LA PESTE DI ATENE: PANDEMIA E POLITICA TRA PASSATO E PRESENTE

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Tra il 430 e il 404 a.C. fu combattuta una delle più decisive e sanguinose battaglie di tutti i tempi, destinata a cambiare per sempre il volto della Grecia e della storia occidentale. L’esito della guerra sancì definitivamente la decadenza di Atene – che non tornò mai più ai fasti di potenza egemone dell’area ellenica – relegandola ad una posizione subordinata alla vincitrice Sparta.

La guerra del Peloponneso comportò per tutta la Grecia una lunga fase di devastazioni sociali, politiche ed economiche, con intere città letteralmente svuotate dei propri cittadini e con un bilancio di morti che decimò la popolazione totale. Proprio per questo, il conflitto stabilì la fine della “civiltà d’oro greca”[1], che venne in seguito Macedoni di Alessandro Magno. Un evento particolarmente rilevante per l’esito finale della guerra fu costituito dall’emergere nel secondo anno del conflitto di una nuova malattia infettiva che uccise quasi metà degli ateniesi, tra cui il loro comandante, Pericle.

Gli storici si sono interrogati a lungo nel corso dei secoli sull’identificazione di questa malattia: alcuni giunsero alla conclusione che si trattasse di un’epidemia di tifo; [2] altri giunsero alla conclusione che si trattasse di febbre tifoidea o virale. [3]La perdita del generale ateniese fu una tragedia per le forze della lega attica, come afferma anche Tucidide nella cronaca più importante ed esaustiva dell’epoca che ci è pervenuta, “la guerra del Peloponneso”.[4]

 

[/et_pb_text][et_pb_code _builder_version=”4.1″ hover_enabled=”0″][amazon_auto_links id=”9397″]Sempre Tucidide scrisse che circa i due terzi della popolazione ateniese perirono sotto i colpi di questo morbo che provocava vomito, diarrea e spasmi che indebolivano i corpi dei cittadini conducendoli rapidamente alla morte. La narrazione che lo storico ci ha fatto pervenire è drammatica: le condizioni igieniche della città erano precarie, c’era una guerra che si stava perdendo. Dopo la morte di Pericle difatti Atene perse il suo leader carismatico; fu assediata e il destino della guerra volse a favore degli spartani. La penna autorevole da cui abbiamo ricevuto queste testimonianze è quella del “padre degli storici” Tucidide. In “La guerra del Peloponneso” l’autore, accanto alla narrazione drammatica della diffusione dell’epidemia di peste, espone il suo pensiero riguardo gli aspetti psicologici e sociali che la malattia mutò.

Tucidide desrive chiaramente la completa scomparsa dei costumi sociali durante il periodo del morbo: “le persone hanno terminato di aver timore della legge; è come se stessero vivendo sotto una condanna a morte.” Molti ritenevano che non avrebbero vissuto abbastanza a lungo condurre una vita votata al risparmio in vista di un futuro. La gente comiciò a spendere tutti i propri patrimoni. Improvvisamente anche i più poveri si arricchivano perché ereditavano denaro e terre da parenti scomparsi in virtù della diffusione della malattia. L’epidemia causò anche il distacco delle persone dalla vita religiosa. I templi cominciarono a riempirsi di uomini, donne e bambini morenti, un tempo luogo di pace spirituale e di culto. Gli ateniesi pensarono che il dio Apollo avesse favorito gli Spartani per condurli vittoriosi alla fine della guerra con i rivali.

Se oggi, nella contemporaneità, è già molto difficile contenere un fenomeno pandemico di massa, lascia attoniti immaginare come potessero essere difficili all’epoca le misure da poter attuare contro il nemico invisibile. Tucidide enuncia chiaramente gli sviluppi successivi alla pestilenza, con una serie innumerevole di persone che si infettavano e morivano; altre che riuscivano a guarire e che sviluppavano l’immunità e chediventavano i custodi di una città che stavano per cadere in disgrazia. «La cosa più terribile era lo scoraggiamento che prendeva chi si ammalava, in quanto il timore del contagio scoraggiava le persone dal riunirsi e tante famiglie venivano lasciate morire senza assistenza. E se qualcuno mosso a pietà correva a soccorrerle moriva anche lui». E proprio a cavallo della guerra del Peloponneso visse il padre della medicina moderna, il medico Ipprocrate.

