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Nell’anniversario dei venticinque anni dall’omicidio dell’intellettuale nigeriano Ken Saro-Wiwa, i processi a carico della compagnia ‘Royal Dutch Shell’, accusata di molteplici violazioni dei diritti umani e normative anticorruzione, coinvolgono sempre più attori: tra questi l’italiana Eni.
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Il processo OPL 245
Risale al 21 Luglio scorso la richiesta del procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale, ad una condanna a 8 anni di reclusione per l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi per il ruolo che avrebbe avuto nell’acquisto del maxi giacimento Opl 245 in Nigeria. Stando alla ricostruzione processuale, le compagnie petrolifere Eni e Shell avrebbero versato una maxi tangente da un miliardo e trecento milioni di dollari a personaggi di spicco del governo nigeriano per ottenere la licenza che avrebbe loro permesso di sfruttare uno dei giacimenti petroliferi più grandi del mondo (circa 6 miliardi di barili).
Risalire alle dinamiche sarebbe risultato molto semplice visto che nel 2011, dopo lunghe trattative, le due compagnie ottennero senza gara d’appalto la licenza in questione, ma invece di usare una banca nigeriana per il bonifico, come stabilito dalle norme anticorruzione, il denaro venne versato in un conto governativo parallelo con sede a Londra, la JP Morgan, venendo liquidato in poche settimane. Tra i tredici imputati, oltre al già citato AD Descalzi, figura l’ex-ministro del petrolio Dan Etete (già condannato in Francia per riciclaggio dei proventi dello scandalo Halliburton/Bonny Island, per cui Eni ha patteggiato nel 2010), in carica dal 1995 al 1998 nel governo del dittatore nigeriano Sani Abacha , per il quale la pubblica accusa avrebbe chiesto 10 anni.
Tutte le altre richieste di condanna risultano egualmente pesanti: i pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno richiesto 8 anni all’ex AD Eni Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan e vicepresidente di Rothschild in Italia; 6 anni e 8 mesi al faccendiere Luigi Bisignani, pluripregiudicato con 2 anni e mezzo di condanna per la maxi-tengente Enimont ai tempi di Mani Pulite, e i 19 mesi patteggiati nel 2011 a Napoli per associazione e delinquere, favoreggiamento e rivelazione di segreto nel processo sulla P4; 6 anni e 8 mesi a Ciro Pagano, ex managing director di Nae, una delle due società controllare da Eni in Nigeria, e all’ex dirigente nell’area del Sahara, Vincenzo Armanna, diventato da imputato a grande accusatorie di Descalzi; 6 anni all’imprenditore Gianfranco Falcioni, già vice console onorario in Nigeria, e a Ednan Agaev, ex ambasciatore russo in Colombia, mediatore per Shell; 6 anni e 8 mesi ai dirigenti di Shell, Peter Robinson, Guy Colgate e John Coplestone.
Vi sono poi le richieste della Nigeria, costituitasi parte civile del processo. Lo stato africano rappresentato dall’avv. Lucio Lucia, ha citato per responsabilità civile le due società ed ha aggiunto i danni materiali e morali ricevuti: un altro miliardo e 92 milioni di dollari – il presunto valore della maxi-tangente pagata – riservandosi, in caso di condanna, di avocare a un giudice civile per la quantificazione complessiva, che in dibattimento i consulenti tecnici del Paese africano hanno stimato in almeno 3,5 miliardi di dollari. A tutto ciò si aggiunga la richiesta di confisca di 1 miliardo e 92 milioni di dollari e 900mila euro di sanzione pecuniaria per entrambe le multinazionali
Petrolchimico e violazione dei diritti umani
Le tappe riportate dalla mappa di cui sopra evidenziano il ruolo centrale di Dan Etete e del suo establishment, non solo nella definizione delle dinamiche corruttive ma anche nella compartecipazione alle manovre antidemocratiche all’interno della Repubblica Nigeriana, stato nel quale da anni le compagnie petrolifere, in combutta con le autorità governative e giudiziarie, continuano ad essere la mano invisibile resposabile di sfruttamento, devastazione ambientale e omicidi politici.
Risale, infatti, ad appena un anno fa la notizia dello storico processo che si è aperto dinanzi al tribunale dell’Aja, in Olanda. Una pagina notevole del diritto penale internazionale che vede quattro vedove, Esther Kiobel, Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula, portare in tribunale la multinazionale Shell, accusata di molteplici violazioni dei diritti umani e di aver svolto un ruolo attivo nella morte dei loro mariti, quattro dei nove attivisti del ‘MOSOPMovimento non violento per la sopravvivenza del popolo Ogoni’, furono giustiziati il 10 novembre del 1995 dalle autorità nigeriane. Tra essi figura il nome eccellente di Ken Saro-Wiwa, intellettuale, poeta e fondatore del MOSOP arrestato e condannato a morte in un processo-farsa con un’accusa fondata solo sulla base di testimoni, che poi hano ritrattato e confessato di essere stati costretti a giurare il falso.
