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Nel contesto di un mondo sempre più sensibile alle istanze portate avanti dal movimento Me Too, ma al contempo critico di quelle che a volte percepisce come forme di femminismo “estremo”, due società dalla natura fortemente maschilista come quella italiana e quella coreana si sono trovate ad affrontare nei primi mesi del 2020 la scoperta di alcune chat private su Telegram che diffondevano materiale pornografico, pedopornografico, revenge porn e video di violenze sessuali, a pagamento e non. Pur non essendo né le prime né le ultime, questi due casi hanno avuto notevole risonanza in entrambi i paesi, anche se in maniera diversa. La notizia in Italia sembra avere avuto risonanza principalmente sui social, soprattutto su Twitter, dove migliaia di utenti si sono mobilitati per far si che il caso venisse preso in mano dalla polizia e che venissero presi dei provvedimenti in merito alle chat e alle persone coinvolte. D’altro canto, la notizia della “nth room” in Corea ha avuto una notevole risonanza mediatica sui cosiddetti media tradizionali e ha visto la mobilitazione di milioni di persone.
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La chat coreana sarebbe rimasta aperta dal 2018 al 2020, ma le prime indagini iniziarono già nel gennaio del 2019. Tra fine 2019 e inizio 2020, in totale sono state identificate 124 persone collegate alla gestione della chat, ma il cosiddetto ‘God God’, il capo del gruppo che gestiva l’intera operazione, è stato identificato solo a maggio 2020. Le vittime, secondo le autorità, sarebbero più di 100, di cui 26 minori, che sono state minacciate e costrette a fornire foto e video di se stesse, materiale che poi i gestori delle chat hanno venduto tramite criptovalute. Tale metodo di pagamento rende particolarmente difficile identificare coloro che hanno acquistato i video e le foto. Simbolicamente, a marzo del 2020, le autorità coreane hanno presentato al pubblico il volto di ‘Doctor’, uno dei 18 gestori della chat, tutti arrestati e legalmente perseguibili, con un collare medico al collo, così che non potesse piegarlo e il pubblico potesse vedere in faccia quella persona che ha per mesi definito “il diavolo”: un momento simbolico importante, dopo che circa 2 milioni di coreani avevano firmato una petizione perché venisse rivelata la sua identità. Sono state firmate tante altre petizioni, tra cui una che chiedeva di rivelare i nomi delle decine di migliaia di persone che facevano parte di una delle 8 “nth rooms” e che acquistavano il materiale.
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D’altro canto, come già detto, la situazione in Italia ha scioccato i social per qualche settimana per poi essere dimenticata e non essere addirittura quasi pervenuta al pubblico generale. Un rapido sguardo sul sito di Repubblica, per esempio, fa rapidamente notare la sproporzione tra la quantità di articoli scritti sulla diffusione di copie pirata dei quotidiani sull’app, rispetto a quella della diffusione di materiale pornografico, revenge porn e video e foto di violenze sessuali, anche di gruppo. L’inchiesta più importante è stata portata avanti da Wired Italia, che aveva parlato del problema già nel 2018. I nomi dei gruppi italiani non lasciano dubbi riguardo al contenuto delle stesse, e proprio Wired riporta ampiamente i contenuti fortemente violenti delle chat: revenge porn, pedopornografia, organizzazione di azioni di stalking, nonché condivisione di materiale sensibile, quali numeri telefonici, indirizzi e dati personali delle vittime. Inoltre, nonostante il focus dei titoli dei principali articoli si concentri sul revenge porn, è importante sottolineare che ciò costituisce solo una parte dei contenuti scambiati su queste chat, dove vengono caricate anche normalissime foto postate su social come Instagram e Twitter, e che quindi ci si trova di fronte ad un nuovo tipo di violenza sessuale virtuale. Anche in Italia, procedono le indagini della polizia postale, indagini che vengono rese difficili dalla natura stessa dell’app. Le chat crittografate, a cui si può accedere solo con un link inviato da qualcuno che è già presente nella stessa, sono così difficili da trovare; inoltre, l’app ha dei termini di servizio abbastanza semplici e i “post pornografici illegali” e “l’incentivo alla violenza” sono vietati solo se sono visibili pubblicamente.
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Come dalla “nth room”, nonché il caso ancora precedente che coinvolgeva diverse personalità del mondo dello spettacolo coreano, lo scandalo Burning Sun, anche nel caso dell’Italia le chat si sono propagate a perdita d’occhio: appena ne veniva scoperta una, tutti si andavano a rifugiare nella versione 2.0 della stessa chat appena chiusa. Se anche l’intervento delle forze dell’ordine ha permesso la chiusura di alcune di esse, sarà necessaria una costante attività di monitoraggio dell’app o, ancora meglio, una revisione delle regole relative ai contenuti condivisibile, cosa che non sembra possibile, visto che proprio la privacy è il punto di forza dell’app.
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In Corea del Sud il caso ha dato il via alla redazione di linee guida per i casi di violenza sessuale virtuale, oltre al voler stabilire un minimo di anni di detenzione e rimuovere la prescrizioni per violenza sessuale nei confronti di bambini e minori. In Italia, a livello legislativo e politico, il caso non ha avuto grande risonanza, se non il commento di qualche parlamentare, questo anche perché, come già detto, il focus è stato posto sul problema del revenge porn, contro cui una legge già esiste, andando quindi ad oscurare tutti gli altri contenuti deplorevoli condivisi dagli utenti su cui bisognerebbe andare a ragionare, invece, proprio a livello legislativo. In Italia, cosiccome in Corea, al di là del problema iniziale dell’app (chiusa una chat, se ne apre un’altra e il circolo continua), rimane il problema dei singoli individui che ritengono accettabili determinati contenuti violenti, problema non risolvibile con la semplice riscrittura delle condizioni e dei termini di utilizzo, e a cui viene permesso di continuare le loro attività, “protetti”, in questi luoghi telematici.
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