Dopo le accuse di “saccheggio” in sede ONU, da parte del Rappresentante permanente siriano, Bashar al-Jaafari, il Pentagono esprime le sue posizioni.
Si avvicina il decimo anniversario del conflitto siriano e ancora si fa fatica ad individuarne la fine, tanto sperata. Nonostante il quasi totale riassorbimento, l’Isis continua a colpire target ben precisi: l’ultimo attacco è stato l’8 febbraio 2021, nell’Est della Siria, in cui hanno perso la vita 26 funzionari governativi siriani.
La Siria, come abbiamo cercato di ricostruire più volte nei vari articoli del nostro Istituto, è uno dei campi di guerra attiva fra i vari attori regionali ed internazionali, che si contendono l’influenza e le risorse dell’area.
Il mantenimento di un certo squilibrio all’interno di Paesi, quali, appunto, la Siria, ma altresì il Libano e l’Iraq, è in linea con gli interessi delle grandi potenze mondiali, più specificamente Stati Uniti e Russia – ma anche la Cina potrebbe assumere un peso maggiore nei prossimi anni. Accanto a queste grandi potenze internazionali, vi sono poi le medie potenze dell’area: Israele ha già pronti piani ed obiettivi per tutti i conflitti che potrebbero coinvolgerlo direttamente e tutti derivano dall’ideologia sionista del “Grande Israele”, per cui la dissoluzione di Siria, Iraq e Libano è obiettivo primario per la sua sopravvivenza ed espansione (Mini, 2017). La divisione, poi, del mondo sunnita – e più in generale, del mondo islamico – è un altro fattore che contribuisce all’instabilità della regione – e paradossalmente, se ne nutre!
Fra i vari interessi degli States – almeno quelli risaltati nelle notizie dell’ultimo periodo – c’è il petrolio. Già per il giuramento di Joe Biden, il Rappresentante permanente della Siria presso l’ONU, Bashar al-Jaafari, aveva richiamato gli Stati Uniti ad un ritiro immediato delle proprie truppe e ad arrestare il “saccheggio di petrolio” dal territorio siriano. L’anno scorso, infatti, la Delta Crescent Energy (DCE) ha raggiunto un accordo con alcuni leader curdi delle Forze Democratiche Siriane(SDF) per l’estrazione di petrolio da alcune riserve nel Nord-est della Siria. La compagnia DCE è stata fondata da un ex membro della US Delta Force che conosceva personalmente la leadership curda nell’area. Leadership che non ha alcun rapporto con il governo centrale di Damasco.
Qui si spiegano le accuse di al-Jaafari
Arrivano, ora, voci autorevoli dal Pentagono che garantiscono che l’impegno delle truppe statunitensi è diretto alla lotta agli ultimi “residui” dell’ISIS e non alla custodia dei giacimenti di petrolio. Nessuno del personale militare, infatti, può offrire assistenza a compagnie private presenti sul territorio: la presenza di truppe nell’area circostante i giacimenti è diretta alla protezione dei civili ivi presenti.
Una “giustificazione” che non aiuta la distensione delle tensioni, data la rivalità, ancora attiva, fra il governo di Bashar al-Assad e l’SDF. Inoltre, la scarsa collaborazione fra Damasco e Washington è sempre più palese. Tale situazione perdurerà finché non si arriverà ad un maggiore contenimento del reale obiettivo degli USA: l’Iran – e i suoi riflessi, in Russia e Cina.