LA CORTE DI GIUSTIZIA ECOWAS Può FERMARE LA REPRESSIONE DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN NIGERIA?

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La Corte di giustizia della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha vietato al governo nigeriano di arrestare e perseguire i cittadini che hanno aggirato il divieto di utilizzare Twitter.

La vicenda

Le autorità, a inizio giugno, avevano bloccato sulla rete nazionale, a tempo indeterminato, Twitter in seguito alla rimozione di un post del Presidente Muhammadu Buhari e alla sospensione del suo account per 12 ore. 

Nel tweet incriminato il Presidente si rivolgeva ai separatisti Indigenous People of Biafra (IPOB) e all’Eastern Security Network, accusati di aver assaltato alcune sedi elettorali, dichiarando che i colpevoli sarebbero stati gravemente puniti. Twitter ha motivato la scelta dichiarando che il post violava le norme di comportamento. 

Il ministro dell’Informazione nigeriano, Lai Mohammed, aveva reagito con un atteggiamento sprezzante dichiarando che, alla luce degli avvenimenti, Buhari aveva tutto il diritto di esprimere il suo disappunto nei confronti dei separatisti appartenenti a organizzazioni illegali. Durante un’intervista aveva infatti dichiarato che Twitter “può avere le sue regole ma non sono regole universali”.

La reazione degli attivisti e la posizione della Corte

Alla decisione del governo sono seguite le proteste degli utenti dei social media e degli attivisti per i diritti umani che, attraverso l’uso di reti private, sono riusciti ad aggirare il divieto e a manifestare il loro dissenso usando gli hashtag #NigeriaTwitterBan e #KeepitOn.

Successivamente un’organizzazione per i diritti umani, Socio-Economic Rights and Accountability Project (SERAP), e 176 nigeriani hanno avviato la causa presso la Corte di giustizia ECOWAS chiedendo un’ingiunzione cautelare governo dall’attuazione del divieto.

Attraverso la causa i ricorrenti hanno esortato il tribunale a considerare il divieto di usare Twitter, da parte del governo, come una grave repressione dei diritti umani in quanto comporta la violazione della libertà di espressione e dei media nel Paese.

La Corte, in attesa della sentenza definitiva, ha sospeso il divieto di usare il social network e ha vietato al governo di perseguire penalmente i nigeriani che accedono alla piattaforma.

La Nigeria e la libertà di espressione

Il tentativo del governo di soffocare la voce di Twitter rientra in una strategia di repressione generale della libertà di espressione. 

L’obiettivo, come evidenziano attivisti e intellettuali, sarebbe quello di impedire ai nigeriani di utilizzare Twitter per esporre le proprie opinioni sull’operato del governo.

Già nel 2013 il Paese era stato indicato dai ricercatori dell’Intenational publishers association (IPA) come il terzo Paese più a rischio, preceduto da Arabia Saudita e Malesia.  

Dal 2015, inoltre, il governo guidato dal Presidente Muhammadu Buhari ha tentato in tutti i modi di soffocare la libertà d’informazione. Sono stati denunciate diverse aggressioni a giornalisti ed editori, oltre a diversi assalti alle sedi delle principali case editrici. 

Amnesty International ha denunciato, nel 2019, che almeno 19 giornalisti hanno subito aggressioni fisiche e sono stati sottoposti ad arresto e detenzione indiscriminati. Nello stesso anno inoltre la sede del Daily Trust, un quotidiano nella capitale Abuja, ha subito l’irruzione da parte dei militari.

La Nigeria si è classificata 120˚ su 180 nel World Press Freedom Index del 2019. La posizione espressa dalla Corte merita comunque particolare attenzione in quanto riconosce l’esistenza di un’effettiva repressione portata avanti dal governo.

Un segnale che si potrebbe rivelare come un grido di supporto nei confronti degli attivisti che lottano per la libertà in un contesto complesso come quello nigeriano.

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Cari lettori, ho il piacere di presentarmi, sono Giusy Monforte, analista dell’Istituto Analisi Relazioni Internazionali (IARI).
La mia passione per la geopolitica è iniziata a Catania, dove mi sono laureata in Politica e Relazioni internazionali. Successivamente mi sono spostata a Napoli, città che mi ha letteralmente incantata per la sua capacità di restare fedele alle sue radici identitarie pur guardando verso l’Europa. A Napoli ho conseguito una laurea magistrale in Studi Internazionali presso “L’Orientale”, dedicando particolare attenzione al mondo arabo e al diritto islamico, con il fine di inquadrare quest'ultimo nelle scienze giuspubblicistiche. Dopo la laurea ho continuato i miei studi e non ho mai smesso di scrivere: ho collaborato con diverse riviste di geopolitica.
Ho avuto la fortuna di salire a bordo di questo Think Tank sin dall’inizio riuscendo, in questo modo, a dare il mio contributo dalle sue prime manovre e a crescere professionalmente insieme ad esso. Allo IARI mi occupo soprattutto di temi afferenti al costituzionalismo in Africa e negli Stati a maggioranza musulmana.
La mia curiosità verso il mondo si riversa probabilmente anche nelle altre attività.
Dedico il resto del mio tempo alla ricerca delle scoperte musicali e vado spesso ai Festival che ti permettono di spaziare dal dreampop alla Jazztronica, senza sembrare una persona confusa, e a condividere, contemporaneamente, la passione per la musica con persone provenienti da tutto il mondo. Amo viaggiare, oltre che fisicamente, anche attraverso il cinema: seguo con particolare interesse il cinema iraniano e coreano, ma confesso che il mio cuore appartiene al canadese Xavier Dolan.
La parola che odio di più è etnocentrismo: spesso si ignora che non esiste solo una prospettiva e che la realtà ha diverse facce se imparassimo a guardarla con gli occhi degli altri.
La mia parola preferita, invece, è prònoia: perché l’universo può giocare anche a nostro favore ma a volte lo dimentichiamo

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