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La guerra in Libia non si è mai fermata nonostante i vari cessate il fuoco, che hanno riguardato anche stati esterni alla nazione libica (è molto probabile, infatti, che il cessate il fuoco su Idlib fra Turchia e Russia riguardasse, da lontano, anche la Libia).
I governi sono molto concentrati nella gestione della pandemia del coronavirus. Ciò riguarda, seppur indirettamente, la possibilità di monitorare e controllare gli attuali conflitti e le sfide che rischiano di inasprirsi a causa della stessa pandemia. Nella fattispecie, in Libia le questioni sono tre: il controllo dei territori e le sfere di influenza; la sicurezza energetica; le migrazioni.
Proprio su quest’ultima questione si è creato un po’ più di rumore, ovviamente da parte delle due dirette interessate, Italia e Malta. In una lettera inviata all’Alto rappresentate UE, Josep Borrell, il Ministro degli Esteri maltese ha sollecitata l’UE ad avviare una missione umanitaria atta a frenare il flusso di migranti dalla Libia. A detta del Ministro, i flussi starebbero aumentando a causa del conflitto incessante, delle precarie condizioni di vita e della preoccupazione che la pandemia possa espandersi.
Gli sbarchi verificatisi a marzo sono inferiori rispetto quelli dei mesi precedenti (sia via mare, che via terra), mentre i dati di aprile sono ovviamente ancora in fase di aggiornamento costante. La preoccupazione è concreta per una situazione fortemente instabile: nonostante l’embargo sulle armi e la recente missione europea IRINI per il suo monitoraggio, il conflitto sembra inarrestabile.
Il problema è forse alla radice, in un sistema economico ancora fortemente basato sull’industria bellica. E su questo ci sarebbe molto da approfondire e da analizzare, ma basti accennare, in conclusione e come spunto, un paio di questioni. In Italia la produzione di armi è stata rivalutata soprattutto negli ultimi anni come asset strategico della nostra industria. Inoltre, la spesa militare mondiale è aumentata negli ultimi anni.
Il punto è che in un momento di crisi estrema come quello che stiamo vivendo e che con fatica numerosi Paesi del Sud del Mondo riusciranno a superare, il conseguimento della pace e della prosperità sembra ancora una volta essere subordinato alla volontà di potenza occidentale (e non solo, talvolta), trincerata dietro il commercio delle armi. Perché la soluzione radicale al problema è quella indicata da Papa Francesco: “Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno.”
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