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Lo sversamento delle 20.000 tonnellate di gasolio nell’artico siberiano di fine Maggio continua a destare estrema preoccupazione, e gli esperti ipotizzano addirittura l’arrivo nel Mar Glaciale Artico.
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Continua a destare profonda preoccupazione l’incidente di fine Maggio nell’artico siberiano che ha causato lo sversamento di circa 20.000 tonnellate di gasolio nel terreno e nel sistema fluviale siberiano. Ciò che preoccupa di più è la capacità di poter contenere la contaminazione prima possibile e lo stesso presidente Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non ha esperienza di operazioni di pulizia di corpi d’acqua in seguito ad una contaminazione tanto vasta. Parole che non rassicurano affatto sulla possibilità di arginare il disastro. Nel frattempo Greenpeace stima il danno ambientale in 1.4 miliardi di dollari e serviranno circa dieci anni per permettere alla biodiversità di tornare alle condizioni precedenti al disastro. Gli esperti si sono espressi con toni estremamente preoccupati non solo circa l’evento e le sue conseguenze, ma su come questo incidente possa essere il primo (di questa portata) di una lunga serie se non si intraprendono tempestive misure soprattutto nei territori in cui sopra lo strato di permafrost sono state costruite infrastrutture per l’estrazione di risorse minerarie, gasdotti, oledotti e centri urbani più o meno grandi.
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Da anni la comunità scientifica sta cercando di focalizzare l’attenzione sulle drammatiche conseguenze dello scioglimento del permafrost, ben evidenziate nel report dell’Arctic Monitoring and Assessment Programme. La possibilità che la contaminazione si sposti verso il Mar Glaciale Artico è tutt’altro che remota: Victoria Herrmann, managing director dell’Arctic Institute e Rob Huebert, specialista dell’Università di Calgary, concordano sull’imprevidibilità del percorso che la fuoriuscita può intraprendere. C’è la possibilità che resti all’interno del territorio russo tanto quanto raggiunga anche paesi limitrofi e che arrivi anche nel Mar Glaciale Artico. In questo ultimo caso, di certo, sarà un bel test per vedere se il già precario stato dei rapporti geopolitici tra molti Stati dell’area artica comprometterà un’azione, che solo se collaborativa, potrà sia contenere il disastro in termini puramente ambientali che limitare il deterioramento dei rapporti internazionali.
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