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Dall’inizio degli anni Duemila l’Australia ha intrapreso un percorso di modernizzazione ed espansione delle proprie capacità navali. Questo percorso è esemplificativo della scelta del governo di Canberra di cercare un proprio ruolo, davanti a uno scenario reso incerto dall’instabilità regionale e dalla crescita militare cinese.
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Nel Defence White Paper del 2016, l’Australia conferma la volontà di ricalibrare la propria postura strategica verso il mare. Per quanto possa sembrare strano osservando le caratteristiche geografiche del Paese, questo rappresenta una novità dell’ultimo decennio, poiché l’Australia ha sempre avuto un rapporto complicato con la propria insularità. Essa si è sempre percepita più come continente che come isola, concentrando i propri sforzi sulla difficile colonizzazione dell’entroterra selvaggio (tema ricorrente anche nella letteratura e nell’arte) e concependo il mare come una garanzia di isolamento e non come un’opportunità strategica ed economica. Inoltre, la storia australiana è legata a doppio filo a quella della Gran Bretagna: l’isola, dalla sua colonizzazione alla metà del XX secolo, ha sempre goduto dei vantaggi derivanti dalla talassocrazia britannica sia in termini economici che militari. Nelle due guerre mondiali i soldati australiani hanno combattuto lungo i fronti europei: nonostante il battesimo del fuoco delle forze australiane sia stato l’assalto anfibio di Gallipoli[1], le esperienze militari in Europa hanno rafforzato la tradizione militare continentale.
Durante la Seconda guerra mondiale i timori relativi a una possibile invasione giapponese, unitamente al lento ritiro britannico dall’area, portarono l’Australia a forme di collaborazione militare sempre più strette con gli Stati Uniti, culminate poi nel 1951 con la nascita dell’ANZUS, il trattato con cui gli Stati Uniti si impegnano a tutelare l’integrità territoriale di Australia e Nuova Zelanda[2]. L’Australia in questo modo poté proseguire la sua tradizionale politica estera di appoggio a una grande potenza per la propria difesa, perpetuando la concezione dell’insularità come bastione difensivo. La contemporanea partecipazione ai conflitti in Corea e Vietnam ha confermato l’allineamento australiano all’Occidente politico, oltre che culturale.
L’effetto domino globale generato dalla fine della Guerra fredda e lo spostamento dell’asse degli equilibri mondiali verso l’Asia hanno naturalmente influito anche sull’ambiente strategico australiano. Nuove necessità hanno spinto l’Australia a riconsiderare la propria natura insulare e il proprio ruolo all’interno della regione Indo-Pacifica, portando il Paese a superare la propria percezione culturale di sé come elemento alieno al contesto geografico asiatico. Tale processo passa necessariamente anche attraverso una riconfigurazione militare ed economica in senso marittimo che ha come motore trainante l’ampliamento delle capacità della Royal Australian Navy (RAN). Gli obiettivi generali posti dal White Paper del 2016 sono:
- Garantire la sicurezza del Paese, dei suoi interessi e delle vie marittime di comunicazione più vicine, con particolare riferimento ai confini marittimi settentrionali;
- Contribuire materialmente alla stabilità politica del Sud-est asiatico e del Pacifico meridionale;
- Assicurare il supporto militare in operazioni di coalizione volte a supportare sia la stabilità della regione Indo-pacifica, sia l’ordine internazionale basato sul diritto.
La collocazione diplomatica australiana, basata sulla tradizionale cooperazione con l’ex madrepatria britannica nell’ambito del Commonwealth e sull’ANZUS, viene naturalmente confermata, auspicando forme di collaborazione ancora più strette. Tuttora il paese coopera in diversi programmi specifici di cooperazione militare soprattutto con Stati Uniti, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Canada.
Una prima motivazione che ha portato l’Australia a ricalibrare la propria strategia marittima è la crescita economica degli stati dell’Asia Orientale, con il conseguente aumento del volume di merci scambiate nell’area. Le rotte che attraversano i mari e gli stretti dell’Asia sud-orientale sono le più trafficate al mondo e dalla sicurezza di queste dipende il commercio non solo con i tradizionali partner occidentali, ma anche con il Giappone, la Corea del Sud e la Cina. I rapporti con i primi sono ormai solidi e sono stati instaurati a partire dagli anni Settanta e Ottanta. La Cina dal 2009 è diventata la principale destinazione delle esportazioni australiane e il volume delle merci scambiate cresce di anno in anno. Inoltre, con i tre Paesi sono in vigore dal 2015 trattati di libero scambio. Ne deriva quindi che la libertà di navigazione delle rotte del Sud-est asiatico rappresenta un interesse strategico imprescindibile per l’Australia, creando la necessità di un ampliamento delle capacità della RAN in termini di maritime security(interoperabilità con Marine alleate, condivisone di informazioni e maritime awareness).
