Gli ultimi incontri diplomatici delle autorità egiziane mettono in luce la crescente volontà del Cairo di rafforzare il suo ruolo di key player nel Mediterraneo orientale, ma a quale prezzo?
Giovedì scorso il primo ministro della Giordania, Bisher Al-Khasawneh, ha incontrato il presidente egiziano Abd Al-Fattah Al-Sisi per discutere della cooperazione tra i due paesi in ambito economico e securitario. In primo piano: la gestione delle risorse energetiche del Mediterraneo Orientale e la lotta al terrorismo. Due direttrici attorno a cui ruota la politica intera ed estera del Cairo. Nell’incontro in questione i due paesi hanno ribadito il loro impegno congiunto nella questione palestinese, nella crisi libica nonché nella ricostruzione dell’Iraq.
A partire dal 2019 i rapporti tra Egitto, Giordania e Iraq sono diventati sempre più forti. A fine ottobre scorso Il Cairo e Baghdad hanno firmato 15 memorandum d’intesa con lo scopo di rafforzare le relazioni bilaterali in diversi settori. Uno degli accordi vede le aziende private egiziane, in gran parte controllate dall’esercito, impegnarsi nella realizzazione di progetti di carattere edilizio e infrastrutturale nella terra dei due fiumi. Dal suo canto Baghdad ha posto come merce di scambio la principale risorsa del paese, il petrolio, che venderà all’Egitto per rispondere alle esigenze di una popolazione in continua crescita demografica.
Poco giorni prima dell’incontro tra Al-Khasawneh e Al-Sisi, il Ministro degli Affari Esteri egiziano, Sameh Shouky, ha incontrato la sua controparte greca Nikos Dendias. I due hanno ribadito la cooperazione tra il Cairo e Atene nelle crisi in corso Mediterraneo Orientale in chiara funzione antiturca. In tale occasione la Grecia ha ratificato la Carta del East Mediterranean Gas Forum (EMGF).
Questi incontri diplomatici mettono in luce la crescente volontà del Cairo di porsi come key player nel Mediterraneo Orientale, e non solo in ambito energetico, ottenendo in cambio dai suoi alleati aiuti militari e finanziari che andranno a rafforzare i perni della macchina statale egiziana: il presidente Al-Sisi e l’esercito. Lo scopo? Massimizzare gli interessi nazionali e guadagnare credibilità politica al livello regionale, ma senza superare le fragilità interne del paese.