È da tempo ormai che il Libano riversa in una situazione economica disastrosa che richiede l’implementazione di misure politiche urgenti, in considerazione della condizionalità degli aiuti provenienti dal Fondo Monetario Internazionale, bloccati in assenza di riforme significative. L’attuale stallo politico libanese segna il fallimento dell’iniziativa francese, che all’indomani dell’esplosione del porto di Beirut, aveva stabilito delle precise linee-guida e tempistiche da rispettare. Macron ha espresso chiaramente i punti da affrontare: riforme, banche, corruzione. La formazione di un nuovo esecutivo in tempi rapidi è la premessa per attuare riforme contro la corruzione ed attrarre, in questo modo, gli investimenti stranieri. Ciononostante, la formazione del governo è in una fase di impasse politico, che di certo non rappresenta una novità per lo scenario politico libanese, il quale ha più volte sperimentato vuoti di potere.
Ma è l’incarico a Saad Hariri di formare il suo quarto governo ad essere l’emblema del fallimento di una classe politica incapace di ascoltare le istanze popolari.
Si tratta, infatti, della terza persona incaricata a formare un esecutivo quest’anno dopo che Hassan Diab ha presentato le sue dimissioni il 10 agosto, tra le accuse di corruzione e negligenza per una tragedia, l’esplosione del porto di Beirut, che ha causato 200 morti e la distruzione di molteplici infrastrutture. Ma il ritorno di Hariri sulla scena politica dimostra, quindi, la distanza incolmabile tra cittadinanza e classe dirigente. Saad Hariri promette di formare un governo con “specialisti apartitici” in grado di implementare le riforme economiche, finanziarie ed amministrative di cui il Paese ha bisogno. Ma lo stesso Hariri, che è stato costretto a dimettersi a causa delle proteste anti-governative dello scorso novembre, rappresenta il simbolo dell’establishment politico e, pertanto, simboleggia tutto ciò contro cui i manifestanti protestavano, al grido di “tutti significa tutti”.
Come può Hariri rappresentare la soluzione per la più grave crisi economica e, al tempo stesso, fare i conti con la gestione della pandemia e della ricostruzione post-esplosione? Anche se il governo venisse formato, non è detto che la crisi economica e finanziaria venga risolta, poiché non verrebbero affrontati i problemi strutturali del Libano, che presenta il più alto rapporto debito pubblico/PIL al mondo e una forte dipendenza dalle importazioni. ll problema risiede in un sistema politico settario, clientelare e disfunzionale, incapace di fornire i servizi pubblici essenziali. Secondo l’Arab Barometer, il 91% dei libanesi pensa che la corruzione sia insita nelle istituzioni, tanto che secondo il Corruption Perceptions Index del 2019 il Paese si è collocato al 137° posto su 180. Il cambiamento radicale del sistema politico e la fine del settarismo, a cui le proteste aspiravano, non sono avvenuti. Al contrario, la nomina di Hariri come primo ministro mostra, ancora una volta, la resilienza del confessionalismo libanese.
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