La concorrenza economica tra le due maggiori economie arabe interrompe le trattative e pone seri problemi per raggiungere in breve tempo un accordo sul greggio.
Durante l’ultimo meeting di Opec+ (l’organizzazione dei principali produttori di petrolio allargata alla Federazione Russa, secondo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti) tenutosi a Vienna nei giorni scorsi, gli Emirati Arabi Uniti hanno mostrato resistenza e interrotto le trattative di fronte al raggiungimento dell’accordo riguardo l’estensione del periodo di tagli alla produzione di greggio, da protrarsi, secondo le opinioni dell’Arabia Saudita, oltre aprile 2022.
L’impasse sopraggiunto tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ha costretto i Paesi dell’organizzazione ad abbandonare i colloqui sull’aumento della produzione dopo giorni di discussione, lasciando sulle spine un mercato petrolifero assetato d’oro nero, il cui prezzo registrato attualmente è di $77,35 al barile.
Le tensioni tra i due Paesi stanno crescendo sempre più negli ultimi tempi, dal momento che l’Arabia Saudita vorrebbe uno spostamento delle sedi delle diverse multinazionali estere dagli Emirati alla sua capitale. Neanche la Russia è riuscita a riportare Riyad e Abu Dhabi al tavolo delle trattative per trovare una strada verso il raggiungimento di un accordo.
Gli Emirati Arabi Uniti, infatti, stanno spingendo verso un rialzo della propria produzione di circa 700.000 barili al giorno rispetto ai numeri attuali. Questo perché il Paese dispone di una capacità produttiva di circa 4 milioni di barili al giorno, ma, in base ad un precedente accordo dell’organizzazione dello scorso anno, la sua produzione effettiva era stata limitata a 2,59 milioni di barili al giorno per tutto il 2020, con un leggero incremento nei primi mesi del 2021.
Abu Dhabi non condivide la baseline stabilita durante il picco della pandemia, cioè il livello di produzione rispetto al quale vengono calcolati i tagli, considerando la propria baseline già troppo “limitante” all’origine del Patto di limitazione. Gli Emirati puntano a poter vendere quanto più petrolio possibile adesso che c’è una forte richiesta prima di un possibile, e molto probabile, declino della domanda.
Dal momento che tutte le decisioni dell’organizzazione devono essere prese all’unanimità, un mancato raggiungimento del consenso tra le parti riporterebbe l’alleanza al suo accordo di produzione esistente, in base al quale le quote di produzione resterebbero piatte ai livelli di luglio. Ciò solleva inevitabilmente degli interrogativi sul futuro dell’alleanza strategica fondata nel 1960. La fine dell’Opec è vicina?