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Da alcuni mesi sta consumandosi uno scontro ideologico importante fra Parigi ed Ankara, che nelle ultime settimane (da quando l’Islam è stata definita una “religione in crisi” dal Presidente Macron) si è decisamente inasprito, con toni molto accesi da ambo le parti.Macron continua a denunciare il radicalismo islamico, identificandolo come uno dei maggiori problemi di disgregazione sociale. Nel farlo, non risparmia sicuramente colpi alla religione islamica nel suo complesso. Questo per alcuni motivi fondamentali: l’Islam non è solo una religione, ma, potremmo dire, è un sistema mondo nel suo complesso. Esso non prevede “distinzione tra atti del culto ed atti sociali del comportamento” (Campanini, 2004). In quanto religione dell’unicità ed unica religione, essa unifica tutti i valori, quelli trascendentali e quelli materiali. Proprio per questo motivo, l’Islam offre una visione complessa e complessiva del mondo e può dirsi abbia e fornisca anche un sistema politico nel suo insieme.
Il Presidente Macron legge in questa intricata realtà una minaccia alla tenuta della Repubblica francese, già fortemente in sofferenza per tutta una serie di complicati problemi sociali ed economici (solo un caso è quello dei gilet gialli), non per ultime le pesanti conseguenze del Covid-19. Tutto ciò ha comportato anche una perdita di consensi politici per l’Eliseo. In ciò, fondamentalmente, Erdoğan ha ragione quando afferma che Macron sta cercando consensi interni attraverso il nemico comune dell’islamismo. Per la società francese, fortemente legata alla propria idea di laicità, la questione islamica funge da collante fra le diverse parti politiche, se si pensa anche ai numerosi attentati terroristici verificatisi negli ultimi anni.
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Sicuramente, v’è da aggiungere, l’obiettivo di Macron è anche un altro, ed è diretto più verso est. Non è un caso che sia stato proprio Erdoğan a rispondere alle provocazioni dell’Eliseo. Non solo perché le politiche regionali delle due Nazioni sono diametralmente opposte (in Libia, come Siria e Libano e non ultima v’è la questione marittima con Cipro e Grecia); ma anche perché, da anni, il Sultano è considerato un punto di riferimento per tutti i musulmani d’Europa che cercano il costante equilibrio fra modernità e religiosità. Erdoğan si erge quale difensore dei musulmani proprio in virtù di ciò. In questi termini, lo scontro è decisamente geopolitico. In risposta alla “islamofobia” di Macron, egli ha chiesto ai propri concittadini di boicottare i prodotti made in France (non potendolo fare direttamente). Ma ciò che sconvolge un po’ in più, per la memoria collettiva europea e non solo, è che Erdoğan abbia intravisto, in Europa, una rassomiglianza fra il trattamentoriservato ai musulmani oggi e quella agli ebrei prima della Seconda Guerra Mondiale.
Un paragone molto forte, che nasconde in sé due aspetti da non sottovalutare: anzitutto sottolinea l’ormai palese malessere delle comunità islamiche e dei musulmani in Europa che, al pari del “popolo senza patria”, fanno fatica ad integrarsi all’interno del tessuto sociale ed economico europeo (e, nella maggior parte dei casi, è anche colpa delle istituzioni); ma – e questo è il secondo aspetto – contrariamente agli ebrei del primo Novecento, i quali non godevano di una istituzione o di una nazione che prendesse le loro parti, anche solo nel dibattito pubblico, i musulmani hanno un riferimento (internazionale) sicuro su cui poter contare e ancora una volta Erdoğan vuole mostrarsi come tale. Questo scontro ideologico, che in realtà nasconde fra le pieghe anche un conflitto geopolitico, purtroppo è destinato ad intensificarsi nei prossimi anni, soprattutto a seguito dei profondi cambiamenti demografici che interesseranno le due sponde del Mediterraneo e il perdurare degli attriti politici in tutto il Mediterraneo orientale.
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