E’ grazie ai suoi contributi se oggi riteniamo che 40 giorni sia la durata dell’isolamento volontario per fermare il contagio. Secondo la teoria ippocratica , genesi del metodo sperimentale di galileana memoria, eventuali tesi sono vere solo se supportate da un’osservazione diretta. Tucidide osservò ad esempio il comportamento degli animali a contatto con gli uomini, delle possibili cause e degli eventuali rimedi che potevano essere adottati. Ma cosa comportava la diffusione di questa malattia? “«I sani, senza apparente cagione, si sentivano assaliti da un gran calore di testa; gli occhi si facevano sanguigni ed ardevano: la lingua diventava sanguinolenta, il fiato fetido ed insopportabile. Venivano poi gli starnuti e la raucedine e quindi, scendendo il male nel petto, l’opprimeva con tosse gagliarda, che cagionava vomiti molesti e dolorosi. Veniva poi un singhiozzo con terribili convulsioni, il corpo si faceva arrossato e livido, e sorgevano ulcere e pustole, con un ardore che struggeva i visceri, e molti si gettarono nei pozzi tanta era l’ambascia della sete che li ardeva».[5] La trattazione tucididea continua con un’interessante visione dell’autore greco, pervasa da un senso di pessimismo insito nel genere umano.

“Per quanto possiamo congetturare del mondo degli dei, e per quanto sappiamo con certezza di quello degli uomini, noi crediamo che gli uni e gli altri ubbidiscano a una sola legge, che spinge i più forti a dominare i più deboli.” Tucidide vedeva anche la guerra tra le due potenze greche come un fatto naturale, in quanto l’animo umano per definizione è teso ad accrescere sempre di più le proprie ricchezze e il proprio spazio economico e sociale, per cui non potevano esistere trattati di pace, tregue o armistizi che potessero far terminare quest’evento. Il problema è che dopo la guerra sia Sparta che Atene ne uscirono distrutte, svuotate di forza lavoro umane ed economicamente indebolite. Questo spalancò le porte al dominio macedone successivo alla guerra, con il tramonto della civiltà ellenica come potenza dominante.

In tempi di Pandemia contemporanea, leggere Tucidide fornisce parecchi spunti interessanti. La più grande crisi del Dopoguerra sta mettendo in crisi gli stati, gli equilibri geopolitici potrebbero mutare e crescono le tensioni per far fronte alla crisi economica. Nell’ Unione europea gli stati membri litigano tra di loro, in mancanza di una linea politica economica comune; gli USA soffrono per un sistema sanitario forse da rivalutare, in Cina il peggio sembra passato ma le autorità mantengono l’allerta. Che futuro aspettarci? Forse è arrivato il momento di smentire Tucidide, cooperare per evitare un suicidio economico e sociale di massa. Mai quanto oggi abbiamo bisogno di solidarietà e appartenenza alla causa, limitando la diffusione di personalismi e di adozioni unilaterali di soluzione del problema.

FONTI

[1] Donald Kagan, The Peloponnesian War, Penguin Books, 2003

[2] Da uno studio condotto dall’Università del Maryland nel 1999. Per ulteriori informazioni sui contenuti della ricerca, si consulti Gomme, A. W., A. Andrewes e K. J. Dover. An Historical Commentary on Thucydides, Volume 5. Book VIII, Oxford University Press, 1981.

[3] La prima tesi sostenuta da uno studio dell’Università di Atene. Per approfondimenti, si veda Papagrigorakis, Manolis J., Christos Yapijakis, Philippos N. Synodinos, and Effie Baziotopoulou-Valavani. “DNA examination of ancient dental pulp incriminates typhoid fever as a probable cause of the Plague of Athens,” International Journal of Infectious Diseases 10 (2006): 206-214. Per la seconda teoria invece si consulti Lucrezio, De rerum Natura.

[4] Tucidide, La Guerra del Peloponneso.

[5] Tucidide, trad. di Pietro Manzi, (1870)

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