A distanza di due giorni dal colpo di stato in Mali, che ha portato alla cattura del Presidente Bah N’Daw e il primo ministro Moctar Ouane, arriva la notizia delle loro dimissioni.
I due capi dell’esecutivo di transizione erano stati prelevati con la forza lunedì sera, su ordine del colonnello Assimi Goïta, e condotti nel campo militare di Kati, a poche miglia da Bamako. Il Presidente Macron ha definito il golpe “un colpo di stato nel colpo di stato”.
Il background a poche ore dalla vicenda
Per comprende i fatti è necessario fare un passo indietro. Goïta, che aveva guidato anche il colpo di stato nell’agosto del 2020 contro il Presidente Ibrahim Boubacar Keita, stava ricoprendo il ruolo di vicepresidente nel governo di transizione.
Nonostante il tentativo di imporsi come capo dell’esecutivo era stato costretto a fare un passo indietro dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che aveva esercitato, a sua volta, diverse pressioni affinché fosse nominato un leader civile dichiarando l’intenzione di applicare severe sanzioni in caso contrario.
Al momento il primo ministro, Moctar Ouane, stava lavorando alla costruzione della nuova squadra di governo, operazione che i militari stavano seguendo con non poche preoccupazioni, nonostante fosse stato annunciato che i ministeri della difesa, della sicurezza, dell’amministrazione territoriale e della riconciliazione nazionale sarebbero stati nelle mani dei militari.
In seguito al golpe il colonnello Goïta ha giustificato l’azione dei militari dichiarando che il rimpasto di governo stava procedendo in assenza di dialogo e senza considerare la sua posizione accusando, inoltre, N’Daw e Ouane di voler ostacolare la transizione del Paese.
La crisi profonda del Mali
Gli eventi degli ultimi due anni sono il prodotto di una storia segnata da periodi di forte instabilità e profondi mutamenti. Se dovessimo segnare un evento nella storia recente da cui far partire la nostra analisi potremmo indicare il 2012. In quell’anno infatti i jihadisti, tra cui alcuni gruppi che avevano combattuto in Libia nell’anno precedente, conquistarono il controllo del nord del Paese. Le aree sotto il controllo degli estremisti subirono un forte shock politico-culturale in quanto le popolazioni locali furono costrette a seguire rigide regole religiose.
La crisi nel nord del Paese ha generato un clima di profonda insicurezza che ha, nei fatti, favorito il colpo di stato contro il Presidente Amadou Touré. Da quel momento è entrata in gioco la figura di Keita che in realtà godeva già di una forte popolarità, soprattutto nella fascia più giovane della popolazione. Nel 2013 infatti viene eletto Presidente con una larghissima maggioranza, 77% al secondo turno.
Tuttavia, con il passare del tempo Keita, non riesce a mantenere il consenso elevato dei primi anni. Le ragioni sono molteplici e non tutte adducibili a una responsabilità diretta delle forze di governo. Tra i motivi principali troviamo sicuramente il problema della sicurezza derivante sia dagli scontri etnici, e dalla questione mai risolta dei Tuareg, che dall’avanzata jihadista.
A questo si aggiunge il problema della corruzione che tra l’altro era tornato sotto i riflettori dopo l’arresto del sindaco di Bamako nel 2019 con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici; un’accusa frequente nell’ambiente politico e che spesso si conclude con l’impunità dei funzionari.Quest’ultimo aspetto è facilmente comprensibile se si considera la mancanza di autonomia della magistratura che si trova profondamente legata all’esecutivo nonostante la Costituzione tuteli l’indipendenza del potere giudiziario. I giudici, infatti, sono nominati dal Presidente, mentre il ministro della Giustizia sovrintende alle funzioni di polizia e del potere giudiziario.
Ne deriva l’inadeguatezza del sistema giudiziario che contribuisce al restringimento della sfera dei diritti umani e all’assenza di tutele per la popolazione. È necessario specificare che non è comunque possibile stabilire con certezza il livello di violazione dei diritti fondamentali in quanto diverse operazioni di indagine, portate avanti dall’ONU, sono state più volte ostacolate.
In ogni caso sul piano politico e strutturale emerge un vuoto democratico e una forte debolezza dello Stato di diritto che favoriscono i continui colpi di stato e una situazione di incertezza endemica. Attualmente i militari hanno dichiarato di voler guidare il Paese verso le elezioni previste per febbraio 2022. Tuttavia non è facile comprendere il peso che tali elezioni possano realmente avere. I concetti di democrazia, partecipazione elettorale e la stessa transizione di cui si parla infatti vengono sgretolati dal contesto maliano che restituisce l’immagine di un Paese tenuto insieme come pezzi di un puzzle scomposto.