SOMALIA: LA QUINTESSENZA DEL FALLIMENTO ISTITUZIONALE

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Entità emblematica alla prua del Corno d’Africa, la Somalia presenta alcune particolarità che la differenziano dai suoi vicini. Una tra tante è il Somalo: l’unica lingua di quell’area geografica ad aver adottato l’alfabeto latino; un’altra, decisamente più desolante, è che la Somalia rappresenta lo Stato fallito per antonomasia. Il fallimento di uno Stato e i suoi risvolti conflittuali inevitabilmente creano aree in cui attori para-statali o attori terzi si “premurano” per garantire condizioni minime di sicurezza alla popolazione. Tra gli attori-terzi che hanno cavalcato l’onda del fallimento vi è il gruppo terroristico al-Shabaab, da qualche sotto i riflettori della cronaca. Come emergerà dall’analisi, negli ultimi 15 anni, il gruppo jihadista di matrice sunnita ha tessuto una fitta rete di legami tra pirateria e terrorismo per assicurarsi il monopolio nel controllo delle macerie istituzionali somale.  

 

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L’insostenibile caducità della sicurezza

Il nodo comincia a intricarsi se pensiamo a una società focoultiana in cui il ruolo delle istituzioni è quello di modellare la popolazione in modo tale che questa prosegua il suo ciclo vitale all’interno delle comuni norme civili. In questo quadro la società viene dipinta per mano delle istituzioni governative ed è, pertanto, un prodotto meramente artificiale. Nel contesto somalo, tuttavia, il vuoto istituzionale somalo non è l’unico leitmotiv delle sanguinose rivolte che si ostinano a non placare. Infatti, convenientemente al ruolo guida delle istituzioni nell’arginare la disseminazione di attacchi violenti per garantire pacifici modelli di vita, dovremmo supporre che l’area maggiormente controllata dal governo sia quella più sicura. Tuttavia, pur essendo sotto il diretto controllo del governo somalo, è stata Mogadishu, la capitale, uno dei principiali teatri in cui si sono susseguiti gli scontri più cruenti del paese fino al 2011. (Chojnacki, and Branović 2011). Nel 2011 i soldati dell’AMISOM (African Union Mission in Somalia) erano riusciti nella missione di allontanare al-Shabaab dalla capitale, la quale è attualmente amministrata dal Governo Federale della Somalia, sostenuto dalla comunità internazionale e presieduto da Hassan Sheikh Mohamud. Di conseguenza, dal 2011 il gruppo terrorista trovò rifugio in remote aree dell’entroterra somalo. Tuttavia, da qualche anno a questa parte, sembra che abbia ripreso ad avanzare verso Mogadishu e altri centri urbani. Così, il 17 maggio 2020 il governatore della provincia Mudug nella regione di Puntland, Ahmed Muse Nur è rimasto vittima di un attentato suicida perpetrato dalla mano di Al-Shabaab. A destare ancor più apprensione sull’instabilità della regione l’uccisione del predecessore di Nur, Nugal Abdisalam Hassan Hersi, il quale era stato colpito mortalmente dallo stesso gruppo con un attacco terroristico nella città di Garowe due mesi prima.

 

Come la pirateria colma il vuoto istituzionale

La regione di Puntland, situata a nord-est della Somalia, è lo scenario più adeguato ad analizzare l’infiltrazione della pirateria, la quale è legata con vuoto istituzionale, povertà e opportunità. L’economia del Puntland si fonda sugli introiti prodotti dalle incursioni dei pirati nel Golfo di Aden. In altre parole, la pirateria è il prodotto dell’assenza di un governo centrale che abbia una efficacia capillare su tutto il territorio, provvedendo alla programmazione di forme di impiego alternativi, così come alla distribuzione di beni essenziali. Dato il vacuum istituzionale, alcune frange della popolazione somala ripone fiducia in attività illegali, come la pirateria, la quale è concepita come un’opportunità remunerativa da accogliere senza esitazioni. Alla base di questa logica vi è la concezione che tale fenomeno sia giustamente pernicioso per i non addetti ai lavori, ma sia un’occasione unica per la popolazione locale. Così i cittadini di Puntland pensano di non essere vittime della pirateria, ma beneficiari della distribuzione illegale dei bottini racimolati durante le incursioni in mare. I profitti di tali attività illecite sono utilizzati per influenzare il commercio e la politica locale, mettendo in moto catene di intimidazioni che spesso sfociano in efferati atti crimali. Considerando questi scenari, l’attuale governo federale somalo appare come una macchina istituzionale instabile e inadeguata.

