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Quando il presidente Carter ha firmato il Comunicato Congiunto per l’inizio di Relazioni Diplomatiche il 16 dicembre 1978, Cina e USA sembravano aver raggiunto un equilibrio tra divergenze e interessi comuni. 32 anni dopo, le divergenze sembrano prevalere tanto da dare inizio ad una “Nuova Guerra Fredda”. In bilico tra le due potenze, tirata tra un’alleanza storica e interessi commerciali di primo piano con Pechino, vi è la nostra Europa.Nel 2014, prima dell’escalation nelle tensioni Cina-USA e delle divergenze interne europee causate dalla Brexit, i sinologi Gill e Small auspicavano una cooperazione UE-USA per disegnare una politica comune nei confronti di Pechino. Ad oggi, questa possibilità sembra sfumata e gli alleati sembrano più divisi che mai.
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Le mosse cinesi
Da quando il Presidente Xi Jinping ha assunto la carica di Segretario del Partito Comunista Cinese e Presidente della Repubblica Popolare Cinese nel 2012, Pechino ha modificato la propria politica estera nel segno di una maggiore incisività. Il Ministro degli Esteri Wang Yi ha indicato la “win-win cooperation” e la cooperazione multilaterale nel rispetto del ruolo centrale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite come i pilastri di questa nuova era. Xi Jinping, lamentando la poca apertura ai paesi non-occidentali delle esistenti istituzioni internazionali, modellate dopo gli accordi di Bretton Woods (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio), ha perseguito iniziative autonome. Tra queste: la Nuova Banca dello Sviluppo (fondata con Brasile, Sud Africa, Russia e India), la Belt and Road Initiative (BRI) e la Banca Asiatica per l’Investimento Infrastrutturale (AIIB).
Cina-UE
La relazione tra Pechino e Bruxelles è basata sull’Accordo di Commercio e Cooperazione del 1985 e su policy paperi pubblicati dalla Commissione Europea. L’ultimo documento del 2016 evidenzia la necessità di costruire una relazione basata su competizione leale, e libero accesso ai mercati per le rispettive imprese. La Commissione non rinuncia a reiterare le differenze di valori in materia di rispetto dei diritti umani, ma rispetto alla pubblicazione precedente datata 2003, sembra essere meno ottimista nell’ottenimento di risultati evidenti.
Il prospetto sulle relazioni Cina-UE del 2019 segna un deciso inasprimento dei toni; la PRC viene definita come “un partner, un avversario commerciale e un rivale impegnato a promuovere sistemi di governo alternativi”. Questa critica accesa può essere imputata in parte alle pressioni ricevute da Washington, in parte al timore di espansionismo cinese e in parte agli episodi di violazione di diritti umani nello Xinjiang.Cina e Unione Europea sono impegnate in iniziative bilaterali come l’Agenda 2020 per la Cooperazione Strategica e la Piattaforma di Connettività, un corridoio di sviluppo infrastrutturale tra Europa e Asia. Trattative sono in corso per un accordo in materia di investimenti.
A questo proposito, il blocco UE non è mai stata una meta prioritaria per gli Investimenti Diretti Esteri Cinesi, che si sono invece prevalentemente diretti in Asia orientale e centrale. I mercati di destinazione degli IDE cinesi sono correlati positivamente a una serie di criteri quali: dimensione del mercato, prossimità geografica, numero di migranti cinesi nel paese, grado di liberalizzazione e inaspettatamente, elevato rischio politico. Le piazze europee che meglio rispondono a queste caratteristiche sono tradizionalmente le big three: Regno Unito, Francia e Germania. Gli IDE cinesi in questi mercati prendono solitamente la forma di fusioni e acquisizioni, un sistema che consente di appropriarsi della tecnologia e del know-how della azienda acquistata.
Nel 2019 il totale degli Investimenti Diretti Esteri cinesi diretti in Europa è diminuito del 33%, e le destinazioni prevalenti sono state nel Nord Europa, in particolare Finlandia e Svezia. La forma degli investimenti è cambiata: le collaborazioni di ricerca e sviluppo sono aumentate a segno dell’interesse cinese per un upgrade tecnologico, non esente da problemi. Le iniziative cinesi di sviluppo istituzionale come la AIIB e la BRI hanno trovato una UE frammentata nella decisione di partecipare a questi progetti. Gli USA hanno fatto pressioni affinché i 27 dell’Unione non prendessero parte alla AIIB; tuttavia, infine, 14 stati membri, tra cui Francia, Germania, Olanda, Spagna e Regno Unito hanno aderito all’iniziativa di Pechino. La Banca, fondata nel 2013 rappresenta un tentativo di Pechino di espandere la propria influenza in Eurasia, in risposta all’espansione militare statunitense in Asia a seguito della “Pivot to Asia Strategy” perseguita dall’amministrazione Obama a partire dal 2012.
