In una regione i cui equilibri diplomatici e politici sono in continuo mutamento, due “rivali” storici dovranno risolvere, in questo nuovo anno, le tensioni calcate nel 2020. Ma quali sono le prospettive?
Il 2020 non è stato un anno particolarmente disteso per le relazioni greco-turche. In poco più di dodici mesi, antichi e mai celati dissapori si sono alimentati di nuove strategie di allargamento dei propri confini – e dunque di sovranità nazionale – oltre che della propria potenza e di nuove alleanze. In effetti, la rivalità fra Grecia e Turchia è quasi ancestrale e sempiterna, favorita da ciò che Braudel chiamerebbe “storia geologica”, che considera le condizioni geografiche strutturali, la contiguità e prossimità territoriale, la condivisione di uno stesso spazio marittimo, tutti fattori che hanno contribuito a costruire e formare le popolazioni locali e la loro storia culturale, costellata di incontri e scontri con i propri vicini.
Se è vero che le condizioni politiche e i regimi politici sono in costante mutamento – si è infatti passati da città-stato e tribù a Regni ed Imperi fino a raggiungere la forma di Stato nazionale e nuove ed altre figure sovrannazionali – le condizioni geologiche, nonostante la volontà politica di categorizzarle ed imbrigliarle, fattualmente non cambiano.
In uno scenario regionale modificatosi quasi completamente dalla fine delle due Guerre Mondiali, sembra logico per Ankara rimostrare contro le misure ad essa imposte nei due dopoguerra: da vasto Impero al confinamento peninsulare e alla quasi assenza, se non per brevi anni, di una politica mediterranea efficace e parzialmente affrancata.
Ma il dinamismo turco, soprattutto in ambiti quali il Mediterraneo orientale – senza dimenticare l’Egeo – e la questione migratoria – che è legata a doppio filo alla presenza militare turca in Siria ed Iraq -, ha allarmato non poco la Grecia, che già lotta per la stabilità politica del territorio.
Atene è infatti costantemente in bilico e la politica interna, soprattutto negli ultimi anni, è fortemente condizionata dalle questioni estere: sovranità nazionale e migrazioni sono due aspetti che giocano una partita importante nella politica domestica, e Ankara le affronta entrambe. Il recente rimpasto di governo in Grecia, il secondo in cinque mesi, è da studiare in una nuova prospettiva strategica nel 2021: una “svolta conservatrice” in due ministeri chiave (quali l’Interno e per le Migrazioni) non è da sottovalutare, né per le dinamiche interne, né per quelle estere.
Infatti, accanto a questa modificazione degli equilibri politici interni in Grecia, debbono considerarsi gli importanti disequilibri in Turchia – specialmente quelli economici che nel lungo periodo costringeranno Ankara ad un ripensamento delle proprie strategie – e i nuovi rimescolamenti diplomatici nella regione Mediorientale, che riguardano specificamente tre impasse o processi: il processo di normalizzazionenella regione del Golfo, l’eco degli Accordi di Abramo e la politica israeliana, il confronto ideologico fra Egitto e Turchia (con rispettive alleanze).
Le prossime strategie diplomatiche di Atene, che si promettono maggiormente incisive nel 2021, vanno certamente inquadrate in una cornice regionale – ed internazionale – più ampia, come abbiamo appena accennato: ci sarà una cooperazione (militare) più serrata con gli Stati Uniti di Biden, data la sua insofferenza per Erdoğan e non solo per questo; il legame con l’asse Cairo-Abu Dhabi si rafforzerà ulteriormente, magari con nuove e più cooperazioni in campo energetico, che coinvolgeranno – politica interna permettendo – anche Tel Aviv, con la quale Atene coopererà anche sul fronte militare.
Tutte cooperazioni tese a limitare l’espansionismo e il dinamismo turco, isolare strategicamente Ankara e riportarla a piani diplomatici riconoscibili, storicamente.
Solo a quel punto il dialogo fra le due controparti potrà riprendere, ovvero quando Atene avrà Ankara sotto scacco indubbio, isolata e contenuta regionalmente, costretta ad arrendersi sotto il peso presente di una storia ormai lunga.