Domenica 22 marzo degli uomini armati hanno sferrato un violento attacco in tre villaggi nella regione di Tahoua provocando 137 morti.
Secondo le dichiarazioni di un funzionario locale circa 200 uomini sono arrivati in moto e hanno iniziato a sparare a “tutto ciò che si muoveva”. Zakaria Abdourahamane, portavoce del governo, ha dichiarato in un messaggio televisivo, che i civili sono stati trattati come veri e propri obiettivi con un’atroce brutalità.
La vicenda ha sollevato diverse polemiche sull’operato delle forze dell’ordine del Niger. Abou Oumarou, ex governatore regionale, ha posto l’attenzione infatti sul ruolo dei militari chiedendosi perché 200 uomini armati sono riusciti a muoversi senza essere fermati da nessuno, sostenendo l’urgenza di attuare una massiccia vigilanza delle aree a rischio.
Una necessità che non può essere ignorata data la frequenza di questi episodi nel Paese. Il Niger, infatti, oltre a essere secondo le classifiche delle Nazioni Unite una delle nazioni più povere al mondo, è schiacciato dalle pressioni jihadiste.
L’attentato di domenica è solo l’ultimo di altri due attacchi avvenuti negli ultimi mesi. Il primo si è verificato il 2 gennaio in due villaggi nel distretto di Mangaize, nella tormentata regione di Tillaberi, causando 100 vittime. I l secondo è avvenuto il 15 marzo, nel villaggio di Darey-Daye, in cui hanno perso la vita 66 persone.
Questa violenza indiscriminata è il risultato del degrado e dell’estrema povertà dell’area che ha permesso ai gruppi jihadisti di acquisire il controllo della regione che coinvolge non solo il Niger, ma anche il Mali e il Burkina Faso. I gruppi armati continuano, inoltre, a trovare la porta di ingresso tra le fratture dei conflitti etnici che da sempre dividono le comunità locali.
Gli ultimi attacchi potrebbero essere interpretati anche come una risposta alla visita recente, di Angel Losada, rappresentante dell’Ue per il Sahel, e del segretario della coalizione del G5-Sahel (Mauritania, Mali, Burkina, Niger, Ciad), Maman Sidikou, alla base militare della missione Barkhane, operazione in cui sono impegnati oltre 5mila militari francesi.
In realtà, quella dell’Africa occidentale resta una questione che difficilmente potrà ottenere una risposta. I traffici illeciti, la povertà, i conflitti etnici, i cambiamenti climatici e il terrorismo sono la causa e, allo stesso tempo, la conseguenza di una crisi umanitaria strutturale. Il terrorismo, è sicuramente uno degli aspetti che desta maggiore preoccupazione.
In questo contesto, infatti, pensare alla possibilità del crollo dell’estremismo islamista sarebbe ingenuo e poco realista. Le domande da porsi quindi, nel futuro immediato, non sono come sconfiggere il fondamentalismo islamico ma cercare di comprendere i prossimi obiettivi e i canali di azione per anticipare le loro mosse.
Attualmente l’unica possibilità è quindi curare il sintomo e non la malattia. Una visione poco ottimista ma che consentirebbe di evitare, in parte, ulteriori stragi.