La Belt and Road Initiative, è invece il simbolo della leadership di Xi Jinping, la manifestazione concreta del sogno cinese e mira a creare un corridoio marittimo e terrestre tra Cina, Asia, Africa ed Europa. L’opacità a livello burocratico della BRI, etichettata da Washington come “diplomazia del debito”, ha provocato nell’Unione una frattura sulla risposta all’iniziativa cinese. 12 paesi dell’Europa Centro-Orientale hanno aderito alla BRI. La Grecia è il paese più coinvolto nel progetto, in quanto il porto del Pireo ad Atene, già gestito dalla COSCO Shipping di Shanghai, è considerato una porta d’accesso verso l’Europa. Nel marzo 2019, l’Italia ha aderito alla BRI firmando con Pechino un Memorandum of Understanding, accordo sulle linee guida della cooperazione ma ancora privo di progetti infrastrutturali concreti. La decisione ha creato tensioni politiche in Italia, frizione con Washington e ha attirato critiche da parte di Germania e Francia che rifiutano di prendere parte all’iniziativa.
Anche in questo caso l’Unione si è mostrata divisa, frammentata e con posizioni opposte, una condizione non ideale nell’affrontare un partner cosi complesso come la Cina.
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Cina e USA
Abbandonato il sogno che un maggiore engagement con Pechino avrebbe indotto una sua democratizzazione, gli USA restano coinvolti in una relazione bilaterale che ruota intorno a commercio e sicurezza dell’Asia-Pacifico.
Per quanto concerne i rapporti commerciali, il Presidente Trump ha acceso i toni della disputa, indicando Pechino come un partner inaffidabile, che inonda il mercato americano di merci a basso costo sfavorendo le industrie locali, incapace di garantire libero accesso al mercato cinese ad aziende statunitensi. Trump ha puntato verso la riduzione del deficit commerciale introducendo tariffe doganali più elevate e impegnando Pechino ad importare merci americane per un valore di 200 milioni di dollari in due anni. Gli studiosi sono scettici riguardo l’efficacia di queste misure. Justin Lin illustra come il deficit non sia frutto di accodi commerciali sfavorevoli, bensì del trasferimento della produzione industriale da Taiwan, Sud Corea e Singapore alla Cina. Allo stesso modo, lo spostamento verso paesi a basso costo di manodopera come Bangladesh, Vietnam e Cambogia causerà la diminuzione del deficit con la Cina, ma non di quello complessivo. Lake spiega l’inefficacia delle sanzioni dal punto di vista geopolitico: le potenze globali tendono a costruire zone di influenza economica in cui privilegiare le proprie aziende. Introducendo le sanzioni, la Cina sarebbe incentivata ad allargare la propria zona di influenza, spingendo gli USA fuori da questa.
La sicurezza dell’Asia Pacifico risulta essere un altro tema chiave, per cui alcuni studiosi hanno parlato di doppia egemonia nella regione: gli USA egemoni dal punto di vista della sicurezza e Pechino da un punto di vista economico. Le questioni principali riguardano il Mar Cinese Meridionale, dove la Cina è impegnata con il Giappone, alleato americano, nella disputa per la sovranità sulle Diaoyu Island e Taiwan, per cui gli Stai Uniti insistono su una risoluzione pacifica del conflitto sullo stretto.
Washington spinge affinché i suoi alleati nella regione non aderiscano a progetti di sviluppo cinesi tuttavia, nel 2013, Australia e Sud Corea hanno scelto di partecipare alla AIIB, non cedendo alle pressioni americane. A fronte dell’avanzata cinese, gli USA si sono ritirati da accordi multilaterali nella regione, come il Patto Trans Pacifico, potenzialmente lasciando a Pechino ancora più spazio di manovra e la possibilità di diventare il vero leader della globalizzazione economica.
Tecnologia: una quesitone spinosa per USA e UE
Lo sviluppo di nuove tecnologie e il brevetto di queste ultime è una materia complessa che influenza in maniera problematica le relazioni bilaterali tra i tre partner. USA e UE esprimono preoccupazioni riguardo il furto di proprietà intellettuale, minacce alla sicurezza nazionale, spionaggio e la possibilità che Pechino diventi il vero leader tecnologico mondiale. La manifestazione più lampante della guerra tecnologica è il caso di Huawei, l’azienda con sede a Shenzhen, che, al momento, detiene il più alto numero di brevetti riguardo la tecnologia 5G.
Huawei, già operativa nei mercati americani ed europei con il 4G è stata accusata dal governo americano di furto di proprietà intellettuale e della possibilità che i dati sulla rete Huawei vengano trasmessi al governo cinese. Sulla base di minacce alla sicurezza nazionale Huawei è attualmente esclusa dall’installazione del 5G negli Stati Uniti, le aziende americane hanno il divieto di vendere micro componenti e da pochi giorni anche i terzi a cui gli USA forniscono chip non possono rifornire Huawei, interrompendo di fatto la sua la catena di montaggio.
