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Con l’apertura delle frontiere da parte di Erdoğan si ripropone la necessità dell’Europa di dare coerenza di valori e obiettivi alla propria politica migratoria, alla ricerca di un equilibrio tra sicurezza e rispetto dei diritti umani che le possa conferire credibilità interna ed internazionale.
L’intensificarsi delle tensioni tra Turchia ed Unione europea su più fronti, dalle trivellazioni turche nella zona economica esclusiva di Cipro alla gestione del conflitto siriano, è culminato con la decisione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di riaprire ai rifugiati le frontiere con l’Ue. L’evento ha profilato un ritorno a scenari di crisi migratoria per un’Europa già in affanno per la pandemia in corso. Le difficoltà nel trovare una risposta economica comune al covid-19 non sono l’unico test che l’Unione deve affrontare: al confine greco-turco si sta giocando un’importante partita di credibilità politica ed identitaria per Bruxelles, che pone la necessità di un punto di svolta per le politiche migratorie europee ed il sistema europeo comune di asilo.
Gli eventi
La crisi si origina nel nord-ovest della Siria, a Idlib, una delle safe zone dell’accordo siglato a Sochi da Turchia e Russia. Qui il 27 febbraio, a seguito di un’offensiva dell’esercito governativo siriano (sostenuto da Mosca) che da dicembre sta cercando di riprendere il controllo della provincia ribelle, hanno perso la vita almeno 33 soldati turchi. Giunge poco dopo la decisione del sultano di non impedire più ai rifugiati che ospita (più di 3.6 milioni, che fanno della Turchia il Paese con più rifugiati al mondo) di raggiungere le frontiere europee, in spregio ad un accordo del 2016 siglato proprio con Bruxelles.

Nonostante Ibrahim Kalin, portavoce di Erdoğan, sostenga che la decisione sia il risultato dell’esaurimento della capacità turca di contenere i rifugiati, questa è stata largamente interpretata come un tentativo di fare pressione sull’Ue per ottenere supporto nei negoziati con Mosca per un’effettiva de-escalation del conflitto siriano. Le cifre di Ankara, tuttavia non confermate, riportano il numero di 76,358 migranti che avrebbero varcato il confine attraversando la provincia di Edirne nei giorni immediatamente seguenti l’annuncio, mentre Atene riporta circa 35,000 migranti a cui sarebbe stato impedito di entrare nel Paese. Anche gli arrivi via mare sulle isole greche hanno registrato un aumento esponenziale. Sebbene non vi siano dubbi circa il fatto che uno Stato sovrano abbia il diritto ed il dovere di mettere a sicuro le proprie frontiere, la reazione di Atene è stata dura, violenta, ingiustificabile.
Le autorità turche hanno riportato l’uccisione di almeno tre richiedenti asilo da parte delle forze di sicurezza greche. Secondo Human Rights Watch vi sono stati pestaggi, scontri armati con lacrimogeni e proiettili di gomma, violenze sessuali. I gruppi di richiedenti asilo intervistati, in cui figurano anche donne e bambini, hanno affermato di essere stati intercettati mentre tentavano di passare il confine, trattenuti in centri di detenzione formali e informali, o lungo il ciglio della strada, dove sono stati privati dei propri averi e picchiati prima di essere sommariamente respinti verso la Turchia, in spregio al principio di non-refoulement. Inoltre, richiamandosi a cause di forza maggiore (ex art. 78,3 TFUE), la Grecia ha annunciato l’interruzione di un mese delle procedure per la richiesta di asilo, sospensioneancora in corso a causa della pandemia.

Le gravi violazioni dei diritti umani dei migranti perpetrate dalle autorità greche non hanno trovato condanna da parte dei vertici delle istituzioni europee, riunitisi con il primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs a Kastanies. La loro risposta ha lodato l’operato greco di contenimento di quella che nell’intervento della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sembra assumere le connotazioni di un’invasione. Riportando il discorso europeo su una dialettica di criminalizzazione del migrante irregolare che va totalmente contro lo spirito della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (di cui è parte), l’Europa si è proclamata unita nell’affrontare questa minaccia alla sua sovranità, in cui la Grecia, a detta della von der Leyen, ha il ruolo di “aspida”, di scudo.
La cooperazione Ue con gli Stati terzi
Appare chiaro che la minaccia di riversare in Europa un’ingente massa di rifugiati conferisca ad Ankara una grande influenza, che le sta permettendo di portare avanti la propria agenda geopolitica e ridefinire gli equilibri del Mediterraneo orientale. Questa è una delle conseguenze del complesso di strategie che Bruxelles ha messo in atto negli ultimi anni per affrontare la crisi dei rifugiati, rendendo i migranti materia di scambi, intese ed accordi (più o meno legali) tra l’Europa ed i Paesi di origine o transito dei flussi migratori.

