TUNISIA 2021: LA RIVOLUZIONE DEI MILLENNIALS?

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Dieci anni di transizione hanno consentito di abbozzare un assetto istituzionale democratico in Tunisia, ma le lacune sono ancora molte e il 2021 sembra prospettarsi come l’anno della rivoluzione di quelli che il 14 gennaio 2011 erano ancora bambini.

In questi giorni in Tunisia le piazze delle principali città e delle banlieu della capitale continuano incessantemente ad ospitare folle di ragazzi che si accalcano nonostante le norme sanitarie in vigore. Se è vero che dal 2012 è divenuto ormai un cult per i giovani tunisini scendere in piazza nel giorno dell’anniversario della caduta del regime Ben Alì, non si può però trascurare che quest’anno le manifestazioni si stanno protraendo più di quanto non fosse mai avvenuto.

Il clima è molto caldo, tanto per la situazione Covid-19 quanto per il contesto politico.

A dieci anni dalla data che ha introdotto la Tunisia verso la fase tanto attesa di transizione democratica, il 14 gennaio Avenue Habib Bourguiba – simbolo della thawra [rivoluzione] – si è presentata agli occhi del mondo in una veste mai vista prima. L’iconica via principale della capitale è apparsa inverosimilmente silenziosa, completamente barricata ed inaccessibile a chiunque non fosse stato in possesso di un’autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’Interno. Le tensioni di questi giorni aleggiavano nell’aria già da tempo e per questa ragione, secondo disposizioni del governo, dal 14 gennaio erano stati stabiliti quattro giorni di lockdown nazionale.

Il casus belli da cui si sono diffuse le sommosse il 15 gennaio in tutto il paese è stato l’aggressione di un pastore da parte delle forze di polizia a Siliana immediatamente seguito dalla rimozione del chiosco di una giovane donna disabile a Gafsa, regione dell’industria estrattiva di fosfato che sin dai tempi del protettorato francese ha sempre ospitato importanti sollevazioni della popolazione. Sono esplose così proteste di carattere violento, principalmente notturne, ovunque da nord a sud tanto sulle coste quanto nell’entroterra vedendo coinvolti principalmente minorenni di età compresa tra i 14 e i 17 anni. Si sono contati feriti sia tra i manifestanti che tra le forze di polizia facendo registrare stando ai dati del Ministero dell’Interno circa 632 arresti.

Come nel 2011, ancora una volta va sottolineato il ruolo cruciale di propaganda dei social media: anche in questa occasione continuano a circolare in maniera virale i video delle sommosse rimbalzando sugli smartphone dei ragazzi e quindi di città in città.

Quelle che ancora non appaiono immediatamente comprensibili sono le ragioni che spingono ai numerosi disordini. Il Presidente della Repubblica Kais Saied in visita nel quartiere di Ettadhamen ha dichiarato che l’origine delle sommosse non è da ricondurre a precise motivazioni di carattere politico-ideologico, ma che si tratta di sollevazioni guidate esclusivamente dal caos. Saied afferma che vi sarebbe interesse da parte di attori non istituzionali ad alimentare il dissenso nel tentativo di minare le strutture politiche del Paese costituitesi durante questo decennio di transizione verso la democrazia.

Stando a questa tesi dunque quelli da lui definiti attori non istituzionali si starebbero confondendo tra  i gruppi dei giovanissimi incitando alla violenza e cercando di gettare nel caos il paese già fortemente provato oltretutto dall’attuale contesto del Covid.

Se da una parte questa teoria potrebbe apparire verosimilmente plausibile, bisogna però riconoscere che sono sempre più i tunisini che perdono fiducia nella democrazia, negli esiti della rivoluzione e nella politica. Così anche c’è da sottolineare come nella società civile e nella rete dell’associazionismo tunisino vi siano gruppi quali l’FTDES (Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux) e l’UGET (Union Générale des Ètudiants de Tunisie) che si dichiarano a sostegno delle proteste facendo ricadere la colpa di tutte le problematiche che attanagliano il paese all’irresolutezza della classe politica e a nessun altro.

Volendo abbozzare un sintetico bilancio dell’esperienza democratica tunisina di questo decennio ad emergere con chiarezza è solo la grave crisi politica ed economica che affligge la Tunisia. Nonostante la caduta dell’autoritarismo permangono irrisolti i problemi sociali e i caratteristici squilibri nord-sud e costa-entroterra; la Tunisia è ancora afflitta da una delle sue più gravi patologie: l’economia à deux vitesses; l’agenda politica è rimasta per troppo tempo con i riflettori puntati esclusivamente sullo scontro ideologico tra le forze di stampo secolare e il principale attore islamista e questo ha paralizzato il paese in un inguaribile immobilismo politico; il popolo – abituato alla resilienza decennale della dittatura – ha assistito con sempre maggior disincanto alla caduta di ben nove governi arrendendosi all’ascesa del tecnocraticismo e al fallimento della classe politica. Di riflesso la sensazione comune percepita è quella di una sorta di scollamento della politica dalle reali problematiche sociali ed economiche della nazione. 