Gli Stati Uniti hanno fatto pressioni affinché l’Unione adottasse le stesse misure, minacciando di porre fine alla condivisione di intelligence qualora Huawei fosse entrato a far parte delle reti 5G. Tuttavia, l’Unione ha fornito una risposta frammentaria e polarizzata. Nel documento guida per l’ infrastruttura 5G, pubblicato a gennaio 2020, la Commissione Europea ha invitato i membri a limitare il coinvolgimento di provider ad alto rischio nei nuovi network. Nello stesso mese, il Regno Unito ha consentito a Huawei di partecipare all’installazione del 5G, per un limite massimo del 35% del network e tenendosi fuori da aree strategiche e sensibili, come le reti per uffici del governo.
Francia e Germania, pur non avendo ancora ufficializzato la loro posizione sembrano voler emulare le decisioni del Primo Ministro Johnson e optare per l’utilizzo della tecnologia a basso costo prodotta da Huawei. Al contrario, Polonia, Estonia e Repubblica Ceca hanno preferito la linea dura ed escluso l’azienda cinese dalla loro infrastruttura. I paesi del Nord, in particolare Finlandia e Svezia puntano sulle aziende nazionali Nokia e Ericsson che, attualmente, possiedono la tecnologia 5G più avanzata dopo Huawei.Anche nel caso del 5G è mancata cooperazione bilaterale EU-USA e coesione tra i membri dell’Unione nel fornire a Pechino una risposta chiara e univoca.
Prospettive future
Stati Uniti ed Unione Europea condividono complesse relazioni bilaterali con Pechino basate su differenze normative, di valori quali democrazia, libertà e rispetto dei diritti umani, ma anche interessi comuni come la costruzione di un sistema di commercio mondiale equo, il contenimento nucleare e la lotta al cambiamento climatico. Per quanto concerne il sistema di commercio, considerate le sanzioni imposte da Trump e la sua politica nazionalista, sembra difficile pensare ad una linea comune americana ed europea, che pure criticando gli stessi aspetti del sistema cinese non giungono ad una politica coordinata. Una voce univoca porterebbe Pechino, messa alle strette da due partner cosi importanti, a modificare i suoi regolamenti in materia commerciale, cedendo almeno in parte alle richieste ricevute.
Il contenimento nucleare rappresenta invece un’area di successo per la cooperazione trilaterale. Nel 2015, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Federazione Russa e Germania hanno firmato un accordo con l’Iran basato sul contenimento dello sviluppo nucleare di Teheran, in cambio della cessazione di sanzioni commerciali. Tuttavia, il successo è stato di breve durata. Nel 2019 il presidente Trump ha introdotto nuovamente le sanzioni, in una mossa criticata dagli alleati europei, mentre Pechino ha concluso un accordo di investimento multi miliardario nell’industria del gas e del petrolio iraniano.
Anche il cambiamento climatico è stato per un breve periodo un’area di cooperazione trilaterale. Nel 2016, USA e Cina hanno firmato l’accordo di Parigi, a lungo sostenuto dai membri della UE, impegnandosi per la riduzione delle emissioni di CO2. Solamente un anno dopo, il Presidente Trump ha annunciato la volontà di abbandonare l’accordo, formalizzando poi questa decisione nel 2019. La Cina ha invece confermato il suo impegno nel rispetto dell’accordo, assumendo cosi il ruolo di leader globale nella lotta al cambiamento climatico.
La pandemia di covid non ha certo giovato nel raggiungimento di un dialogo stabile e costruttivo. Nel complesso, le possibilità per una cooperazione trilaterale efficace sembrano limitate. Un cambiamento potrebbe registrarsi a partire da novembre, quando le elezioni americane forse restituiranno al mondo un paese più aperto alla cooperazione internazionale.
Bibliografia:
Brown, K., (2012). China’s Overseas Investment in the European Union. The International Spectator. 42(2), 74-86
Chan, L.H., (2017). Soft balancing against the US ‘pivot to Asia’: China’s geostrategic rationale for establishing the Asian Infrastructure Investment Bank. Australian Journal of International Affairs. 71(6), 568- 590.
Gill, B. and Small, A., (2014). Untapped Trilateralism: Common Economic and Security Interests of the European Union, the United States and China. In: K.Brown ed. China and the EU in Context- Insights for Business and Investors. London: Palgrave Macmillan, pp. 214-250
Lake, D.A., (2018). Economic Openness and Great Power Competition: Lessons for China and the United States. The Chinese Journal of International Politics. 11(3), 237-270.
Lin, J.Y., and Wang, X., (2018).Trump economics and China–US trade imbalances. Journal of Policy Modeling. 40, 579-600.
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