Un’ambiguità di fondo caratterizza interamente la cooperazione europea con gli Stati terzi per il controllo dei flussi migratori, la cui ratio è stata spesso quella di delegare agli Stati extraeuropei l’esecuzione di atti potenzialmente lesivi dei diritti umani dei migranti, in cambio di cospicui aiuti finanziari, facilitazioni nell’ottenimento di visti per l’Europa, o (nel caso della Turchia), promesse di velocizzare i negoziati di adesione all’Unione. Si parla di esternalizzazione del controllo delle frontiere, e di questa strategia la cooperazione con Ankara è stata posta a modello. Suggellata nel 2016 da un accordo la cui qualificazione giuridica resta ancora ampiamente dibattuta (in quanto, per esempio, non adottato in ottemperanza alle prerogative democratiche dei parlamenti nazionali ed europeo), la cooperazione con la Turchia prevede che tutti i migranti che giungono sul territorio greco illegalmente vengano ricondotti in Turchia (indistintamente dalla loro provenienza geografica o dal loro status) e che di questi, successivamente, per ogni siriano riammesso in Turchia, un altro siriano venga reinsediato dalla Turchia ad uno Stato membro dell’Ue.
Responsabilità internazionale dell’Ue

L’attuazione di questo accordo ha configurato in capo all’Ue la responsabilità per la violazione di alcune norme di diritto internazionale (ed europeo), oltre che una pesante responsabilità morale. Occorre ricordare che l’Unione europea e gli Stati membri sono dotati di personalità giuridica internazionale, il che ne fa detentori di diritti ed obblighi scaturenti dall’ordinamento internazionale. Oltre agli obblighi convenzionali, determinati dal diritto pattizio e che ricadono su quei soggetti che intessono relazioni bi-/multilaterali, gli obblighi assolutamente inderogabili in capo all’intera comunità internazionale sono di natura consuetudinaria, e tra questi il rispetto dei diritti umani fondamentali.
In aggiunta alle norme della CEDU, come il divieto di espulsioni collettive (per cui l’espulsione di un gruppo di stranieri può avvenire solo dopo attente valutazioni caso per caso) e quelle della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, si rileva che la maggior parte delle norme che vengono violate sono tutelate dal diritto internazionale consuetudinario, tra cui il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), ed il principio di non-refoulement (art. 33 Conv. di Ginevra). Il principio di non-refoulement, in particolare, prevede che nessuno possa essere espulso verso uno Stato dove rischia di essere sottoposto a tortura o altre pene inumane o degradanti. Il Paese verso il quale viene espulso il migrante, in altre parole, deve essere un Paese terzo sicuro. Ma la Turchia è un Paese sicuro?
La risposta è no, in quanto non esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato in senso pieno per i non europei[i], vi sono stati numerosi episodi di respingimenti, deportazioni, detenzioni arbitrarie e violenza fisica, nonché una serie di torture e trattamenti inumani e degradanti nei centri di detenzione ai danni di migranti e richiedenti asilo.
Di fatto, sebbene la delega extraterritoriale ad Ankara non sia esplicitamente volta alla commissione delle violazioni, le accetta come probabile conseguenza. Da ciò è pacifico ritenere che la cooperazione con la Turchia, più che essere un modello virtuoso per la gestione dei flussi migratori, sia servita a tenere lontani i migranti, la maggior parte dei quali potenziali beneficiari di protezione internazionale nel quadro legale europeo.
Denunce ed appelli delle organizzazioni umanitarie in difesa dei diritti dei migranti si moltiplicano, abbattendosi però contro il muro di questa Fortezza Europa costruita da 5 anni di politiche migratorie inefficaci, inumane e ipocrite. Come evidenziato dall’intervento fatto a Kastanies da David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo, la crisi attuale rinnova la stessa necessità di 5 anni fa, quella di implementare un sistema europeo comune di asilo che superi il sistema di Dublino, sgravando gli Stati frontalieri da oneri sproporzionati, ai sensi del principio di solidarietà che intercorre tra gli Stati membri.

L’immigrazione è una materia sensibile, un campo di prova per l’effettività dei diritti, la tenuta democratica ed anche il ruolo geopolitico dell’Unione. Dagli avvenimenti recenti emerge chiaramente la difficoltà dell’Ue nel trovare un equilibrio tra le proprie esigenze securitarie e la promozione dei diritti umani, difficoltà che le ha portato un preoccupante deficit di credibilità. Per scongiurare il rischio che scelte tecniche, come l’esternalizzazione delle frontiere, conducano al fallimento politico, vi è una forte urgenza di legittimazione identitaria interna. Se Bruxelles desidera dispiegare le proprie potenzialità di progetto politico dovrà superare la logica della mera integrazione economico-finanziaria e costruire un sentire comune europeo, a cui i cittadini possano richiamarsi. Ancora una volta emerge l’urgenza di “fare gli europei”, e ciò non avverrà finché l’Ue continuerà a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani dei migranti (e dei rifugiati), calpestando le basi stesse dello Stato di diritto. Il lavoro che l’Europa dovrà fare è costruire finalmente intorno alla propria azione politica un’identità europea, fatta di valori e di obiettivi comuni, con la coerenza di cui parlano i trattati ma che finora è stata sacrificata sull’altare della sovranità e della sicurezza.
Fonti:
https://www.hurriyetdailynews.com/eu-turkey-to-review-migrant-deal-as-border-tensions-simmer-152845
https://www.chathamhouse.org/expert/comment/eu-turkey-refugee-deal-vulnerable-legal-challenge
[i] La Turchia ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo del 1967 con una limitazione geografica: riconosce lo status di rifugiato solo a chi proviene da un Paese membro del Consiglio d’Europa, escludendo di fatto tutti i non europei, siriani inclusi, dalla protezione in senso pieno, così come definita dalla Convenzione.
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