In vista della riunione del Consiglio Affari generali dell’Unione Europea il prossimo 22 giugno e del vertice del Consiglio europeo il 24 e il 25 giugno, una delegazione macedone si è recata a Sofia per cercare di appianare i problemi creatisi con le autorità bulgare, nella speranza che questo permetta una ripresa dei negoziati per l’adesione a Bruxelles della Macedonia del Nord; negoziati ormai bloccati da più di un semestre, dopo che proprio la Bulgaria aveva apposto il suo veto a Skopje, a causa di questioni storico-identitarie. I capi di governo di entrambi i Paesi si sono dichiarati ben intenzionati a dirimere la questione, ma – in base anche ad alcune loro affermazioni – trovare un accomodamento potrebbe non essere così scontato. Una situazione che spinge inevitabilmente a guardare a Bruxelles, nella speranza che, finalmente, decida di agire.
Macedonia del Nord vs Bulgaria, una contesa decennale
Il 17 giugno una delegazione macedone – formata dal Primo ministro Zoran Zaev, il vice-Primo ministro per gli Affari Europei Nikola Dimitrov e il ministro per gli Affari Esteri Bujar Osmani – si è recata a Sofia, nella speranza di redimere la contesa creatasi tra i due Paesi lo scorso 17 novembre, quando la Bulgaria – allora guidata da Bojko Borisov – ha posto il proprio veto al processo di adesione all’Unione Europea di Skopje, facendo leva su alcune questioni identitarie non risolte tra le due parti, nonostante l’esistenza di un Trattato di buon vicinato – firmato nel 2017.
Tale Trattato stabilisce, all’art. 8, l’impegno delle due parti contraenti a istituire una Commissione di esperti mista e multidisciplinare destinata a contribuire a una corretta verifica delle fonti storiche e a fornire una giusta interpretazione degli eventi e delle figure storici contesi da entrambi i Paesi; una commissione che, tuttavia, non è ancora riuscita nel proprio intento.
Infatti, la Bulgaria sostiene – fin dal secondo conflitto mondiale – che i territori dell’odierna Macedonia del Nord non siano altro che una sua compagine, divisa solo a causa di una serie di incidente storici, e che proprio per questo non esista un’identità macedone se stante, dal momento che non vi siano alcune differenze nel passato storico-culturale bulgaro e macedone, così come nelle lingue parlate nei due Paesi.
In tale ottica, dunque, l’aggettivo “macedone” – oggi utilizzato per indicare la popolazione, la lingua e la storia degli abitanti della Macedonia del Nord – non sarebbe altro che una creazione fatta a tavolino durante e dopo il secondo conflitto mondiale, soprattutto in seguito al passaggio di Skopje nei territori della Jugoslavia, quando il timore di un’influenza dell’allora nemica bulgara spinse la leadership jugoslava a incentivare la creazione di tale identità macedone.
Diversamente, la Macedonia del Nord ha sempre sostenuto la propria autonomia, pur riconoscendo il passato condiviso, facendo leva anche su situazioni identitarie simili come quella moldava e rumena, o quella serba, bosniaca e montenegrina.
La questione identitaria, pur esistendo da decenni, è stata utilizzata per bloccare il processo di adesione della Macedonia del Nord solo lo scorso novembre; scelta che è risultata fin da subito una mossa dell’allora premierbulgaro Bojko Borisov volta più alla gestione della propria politica interna, più che delle relazioni internazionali e regionali del proprio Paese: Borisov, infatti, si trovava da mesi a fronteggiare un crollo della propria popolarità e un aumento delle proteste di piazza, sempre più diffuse in tutto il Paese.
Deciso a rinsaldare la propria posizione di potere, anche in vista delle elezioni dello scorso 4 aprile, l’ex-Primo ministro aveva deciso di contrastare la richiesta macedone in una dichiarata strenua difesa dell’identità bulgara, sperando così di vedersi confermato il sostegno dei nazionalisti bulgari; un piano che, tuttavia, non gli ha assicurato il pieno sostegno dei suoi concittadini, portandolo alle dimissioni.
La riapertura del dialogo lontano dall’ombra di Bojko Borisov: tutto risolto?