La motivazione principale dei disordini è sicuramente riconducibile alla sovrapposizione della pesante situazione sanitaria, che tutto appare tranne che controllabile da parte delle istituzioni tunisine, alla profonda crisi di natura economica. 

A scendere in piazza sono i giovanissimi che non hanno partecipato ai tumulti che hanno condotto alla liberazione del 2011. Gli stessi giovanissimi che si trovano sotto il mirino dell’opprimente disoccupazione che continua a colpire di anno in anno in maniera sempre più grave la Tunisia. Tunisia la cui popolazione è per lo più composta da persone appartenenti alla fascia d’età che va dai 15 ai 30 anni. 

Non è un caso se a ribellarsi in questi giorni sono dunque i millennials, quelli che possiamo definire i protagonisti del piccolo paese nord africano. 

In questo difficile quadro c’è da aggiungere che la classe politica odierna si configura come la più “fragile” della recente storia tunisina. Quello frutto delle elezioni del 2019 è a tutti gli effetti il governo più ostracizzato dal 2011: estremamente frammentato, a dir poco difficoltoso ne è stato il decollo e dopo la creazione del governo tecnico di quest’estate, ancora più difficile sta apparendo tenerlo insieme.

Ne è emblema il rimpasto di dodici ministri proposto sabato 16 gennaio da Mechichi sotto l’incalzante pressione dovuta al malcontento popolare ed ancora in attesa del voto di fiducia. Il portavoce della direzione generale della sicurezza nazionale Walid-Hakima, il portavoce del Ministero dell’Interno Khaled Hayouni e Kais Saied sembrano tutti concordare nella natura delle sommosse: caoticaviolenta con il solo scopo del vandalismo e del saccheggio. A detta loro quelle cominciate il 15 notte non rappresenterebbero delle manifestazioni di protesta politica. 

Lo stesso Jamel Jarboui, colonnello-maggiore segretario generale del Sindacato della direzione di polizia e portavoce dell’Unione Nazionale dei sindacati delle forze di sicurezza, in una diretta sul canale televisivo Nesma del 17 gennaio, ha dichiarato che i fantomatici attori non convenzionali si mischiano tra le folle di manifestanti guidandole verso l’escalation di violenza

Molti sono i passi in avanti fatti durante questi 10 anni; sicuramente in questa fase ha preso forma una struttura istituzionale che ben fa presagire sulla sorte democratica della Tunisia. Questo processo di transizione è però stato accompagnato dalle costanti dell’instabilità politica e della crisi socio-economica che si sono manifestate via via sempre con maggiore intensità di anno in anno. La stessa opinione pubblica appare spaccata riguardo la vera natura delle manifestazioni.

Molti cittadini accusano i manifestanti di voler solamente creare caos e scompiglio mentre un’altra parte della cittadinanza attribuisce la violenza delle proteste al fallimento della classe politica tunisina. Molti sono anche coloro i quali manifestano dissenso per quella che è stata definita una scelta politica. Agli occhi di questi infatti la decisione di un lockdown nazionale di quattro giorni proprio in concomitanza del giorno di commemorazione della rivoluzione, quando fino al giorno prima non era stato fatto nulla di concreto per prevenire l’aumento dei contagi, appare come una vera e propria mossa strategica del governo. 

Dopo il 21 gennaio si è decisamente attenuata l’escalation di violenza che aveva caratterizzato le prime cinque notti di sommosse; nelle ultime 72 ore le strade delle città – e in particolar modo nella capitale, Avenue Habib Bourguiba – si stanno letteralmente riempiendo di folle di manifestanti. Le proteste di questi giorni si caratterizzano per essere pacifiche ed ordinate, più eterogenee – anche se composte  per lo più dagli stessi giovanissimi delle sollevazioni notturne – e avvengono alla luce del giorno. I cori e gli slogan sono tutti di carattere politico ed inneggiano alle dimissioni del Movimento Ennahda e del suo leader Rachid Ghannouchi, del governo stesso e dell’intera classe politica.

Oggi lo scenario è ben diverso da quello illustrato da Saied e dai suoi uomini e sembra prospettarsi netto all’orizzonte il tratto che ha contraddistinto le contestazioni della rivoluzione del 2011. 

È così che mentre il mondo accademico occidentale da giorni continua ad organizzare dirette su Teams e Zoom per commemorare quella che loro definiscono la Rivoluzione dei Gelsomini e come la più riuscita tra quelle delle primavere arabe, nelle diverse piazze delle città della Tunisia i ragazzi continuano a lottare per la loro democrazia.

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