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Nei giorni scorsi, il Ministro Di Maio si è recato in Libia, mentre il premier Conte è volato in Libano. Occasioni per ribadire la presenza italiana e, se sfruttate, per avere un ruolo in due Paesi strategici.
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Il Libano e la Libia rappresentano due Paesi chiave per gli interessi geopolitici italiani. Nei giorni scorsi, Conte si è recato a Beirut ed è stato il secondo leader europeo a farlo, dopo Macron. Tuttavia, l’atteggiamento italiano e francese sono molto diversi. Basti notare la tempestività con cui Macron si è recato in Libano, 48 ore dopo, e a cui sono seguite altre visite, mentre, al contrario, Conte è volato a Beirut solo il 7 settembre. Certo, il Libano ha, per ragioni storiche, relazioni differenti con i due Paesi. Un passato da ex-protettorato francese, ha mantenuto forti legami con Parigi, al punto da non inibire Macron nel dettare delle precise linee guida da seguire in cambio degli aiuti internazionali, intervenendo, in questo modo, in maniera diretta nella politica libanese.
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La visita di Conte serve a ribadire la presenza italiana in Libano, significativa grazie alla missione UNIFIL, ed ora accentuata dall’operazione “Emergenza Cedri”.
Di diverso stile appare, quindi, la strategia italiana, riassunta nelle parole di Di Maio: “il nostro ruolo storico è quello di mediare e far parlare le parti”. È evidente in Libano, e ancora di più in Libia, che costituisce una priorità nella nostra agenda. La delegazione italiana in Libia non ha solo incontrato al-Sarraj, Presidente internazionalmente riconosciuto, ma anche Aguila Saleh, Presidente del parlamento con sede a Tobruk. Durante la visita di Di Maio, particolare attenzione è stata posta alle relazioni economiche, con l’obiettivo di riesumare il vecchio Accordo Berlusconi-Gheddafi e il progetto di istituire una Commissione italo-libica per gli affari economici. L’accordo, conosciuto come Trattato di Bengasi, risale al 2008 e prevedeva il versamento di 5 miliardi di dollari per la realizzazione di infrastrutture, in cambio della garanzia a concedere gli appalti alle aziende italiane, del controllo dei flussi migratori e della cooperazione nel settore energetico. La somma era da intendersi come forma di compensazione per gli anni dell’occupazione italiana nel Paese.
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Ora l’Italia riparte da questo accordo, interrotto dalle proteste del 2011 e dalla guerra civile. L’Italia, pertanto, cerca di emergere come l’attore principale della ricostruzione. La stabilizzazione economica in Libia sarebbe il punto di partenza per la stabilizzazione politica, per un maggior controllo dei flussi migratori e, si spera, per un maggior rispetto dei diritti umani. Tuttavia, questa tendenza a voler mediare tra le parti, sebbene sia lodevole in alcuni casi, potrebbe denotare l’assenza di una chiara presa di posizione e una strategia poco coerente ed incisiva, come nel dossier libico. La tregua tra al-Sarraj e Saleh può essere un’occasione “per ritornare ad essere protagonisti in Libia”, citando Conte, ma non bisogna sottovalutare la grande volatilità dello scenario in Libia.
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