Oggi, la Bulgaria, libera dall’ombra di Bojko Borisov, può provare a riallacciare i rapporti con la Macedonia del Nord. Proprio per questo, l’attuale leadership bulgara ha accettato di buon grado di riaprire il dialogo e ha invitato a Sofia la delegazione composta da Zaev, Dimitrov e Osmani.
In occasione di tale incontro, si è espresso anche il Presidente della Repubblica di Bulgaria, Rumen Radev, che ha dichiarato che Skojpe è “il Paese amico più importante” e che, proprio per questo, è necessario mettere in campo “un approccio pragmatico con risultati concreti e sostenibili, che porti all’avvio dei negoziati per l’adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea e che consenta ai nostri giovani di costruire insieme il loro futuro”.
Ciò nondimeno, è innegabile che il processo di riappacificazione tra le parti non è ancora del tutto libero da intralci: se i nazionalisti bulgari, continuano a sostenere che la Macedonia del Nord non sta rispettando in alcun modo il Trattato di buon vicinato del 2017, dal momento che in tale documento si parla dell’adesione di Skopje al patrimonio storico-culturale bulgaro e non di una sua condivisione tra i due Stati; dall’altra è anche vero che anche i nazionalisti macedoni hanno cominciato a contrastare l’operato del Primo ministro Zoran Zaev.
Egli, deciso a far divenire la Macedonia del Nord il primo nuovo Paese membro dell’Unione Europea, dopo la lunga pausa dovuta all’enlargement fatigue, ha dimostrato in più di un’occasione di essere disposto a trattare e – in alcuni casi – anche a rinunciare a parte delle richieste della popolazione macedone: dopo aver accolto, nel 2018, la modifica del nome dello Stato in Macedonia del Nord – pur di risolvere la decennale lotta con la Grecia -, lo scorso inverno – per ottenere il beneplacito di Sofia – si è spinto ad affermare che l’occupazione dei territori macedoni nel 1941 da parte dell’allora Regno di Bulgaria, alleato dell’Asse, non sarebbe più stata considerata una “occupazione fascista” e che – proprio per questo – alcune targhe commemorative in proposito sarebbero state modificate, se non addirittura eliminate.
Un’affermazione che ha portato gli oppositori del governo Zaev a scendere in piazza per protestare, spinti anche dalle dichiarazioni del partito Vnatrešna Makedonska Revolucionerna Organizacija – Demokratska Partija za Makedonsko Nacionalno Edinstvo (in italiano: Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone – Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone, VMRO-DPMNE) in merito a un presunto accordo segreto tra i due governi per cedere a tutte le richieste della Bulgaria, anche di una rinuncia dell’identità macedone, pur di riottenere il sostegno nel processo europeo.
La necessaria azione di attori esterniÈ chiaro che la questione – utilizzata da entrambe le parti per gestire la propria politica interna, più che le relazioni estere – rischia di fossilizzarsi. D’altro canto, è innegabile che nella situazione di crisi globale attuale, sia la Bulgaria che la Macedonia del Nord necessitano di aiuti esterni.
Ed è, forse, proprio questo il fattore che potrebbe rivelarsi la carta fondamentale per svoltare questa partita: Sofia necessita troppo degli aiuti di Bruxelles per sperare di concludere la propria campagna vaccinale anti-Covid e rilanciare la propria economia, ormai in totale crisi; non solo, i duri attacchi allo Stato di diritto da parte di Borisov degli scorsi anni hanno notevolmente peggiorato la stabilità interna e la visione estera che gli attori internazionali hanno di Sofia.
Condizioni che rendono necessario un nuovo avvicinamento tra la Bulgaria e gli altri membri dell’Unione Europea e che, per questo, fanno sì che sia inevitabile una riapertura del dialogo con la Macedonia del Nord. Da parte sua, il governo di Zaev non può permettersi di rinunciare al proprio processo di adesione, dopo aver lavorato per anni a tale obiettivo e aver basato il proprio potere proprio sul raggiungimento di ciò. Proprio per questo, le due controparti sembrano ben intenzionate a risedersi al tavolo dei negoziati e a lavorare sul piano recentemente proposto loro da Bruxelles, che – forse – ha finalmente deciso che partita giocare nei Balcani