopolio di Alibaba e Tencent. L’estrema popolarità di TikTok all’estero ha poi però successivamente preoccupato le autorità centrali che hanno pertanto deciso di colpire l’intera società con svariati regolamenti sopracitati dai contorni poco definiti e quindi pericolosi per i proprietari di aziende di tale genere.
Un fenomeno interessante, e di recente sviluppo, riguarda la cosiddetta “arma del no profit”. Lo scorso 22 giugno, il presidente Zhang ha donato 77,35 milioni di dollari alla propria città natale da investire nel settore dell’educazione. Altri magnati dell’industria tecnologica sono ricorsi a quelli che alcuni definiscono simili “stratagemmi” per proteggere la propria immagine pubblica e in qualche modo difendere i propri assets dalla morsa sempre più aggressiva del governo.
In conclusione, è probabile che il governo comunista di Pechino, dopo aver promosso lo sviluppo economico della nazione anche con il sostegno dei grandi nomi del settore privato, tema ora che anche in Cina si sviluppi un sistema simile a quello delle chaebol sudcoreane (enormi conglomerati industriali gestiti da singoli individui o famiglie) che con l’appoggio del governo detengono ora un enorme potere non solo economico ma anche politico.
In altre parole, la ricchezza non è necessariamente un “male” per il governo comunista di Xi, a patto che questa possa sempre essere tenuta nei ranghi del controllo centrale. Se ciò rappresenti o meno un fatto positivo, è difficile da analizzare in maniera completamente oggettiva.