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Nonostante la partnership economica e commerciale con Pechino sia sempre più importante, l’Australia avverte i rischi derivanti dall’ascesa cinese: in particolare, le rivendicazioni territoriali relative al Mar Cinese Meridionale sono fonte di tensioni e costringono il governo di Canberra alla ricerca di un delicato equilibrio tra gli interessi economici e le necessità politiche. L’Australia ha tutto l’interesse a favorire la libertà di navigazione e mantenere i buoni rapporti con i paesi dell’ASEAN, ma allo stesso tempo non ha né i mezzi né le contropartite diplomatiche per ipotizzare reazioni muscolari nei riguardi della Cina, limitandosi quindi a dichiarazioni di basso profilo. Il quadro è poi complicato ancora di più dalla guerra commerciale in corso tra Cina e Stati Uniti, in cui l’Australia ha tutto da perdere in caso di deterioramento ulteriore della situazione. L’approccio australiano rimane quello della cooperazione, ma l’espansione delle capacità militari cinesi è osservata con attenzione e preoccupazione. Conseguentemente, un rafforzamento della RAN è necessario sia per contenere l’influenza cinese, sia per intervenire in modo efficace al fianco degli Stati Uniti e degli altri alleati qualora si presentasse la necessità[3].
L’elemento che però è risultato decisivo in questo cambio strategico è il cosiddetto “arco di instabilità”. Con questa formula viene indicata un’area che va da Timor Est alle Isole Salomone, passando per Papua Nuova Guinea. L’area è caratterizzata da una continua instabilità politica che minaccia per gli interessi australiani in termini di sicurezza marittima, crimine organizzato e terrorismo. A partire dalla fine degli anni Novanta, le forze armate australiane sono state impegnate in questi Paesi attraverso programmi di cooperazione, peacekeeping e capacity building volti a riportare la stabilità politica e ad evitare il fallimento di questi Stati. Con questi interventi l’Australia si è garantita un ruolo regionale di security provider, che crea la necessità per la RAN di acquisizione e consolidamento di capacità logistiche superiori e di proiezione marittima e anfibia, oltre che di pattugliamento, ricognizione e supporto alla componente di terra. Queste capacità sono state acquisite soprattutto con l’entrata in servizio delle due navi della classe Canberra, due LHD (Landing Helicopter Deck) in grado di imbarcare velivoli ad ala fissa e mezzi da sbarco, oltre a disporre di capacità ospedaliere efficaci anche in missioni umanitarie.
Infine, un aspetto fondamentale da prendere in considerazione è la difesa dello spazio marittimo australiano, diventata ormai più complicata a causa dei già citati mutamenti nell’ambiente strategico. La crescente instabilità regionale richiede un rafforzamento delle capacità di pattugliamento e controllo, soprattutto alla luce di un fattore marittimo fondamentale: la Zona economica esclusiva australiana è la terza al mondo per estensione, senza inserire nel computo anche le rivendicazioni antartiche[4]. Il controllo di aree marittime così estese e lo sfruttamento economico (effettivo o potenziale) delle stesse rende logico il piano di procurement navale australiano, che intende portare il numero dei sottomarini da sei a dodici, aumentando così le capacità di intervento, pattugliamento e ricognizione. Queste capacità sono migliorate anche dalla prossima entrata in servizio della classe Hunter, composta da dodici vascelli dotati di capacità antiaeree e antisommergibili, necessarie anche per operazioni di sea denial.
In conclusione, La svolta marittima dell’Australia è una parte fondamentale e necessaria del percorso del Paese verso un ruolo più incisivo nella politica regionale asiatica. Le nuove capacità della RAN garantiranno all’Australia una forza marittima efficace, in grado di difendere gli interessi nazionali su scala regionale e di organizzare una risposta autosufficiente in situazioni di crisi. In questo modo è anche possibile per Canberra aspirare a un ruolo di maggior peso all’interno dell’alleanza con gli Stati Uniti, con questi ultimi che ritengono necessario un miglioramento delle capacità militari dei paesi alleati nell’Asia-Pacifico per razionalizzare il budget della difesa americana.
Non avendo mai manifestato interesse verso le opportunità offerte dalle proprie caratteristiche geografiche, per l’Australia questo cambio di strategia rappresenta un’occasione per superare il condizionamento culturale dell’isolamento in favore dell’insularità, ovvero una concezione dell’ambiente marittimo non come limite, ma come mezzo e opportunità di proiezione politica ed economica: un programma navale di questo peso rappresenta un’occasione anche per l’economia del Paese, generando un naturale rafforzamento del cluster economico marittimo nel suo complesso. Aspetto che è fondamentale per interfacciarsi in modo efficace con il Sud-est asiatico, dove la maggior parte degli attori può vantare tradizioni marittime secolari.
Note
[1] La battaglia di Gallipoli (1914) è stato uno dei primi assalti anfibi della storia moderna, condotto dal Regno Unito e i suoi alleati contro l’Impero Ottomano nello stretto dei Dardanelli. L’attacco britannico fallì e venne respinto dalle forze ottomane.
[2] Nel 1984 una disputa sul materiale nucleare all’interno delle navi americane ha portato alla sospensione degli obblighi del trattato tra Stati Uniti e Nuova Zelanda. Nonostante ciò l’alleanza tra Australia e Nuova Zelanda rimane comunque operativa.
[3] Lantis, Jeffrey S., e Andrew A. Charlton. 2011. «Continuity or Change? The Strategic Culture of Australia». Comparative Strategy30 (4). 303.
[4] Klein, Natalie, Joanna Mossop, e Donald R. Rothwell. 2009. Maritime Security: International Law and Policy Perspectives from Australia and New Zealand. London: Routledge. 213.
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