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Il 1° ottobre del 2019 iniziavano ingenti proteste anti-governative in Iraq. Un anno dopo, nella capitale irachena migliaia di persone si sono radunate per commemorare i “martiri” delle proteste popolari. Mosse principalmente dai giovani, i quali lamentavano l’alto tasso di disoccupazione e la corruzione rampante, e chiedevano un cambiamento radicale del sistema politico, sono state però represse violentemente dal governo e dai vari gruppi paramilitari. Dall’inizio delle rivolte, secondo le stime ufficiali del governo, sono morte 560 persone, tra manifestanti e forze di sicurezza. Questo, però, non ha interrotto il movimento che, anzi, ha continuato la sua battaglia. Tra le richieste principali, i manifestanti chiedevano la fine della corruzione, la fine dell’interferenza straniera, in particolare di quella iraniana, e l’erogazione dei servizi essenziali. Ad un anno di distanza, poche di queste richieste sono state soddisfatte. L’uccisione degli attivisti e le azioni intimidatorie nei loro confronti sono cresciute nei mesi. Ma oltre alla promessa, da parte del primo ministro Mustafa al-Khadimi, di creare un comitato investigativo per gli attacchi commessi contro i manifestanti e il licenziamento di un centinaio di uomini appartenenti al ministero della difesa, ben poco è stato fatto.
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La situazione irachena è, però, particolarmente complessa e questo non deve essere dimenticato nell’analizzare l’operato di al-Khadimi. Quest’ultimo si è trovato a gestire molteplici crisi sul piano interno e a gestire delicate relazioni in politica estera. L’Iraq sta attraversando una gravissima crisi economica, esacerbata dal Covid-19 e dalle conseguenti misure di lockdown attuate per contenere il virus. Il crollo del prezzo del petrolio, inoltre, ha colpito un’economia scarsamente differenziata e in gran parte dipendente dai proventi dell’industria petrolifera. Il governo iracheno si trova nella difficile situazione di trovare le risorse sufficienti anche per i servizi basilari, come pagare lo stipendio dei dipendenti pubblici. Pertanto, sono necessarie delle riforme economiche, tra cui supportare la crescita del settore privato non petrolifero, ma che potrebbero essere di difficile attuazione, considerato anche lo scarso supporto di cui gode il Primo Ministro all’interno del parlamento. Le prossime elezioni sono previste per il 2021, un anno in anticipo rispetto al previsto, per cui il governo ha a disposizione un tempo troppo ristretto per mantenere tutte le promesse che ha fatto. Come ha recentemente commentato il ricercatore Renad Mansour, al-Khadimi si trova con “un piede nel campo dell’èlite e con l’altro nel campo dell’anti-establishment. Alla fine, finirà per non soddisfarne nessuno”.
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