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Mentre la comunità europea ed internazionale critica Lukashenko, la Cina di Xi continua a supportarlo. Ma quali sono le motivazioni dietro questa scelta?
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Il 9 agosto si sono tenute in Bielorussia le elezioni presidenziali che hanno visto trionfare, secondo i dati ufficiali, il presidente uscente Alexander Lukashenko. Presidente della repubblica bielorussa sin dal 1994, Lukashenko ha guidato per quasi tre decenni un paese fortemente dipendente dal vicino russo, trascinandolo in una crisi economica, sanitaria e umanitaria in tempi di covid. Secondo l’opposizione guidata da Svetlana Tikhanovskaya, il risultato delle elezioni di agosto sarebbe illegittimo, essendo frutto di brogli e dei numerosi ostacoli posti alla campagna elettorale degli oppositori del presidente. La Commissione Europea, attraverso le voci di Charles Michel e Ursula von der Leyen, il ministero degli esteri britannico e la Casa Bianca hanno espresso preoccupazione per le modalità di svolgimento delle elezioni e per la repressione delle proteste dell’opposizione. In questo contesto, quale posizione ha adottato Pechino?
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Prima delle elezioni, l’ambasciatore cinese a Minsk, Cui Qiming aveva ribadito il supporto di Pechino a Lukashenko, lodandone le politiche di sviluppo sociale e l’impegno per una maggiore autonomia da Mosca. Appreso il risultato delle urne, il presidente Xi Jinping si è congratulato con Lukashenko a nome dell’intera nazione. Il portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese Zhao Lijian, ormai diventato una star di Twitter, ha ribadito la ferma opposizione ad interferenze esterne nella questione bielorussa e ha augurato alla popolazione di Minsk di ritrovare la stabilità sociale, evitando di cedere a drastiche forze di rottura.
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La posizione di Pechino deriva dalla sua tradizionale opposizione al rovesciamento dello status quo e alla suo impegno nel rispettare il principio di non interferenza negli affari esteri, sottoscritto a Bandung nel 1955. Il supporto nei confronti di Lukashenko è motivato inoltre dalle relazioni cordiali tra i due paesi portate avanti sotto la sua guida. La Bielorussia, dal punto di vista della politica estera cinese, non è certo una zona ad alta priorità, tuttavia il paese è parte della cosiddetta “Greater Europe Zone”, un gruppo di 13 paesi in Asia Centrale più la Turchia, considerati di importanza strategica per garantire risorse energetiche, accedere ai mercati europei e vendere i prodotti manifatturieri della PRC.
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Cina e Bielorussia sono legate dal trattato sugli investimenti del 1993, dalla costruzione del Great Stone Industrial Park iniziata nel 2012 e dall’accordo di cooperazione riguardo la Belt and Road Initiative (BRI) firmato nel 2014. Il parco industriale è stato finanziato da entrambe le repubbliche con l’obiettivo di ospitare attività industriali legate all’alta tecnologia, sia cinesi che bielorusse, in uno spazio concentrato che desse vantaggi infrastrutturali ed economici nell’area della Unione Economica Eurasiatica. Dichiarato un progetto centrale nell’ambito della BRI, un report del Mercator Institute for China Studies rivela le difficoltà di finanziamento, export e insediamento delle aziende high tech bielorusse. Più di recente le relazioni sino-bielorusse si sono rafforzate grazie al prestito del valore di 500 milioni di dollari accordato a Minsk dalla China Development Bank. La somma è stata erogata per fornire alla Bielorussia liquidità con cui ripagare il proprio debito estero, di cui Mosca è il principale creditore.
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Il significato geopolitico della Bielorussia, dal punto di vista cinese, risiede quindi nel gioco di equilibri con Mosca, con la quale Pechino coltiva rapporti cordiali ma non necessariamente di totale fiducia. Garantendo a Minsk facile accesso al capitale cinese, Pechino spera di rafforzare l’autonomia bielorussa ed evitare un ulteriore rafforzamento economico e territoriale del vicino russo. La Bielorussia di Lukashenko resta quindi per il dragone un territorio strategico sia dal punto di vista geopolitico che economico. Di conseguenza, incoraggiare il movimento di protesta e la presidenza di Tikhanovskaya sarebbe come andare incontro all’ignoto ed assumere un rischio piuttosto sconveniente per Pechino.
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