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Emmanuel Macron è stato il primo Capo di Stato straniero a recarsi a Beirut dopo l’esplosione. Appare evidente la volontà di far ritornare il Libano sotto la sfera di influenza francese. E c’è già chi lo accusa di neocolonialismo.
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Due giorni dopo l’esplosione al porto di Beirut, il Presidente francese, Emmanuel Macron, è volato nella capitale libanese, accolto come un eroe durante un tour tra i vari luoghi danneggiati, nello stesso tempo in cui il governo guidato da Hassan Diab presentava le dimissioni. Non è un caso che Macron sia stato il primo Capo di Stato straniero a recarsi a Beirut. Forti legami storici legano i due Paesi. Il Libano è stato un protettorato francese dal 1920 fino al 1943, anno dell’indipendenza, ma l’eredità coloniale è ben visibile ancora oggi.
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Immediatamente dopo l’esplosione di Beirut, Macron ha convocato una conferenza internazionale in supporto alla popolazione libanese, per l’erogazione di aiuti economici, indispensabili per risollevare il Paese dalle molteplici crisi che sta attraversando e che la recente esplosione non ha fatto altro che esacerbare, a patto, però, che vengano adottate riforme in risposta alle richieste dei manifestanti. E di fronte all’incapacità della classe dirigente di gestire la situazione, decine di migliaia di libanesi hanno firmato una petizione, con la richiesta di porre il Paese sotto un mandato francese, che, secondo i sostenitori, garantirebbe una governance stabile e duratura. La volontà di ritorno ad un passato coloniale rappresenta, ormai l’ennesimo, e ancora più forte segnale della totale disillusione della cittadinanza nei confronti dell’élite politica libanese.
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E se è vero che le accuse di colonialismo provenienti dal premier turco Erdogan possono mancare di credibilità, bisogna, tuttavia, evidenziare che la visita di Macron sembra svelare qualcosa di più delle semplici relazioni amichevoli tra due Paesi. In questo momento, Macron sembra riempire il vuoto politico provocato dalle dimissioni del governo. Facendosi il maggior promotore degli aiuti internazionali, rafforza l’influenza francese sul Libano. Anche la data scelta per ritornare in Libano, ossia il primo settembre, per verificare il processo di ricostruzione, non è casuale. Nello stesso giorno del 1920, infatti, fu proclamato lo Stato del Grande Libano, sotto mandato francese, a seguito del progetto di spartizione dei territori dell’Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale.
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Attualmente, appare evidente la volontà del Presidente francese di presentarsi come l’eroe della ricostruzione, ristabilendo il controllo su un Paese strategico in Medio Oriente, ma che, negli ultimi anni, era più vicino agli interessi di Teheran. Considerato il diffuso malcontento verso la classe politica e le sofferenze a cui è sottoposta la popolazione, il progetto di Macron potrebbe non trovare grossi ostacoli. Ma un Libano indipendente e libero dalle interferenze esterne, una delle richieste delle proteste, continua ad essere un miraggio. Bisogna, poi, fare i conti con la presenza ingombrante di Hezbollah che, seppur in crisi, ricopre un ruolo centrale.
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