 

Dal Fenomeno Robin Hood alla Pirateria Organizzata

Più oculatamente, la pirateria non è il prodotto esclusivo del disastroso scenario istituzionale ed economico, ma anche della posizione geografia dello Stato somalo. Infatti, la Somalia si slancia verso il Golfo di Aden, corridoio strategico attraverso il quale transita circa il 7% della fornitura mondiale di petrolio. Per tracciare le radici del fenomeno della pirateria lungo le coste somale, è opportuno fare un salto indietro nel tempo. Agli inizi del 1900 sempre più numerosi pescherecci stranieri si facevano strada nelle fruttuose acque somale, fintanto che i pescatori locali decisero all’unisono che i primi dovevano essere respinti. L’intransigenza dei pescatori somali contro chiunque provasse ad avvicinarsi alle coste somale depose le uova della pirateria criminale organizzata, da intendere come una struttura gerarchica dove ciascun membro ha un proprio ruolo e delle direttive da rispettare. Questa informale organizzazione di difensori delle acque somale si consolidò così saldamente da offrire agli abitanti locali l’unica risposta efficace contro i predatori esterni che si avvicinavano alle coste somale per scaricare rifiuti tossici. Tuttavia, il fenomeno Robin Hood non tardò a scomparire sotto le sabbie dell’oblio. Infatti, la “resistenza marina” somala assunse le forme di racket di estorsione, tramite il quale i pescatori locali sottraevano ingenti somme di denaro ai pescherecci stranieri sotto forma di “pedaggio” (Menkhaus 2009: 21). Chiunque si fosse rifiutato di pagare tale concessione sarebbe stato catturato e rapito, in attesa del risarcimento che lo avesse liberato. Nel corso degli anni, il business della riscossione dei pedaggi e del rapimento generò così tanti ricavi che l’informale resistenza dei pescatori si trasformò in associazione criminale organizzata. Il Somali Marine, con base nella provincia di Mugud, fu uno dei gruppi pirati più efferati e sofisticati, che usava sabotare le navi straniere con fucili d’assalto, razzi e granate a propulsione. L’organizzazione stratificata della pirateria si adatta perfino ai cambiamenti globali, rivelatrice è la sua capacità di far fronte alle nuove tecnologie logistiche militari, sfruttando moderni sistemi GPS e consultando blog sull’industria navale, in modo da individuare non solo la posizione, ma anche la tipologia delle navi straniere.

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Al-Shabaab: il collante tra pirateria e terrorismo

 Dal 2006 al 2011 la Somalia era sotto l’egida del governo federale di transizione, il quale non riuscì a ottenere largo consenso tra la popolazione. Una valida spiegazione del suo insuccesso popolare risiede nel fatto che fu formato in esilio e, pertanto, considerato come una ramificazione di poteri estranei alla Somalia (Lennox 2008: 13). Tra le faglie del consenso politico emerse la Coalizione delle Corti Islamiche, riuscendo a prendere il controllo della parte meridionale della Somalia. Come si evince dal nome, la Coalizione gestiva gli affari interni delle regioni tramite la lente dell’Islàm e, in pratica, per mano del suo esercito autonomo. Nel 2008, una minoranza dell’esercito prese le redini della Coalizione, imponendo una governance neofondamentalista. La minoranza in azione era il gruppo islamico di al-Shabaab, che aveva addestrato combattenti jihadisti capaci di contrabbandare armi e ostaggi. Il gruppo si occupava anche della macchina amministrativa, riscuotendo e gestendo i proventi dei porti sotto controllo. Ben presto, si fuse con al- Qaeda e intraprese efferati attacchi terroristici per imporre il controllo sulle aree rimunerativamente strategiche, uccidendo i detrattori del gruppo. La risposta della comunità internazionale alla catena di attacchi terroristici fu tanto pronta quanto inefficiente. Infatti, il governo federale somalo del 2011 non seppe prevenire il connubio tra pirateria e terrorismo. Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento di Stato americano nel “Country Reports on Terrorism 2018”[1], i terroristi di al-Shabaab comprano armi e combattenti tra le fila dei pirati somali e, in cambio, questi ottengono denaro e copertura sulle loro scorribande marine.

 

 

Il momentus per un Governo Legittimo

L’intreccio tra avvenimenti passati e recenti suggerisce che, negli ultimi anni, i progressi politici e militari non sono riusciti a gettare le basi per la costruzione di un sistema democratico capace di includere le parti sociali più marginalizzate nei processi politici somali. Il fallimento del governo di transizione prima e la precarietà dell’attuale governo federale somalo potrebbero indicare che la formazione di una leadership somala legittima sia la soluzione più viabile per garantire sicurezza e servizi alla popolazione. Considerando che la sicurezza è propedeutica per la pace, un governo sicuro e legittimo potrebbe rivelarsi più vigoroso nel contrasto di attacchi terroristici, così come nella distribuzione di servizi basilari nelle aree controllate da al-Shabaab. Legittimità, sicurezza e servizi sembrano essere gli ingredienti migliori per strappare tali aree dal controllo dei terroristi

[1] https://www.state.gov/reports/country-reports-on-terrorism-2018/

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