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Alla luce della dichiarazione congiunta sul cessate il fuoco in Libia, di venerdì scorso, e del rafforzarsi della presenza militare di Ankara e Doha nel paese, decisiva sarà la strategia utilizzata dal presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Agila Saleh, nel tutelare gli interessi delle potenze arabe conservatrici nella regione e nel delineare i futuri assetti geopolitici della Libia.
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Venerdì scorso, il governo di accordo nazionale di Tripoli, sotto il comando di Fayez al-Sarraj, e il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Agila Saleh, hanno annunciato il cessate il fuoco in Libia. Il generale Khalifa Haftar, a comando dell’Esercito Nazione libico, non è stato coinvolto in queste nuovi tentativi di de-esclation del conflitto, divenuto una crisi regionale a tutti gli effetti. In aggiunta, lunedì scorso, i responsabili della difesa della Turchia e del Qatar, hanno firmato, con il governo di Tripoli, un accordo che assegna il porto della città di Misurata alla Turchia, come base militare, e che affida al Qatar la ricostruzione dell’aeroporto militare al-Watiya.
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Nei mesi precedenti, la resistenza della presenza di Haftar nel conflitto, e delle sue milizie, è stata garantita dal supporto militare fornito da potenze regionali e internazionali, alleate col fronte arabo anti-islamista, ovvero Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia. Al momento, i soldati dell’Esercito Nazionale Libico, tra cui i mercenari russi, sono fermi a Sirte e al-Jufra, col sostegno delle milizie egiziane, intervenute militarmene nel conflitto a fine giugno. Il conflitto libico appare dunque congelato, ma è chiaro chi ne sta traendo maggiori vantaggi e chi vede compromessi i propri interessi geo-politici nella regione.
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Il sostegno di Ankara, intervenutain Libia con i suoi proxies, tra cui jihadisti tunisini e siriani, è stato fondamentale per frenare, questo giugno, l’avanzata del generale Haftar verso Tripoli. D’altra parte, anche il supporto militare offerto dal Qatar, nei confronti del governo tripolino di al-Serraj, non è stato da meno. Doha è tra i maggiori alleati di Ankara nella regione. Entrambi gli stati sostengono l’istituzione di un regime pro-islamista in Libia, in contrasto con le ideologie politiche dei paesi del golfo, in primis Abu Dhabi, e del presidente egiziano al-Sisi. Egli, facendo leva su una retorica pan-araba e sulla necessaria lotta al terrorismo nel deserto occidentale, è intervenuto militarmente nel conflitto, a sostegno dell’Esercito Nazione Libico di Haftar, con l’approvazione del Consiglio supremo degli sceicchi e dei notabili della Libia.
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Tirando le summe, dunque, il fronte regionale islamista – Qatar e Turchia – sta riuscendo a frenare gli interessi degli stati arabi conservatori in Libia – Egitto e Emirati Arabi Uniti – e, per entrambe le parti, la presenza di Haftar non appare rilevante come in passato. Il generale è stato sostituito da Agila Saleh, il cui ruolo nella risoluzione politica della crisi libica, in vista delle elezioni previste per marzo dell’anno prossimo, è di primaria importanza. Egli è di fronte a un bivio: mediare tra Turchia e Qatar, o tutelare maggiormente gli interessi dell’Egitto, che fa della stabilizzazione della Libia, e della lotta all’islamismo, una questione di sicurezza nazionale e regionale.
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