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Santa Sofia, basilica cristiana per quasi mille anni, sede del Patriarcato di Costantinopoli, conquistata dagli ottomani nella seconda metà del Quattrocento, nel 1935 viene adibita a museo per volontà di Kemal Atatürk. Proprio per la valenza simbolica, sia per la cultura cristiano ortodossa che per quella islamico ottomana, il desiderio di Erdoğan di trasformarla in moschea è un chiaro messaggio politico ai vicini.
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La volontà di Erdoğan di ergersi quale Sultano del neo Impero Ottomano può vedersi nell’energia con cui la politica turca, nel corso degli ultimi 20 anni, abbia tentato di tessere e ricreare le fila dell’unica Ummah islamica. Attraverso vari elementi di soft power, come finanziamenti di capitale, agevolazioni, cinema e letteratura, Ankara ha cercato di conquistare consensi nel mondo arabo, al quale la Turchia non appartiene propriamente. E il soft power turco è stato molto spesso anche veicolo di propaganda: basti pensare all’impatto mediatico di alcune importanti serie TV e film turchi (Dirilis: Ertugrul, Muhtesem Yüzyil, Kurusul: Osman, etc.) nel Mediterraneo ed in tutto il Medio Oriente.
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Non è un caso, quindi, che per avallare le pretese sul Mediterraneo, dopo aver sfoderato le armi in Libia e messo in mare le proprie navi, ora Ankara ricorra ad argomenti che hanno poco a che fare con l’hard power e lo sconfinamento territoriale e marittimo, utilizzando la carta del soft power religioso. L’indignazione è stata più o meno la stessa: “attaccare” lo Statuto dell’antica Basilica di Santa Sofia per poterla adibire a culto islamico non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco delle rivalità fra Ankara ed Atene. Erdoğan ci aveva già provato nel 2019, ma oggi ha una ragione in più. La minaccia ha chiaramente un messaggio politico per la terra della Croce bianca (la Grecia, appunto): Çavaşoglu ha fatto sapere chiaramente che l’avvenire di Santa Sofia a Istanbul “non è una questione di affari internazionali, ma di sovranità nazionale”. È chiaro che quando il Ministro degli Esteri turco parla di “sovranità nazionale” non sta riferendosi solamente al territorio sul quale è costruito il complesso di Santa Sofia: velatamente, avverte Atene riguardo le acque dell’Egeo e del Mediterraneo orientale, ricordandole che Ankara ha il diritto di esercitare, sulle acque da lei identificate, la potestà nazionale.
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Toccando le corde sensibili dell’ancestrale rivalità fra la Croce e la Mezza Luna bianche, ancora una volta la Turchia mette in guardia ed afferma, con caparbietà, di non essere disposta a rinunciare alla possibilità di diventare (o rimanere) un attore importante nel Mediterraneo e di non poter essere escluso a priori solo per la propria storia culturale-religiosa. Molto dipende anche da questa questione. Di fatto, l’aver escluso la Turchia dai giochi di potere ha accresciuto la volontà di questa di ricreare una scacchiera autonoma sulla quale giocare una partita del tutto truccata. Un cambio di strategia, soprattutto per i Paesi europei e dell’Unione europea, nel segno della cooperazione, è necessaria per ridurre l’attrito nel Mediterraneo.
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