Di fronte ai PM dei Paesi Bassi siede dunque la compagnia “Royal Dutch Shell”, ritenuta dall’accusa mandante indiretta dell’impiccagione degli attivisti del MOSOP, ma non solo; da 25 anni le donne sostengono che le repressioni subite dagli Ogoni siano state indirettamente provocate dalla presenza di Shell, dalla quale pretendono un risarcimento e scuse pubbliche. Seppur, infatti, siano stati più volte attribuiti i crimini ad essa ascritti, come testimonitato dai processi Wiwa v. Royal Dutch Petroleum, Wiwa v. Anderson, Wiwa v. Shell Petroleum Development Company, che nel 2009, costarono alla compagnia 15,5 milioni di dollari di risarcimento per il figlio di Ken Saro Wiwa, la stessa sembra non intenzionata a cambiare rotta e ad agire nel pieno rispetto dei protocolli e parametri giuridici internazionali e locali.
Osservatorio Diritti, riportando le evidenze del progetto Niger Delta Oil Spill Decoders, ha raccolto i dati delle perdite di petrolio provocate da Eni e Shell: fino al 2011, le perdite di petrolio ammontano ad almeno 17,5 milioni di litri, secondo i rapporti di Shell, mentre Eni fino al 2014 avrebbe perso almeno 4,1 milioni di litri.Ancora una volta l’italianissima Eni viene, dunque, coinvolta in affari illeciti con la Shell. La società italiana, lo ricordiamo, non è estranea a tali vicende giudiziarie: oltre al già citato “Opl245”, nel 2018 Eni venne trascinata in tribunale dai legali della ONG “Friends of the earth”, in rappresentanza degli abitanti della comunità Ikebiri, un popolo che vive di pesca e agricoltura sul delta del Niger.
Si parla di effetti devastanti dovuti ad un disastro ambientale avvenuto nel 2010 a Clough Creek, nello Stato meridionale del Beyalsa, con 17,5 ettari di terreni contaminati da 150 barili di petrolio fuoriusciuti dalle tubature di un oleodotto e la distruzione della quasi totalità degli allevamenti di pesce. In tale sede va menzionata la posizione del colosso italiano il quale, pur riconoscendo l’incidente a suo carico, ne contesta la portata, affermando inoltre di aver effettuato la bonifica secondo termini di legge -della quale la controparte ne contesta la veridicità- e adducendo la riserva del principio di competenza territoriale, richiedendo lo spostamento dall’Italia in Nigeria, per motivi di giurisdizione. Per il momento il processo rimane celebrato a Milano.
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Perchè la Nigeria è un nostro problema
Secondo EASO, l’Agenzia Europea di Supporto all’Asilo, in Nigeria il contesto apparirebbe molto travagliato: alcune autorità statuali nigeriane e i responsabili affiliati, quali le Nigerian Armed Forces (NAF, forze armate nigeriane), la Nigeria Police Force (NPF, forze di polizia nigeriane), la polizia islamica (hisbah) e la Civilian Joint Task Force (CJTF, task force comune civile), sono accusati di aver commesso un gran numero di violazioni dei diritti umani. Sul territorio della Nigeria, poi, operano diversi gruppi armati, tra i quali Boko Haram, divisosi nel 2016 in due gruppi: Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’adati walJihad (JAS), guidato da Abubakar Shekau e Islamic State – West Africa (ISIS-WA), capeggiato da Abu Musab al Barnawi. Non da ultimo il Delta del Niger comprende gli Stati di Ondo, Edo, Delta, Bayelsa, Rivers, Imo, Abia, Akwa Ibom e Cross River, aree all’interno delle quali operano diversi gruppi di militanti: i loro membri chiedono un miglioramento delle condizioni nella regione e protestano contro il degrado ambientale dovuto allo sfruttamento del petrolio.
In tale marasma di conflitto sociale, si inserisce lo sfruttamento intensivo delle grandi compagnie europee (non solo petrolchimiche) le quali approfittano della frammentazione e della precarietà del paese africano per lucrare e trarvi il maggior profitto possibile, in flagrante violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, commerciale ed internazionale umanitario. In un “rapporto esplosivo” targato Amnesty International, vengono infatti esposte le violazioni di Shell e altre compagnie affiliate che avrebbero pagato forze di sicurezza “speciali” per reprimere nel sangue le proteste degli autoctoni nigeriani.
Le stesse NN.UU, nel rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), hanno confermato le accuse di devastazione ambientale e grave violazione dei diritti umani da parte di soggetti esterni in Nigeria. Risulta lapalissiano, dunque, come la complessità nigeriana e l’interventismo commerciale europeo siano strettamente legati se non propedeutici ai fenomeni di traffico umano, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, immigrazione clandestina e -in prospettiva italiana- agromafie e caporalato. Ogni singola goccia di carburante, ogni centesimo elargito alle grandi multinazionali del petrolio, ha a che fare con dinamiche genocide e guerrafondaie, dinamiche che irrimediabilmente vengono a bussare alle porte di casa nostra. Sta a noi il grande potere di scelta: se voltarci dall’altra parte o sostenere gli avvocati delle ONG e delle associazioni civili che lottano per far luce sulle ingiustizie internazionali di cui noi tutti siamo, inconsapevolmente, complici.
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