Nonostante un relativo stallo nelle questioni del Mediterraneo Orientale, e più specificamente della questione energetica, non può dirsi che a livello strategico e diplomatico la partita sia chiusa. Soprattutto per un Paese come la Turchia, impegnata sia sul fronte Orientale (nel Nagorno-Karabakh e nel Nord della Siria), che Centrale (nella Repubblica turca di Cipro) ed Occidentale (nell’Egeo e in Libia).
Il cessate il fuoco fra Armenia ed Azerbaijan, imposto dalla Russia, ha lasciato un relativo margine di manovra alla Turchia, storica alleata degli Azeri. Allo stesso tempo, continua la lotta nazionale contro i terroristi del PKK/YPG nel Nord della Siria dove, secondo i media turchi, Ankara sta rafforzando la propria presenza militare. In Libia la situazione è più complessa, essendovi maggiori interessi da parte del blocco occidentale, in particolare l’influenza relativa dell’Unione Europea e l’attivo coinvolgimento delle Nazioni Unite. Con tutta probabilità, sono però le differenze fra i vari attori mediterranei, ed in particolare fra Unione Europea (è bene specificare, vi sono differenze all’interno stesso dell’Unione) e Turchia, a rallentare il processo di riconciliazione libico e non solo.
L’ultima mossa di Ankara è stata il blocco dell’ispezione di una sospetta nave da carico diretta in Libia e battente bandiera turca, che era stata fermata da militari tedeschi il 22 Novembre, nel rispetto dell’Operazione europea IRINI – che di fatto monitora e rafforza l’embargo sulle armi imposto dall’ONU. Il giorno successivo, Ankara ha convocato i diplomatici di Unione Europea, Italia e Germania come atto di protesta nei confronti di un’azione ritenuta illegittima.
Tale rifiuto avviene però in un periodo complesso per Ankara. Nelle ultime settimane, le tensioni con la Francia e le difficoltà interne dell’economia turca – e il timore di sanzioni – avranno gettato un’ombra sulla possibile tenuta di una politica estera così aggressiva e persistente. La Turchia vive e si regge in piedi anche grazie all’Unione Europea e agli speciali accordi economici che intrattiene con quest’ultima – non bisogna mai dimenticare che sono strettamente legate da una unione doganale. Il 22 Novembre, lo stesso giorno in cui Ankara ha di fatto bloccato la perquisizione della nave-carico, Erdoğan ha specificato con veemenza che il posto della Turchia è in Europa, salvo poi affermare di essergli favorevole fin tanto che questa non costringa Ankara a guardare altrove – dove, non lo sa forse nemmeno il Sultano. In ciò, lo stesso Çavaşoğlu, rinforzando e riproponendo il discorso di Erdoğan, all’indomani del Summit Europeo, il 24 Novembre ha affermato che l’Europa deve riconoscere il valore aggiunto che la Turchia potrebbe portare all’Unione Europea.
Se da un lato, dunque, la Turchia non ha mai nascosto la volontà di entrare in una più stretta relazione con l’Unione Europea, è anche vero che le divergenze sul piano geopolitico e strategico sono molte e che le ultime mosse di Ankara non l’hanno di certo favorita. Neanche l’Italia, che nonostante qualche divergenza ideologica non è mai venuta meno all’amicizia, ha ancora speso una parola favorevole alla concessione della Membership europea, come ha invece fatto con l’Albania nei giorni scorsi. Non bisogna, oltretutto, sottovalutare il peso del cambio dell’amministrazione statunitense. La politica estera di Biden seguirà schemi più convenzionali: se Trump si era mostrato più morbido – disinteressato, forse – in alcune occasioni, non è certo che Biden faccia altrettanto.
In definitiva, i toni di Ankara di certo non si affievoliranno, ma è pur vero che, in una prospettiva di lunga durata, una politica estera così aggressiva e, talvolta, isolazionista, non la ripagherà. L’Unione Europea è e resterà sempre l’unica speranza per Ankara a livello regionale ed internazionale. Per tali ragioni è possibile che Ankara modificherà la propria strategia.
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