SULTANATO DELL’OMAN: FINE DELLA OMANI DIPLOMACY?

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Stretta fra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran, Mascate si è storicamente rifiutata di prendere le parti, favorendo invece dialogo e cooperazione.
Il cambio di leadership potrebbe però mutarne la natura

Incastonato nel tacco orientale della penisola arabica, il Sultanato dell’Oman è spesso fuori dalle luci dei riflettori della comunità internazionale, ma riveste un ruolo fondamentale per gli equilibri della regione, e non solo.
Il paese che noi oggi conosciamo come moderno e pacifico, è il frutto del designo dell’uomo che ne ha mantenuto le redini per quasi mezzo secolo, il Sultano Quabus bin Said al Said.
Quabus, venuto a mancare il 10 gennaio scorso, salì nel 1970 sul trono di un regno gravemente sottosviluppato e appesantito da una sofferta storia di conflitti civili.

Le decisioni sia di politica interna sia di politica estera da lui intraprese hanno consegnato al suo successore uno Stato moderno e stabile, casa di equilibrio fra gli estremi del consumismo degli Emirati Arabi Uniti, e gli estremi del conservatorismo religioso dell’Arabia Saudita, entrambi due ingombranti vicini di casa.
A livello nazionale ha intrapreso un percorso di sviluppo economico e sociale in grado di risollevare un paese che contava poche decine di chilometri di strade asfaltate, qualche scuola e un paio di ospedali gestiti da missionari.
Fondamentali sono state le riserve di greggio che, soprattutto dall’aumento dei prezzi globali del petrolio del 1973, sono state propulsore della crescita omanita.
Le entrate da esportazioni hanno fatto si che Quabus, negli anni, potesse stringere un patto sociale con la popolazione che ha visto migliorare il proprio stile di vita con costanza.
Ha sfruttato la fragilità di quest’ultima, frammentata da divisioni tribali, inglobandone i leader più carismatici nel processo decisionale politico che, ciononostante, è rimasto fortemente centralizzato.
Oggi l’Oman si presenta come una nazione multiculturale e aperta dove i cittadini, in cambio di benessere e di solido progresso, hanno assecondato un controllo del Sultano discreto ma capillare e deciso.
Principale moneta di scambio è stata il tenace aumento della spesa pubblica, in particolare nel comparto militare, settore in cui il Sultanato ha una spesa pro capite più alte al mondo.
Più che forza di difesa, infatti, le forze armate fungono da collante sociale, con migliaia di giovani che intraprendono la carriera militare garantendosi un sostentamento e diversi privilegi.

Sullo scacchiere internazzionale, per l’appunto, il governo di Quabus si è sempre contraddistinto per la capacità diplomatica e la propensione alla mediazione, più che per l’utilizzo della forza.
Il longevo Sultano, fin dai primi anni del suo regno, ha portato avanti una politica estera contraddistinta dall’equidistanza e dal dialogo.
Quando l’Egitto firmò il trattato di pace di Camp David con lo Stato di Israele, l’Oman fu uno dei tre soli stati arabi a non interrompere i rapporti diplomatici con la terra dei Faraoni.
Nel 1994 Yitzhak Rabin – atterrando nella capitale omanita Mascate – è il primo leader israeliano a visitare, per l’appunto, un paese arabo,
Sul finire del 2018 anche Benjamin Netanyahu sceglie di recarsi alla corte del Sultano che, già malato, lo accoglie rinnovando una prassi tanto inusuale quanto emblematica.
Storicamente, inoltre, l’Oman di Quabus ha sempre conservato un rapporto privilegiato sia con il Regno Unito, fondamentale il suo supporto nel golpe bianco che nel 1970 permise al Sultano di spodestare il padre, e gli Stati Uniti d’America.
Entrambe le grandi potenze occidentali avevano compreso la posizione strategica che il territorio omanita rappresentava – e rappresenta – per le dinamiche del golfo.
In particolare con l’acuirsi dei conflitti della regione nei primi anni novanta il Sultano ha concesso l’utilizzo delle basi militari ai soldati a stelle e strisce, dapprima impegnati negli scontri Kuwait-Iraq, successivamente nelle operazioni anti terrorismo in Afghanistan e Pakistan di inizio millennio e conseguenti agli attentati dell’11 settembre.

La forza pacifica dell’Oman è stata però, nonostante quanto evidenziato, la maestria nel ritagliarsi sempre un ruolo terzo.
Ne sono fulgido esempio i buoni rapporti che, anche con l’inasprirsi delle tensioni fra Stati Uniti e Iran, il Sultanato ha stipulato con il gigante persiano anche successivamente alla rivoluzione del 1979 che ha forgiato la Repubblica Islamica così invisa a Washignton.
Nell’ultimo decennio, infatti, Quabus si è distinto per una serie di primati diplomatici che ne rivelano le doti di mediazione.
Mascate ha ospitato i colloqui bilateri fra USA e Iran del 2012 che hanno portato allo storico, per quanto oggigiorno superato, accordo sul nucleare che era apparso come un importante segno di distensione fra le due potenze mondiali.
Nel 2013 il Sultano è stato il primo Capo di Stato a visitare il neoeletto Presidente iraniano Hassan Rouhani, e Rouhani, nel 2017, ha fatto la sua prima visita in un paese arabo proprio recandosi nella capitale omanita.

Quabus bin Said, il Sultano in carica dal 1970 fino al giorno della sua morte, il 10 gennaio 2020

 Una fitta rete di alleanze e relazioni che il fresco successore di Quabus dovrà essere in grado di raccogliere e coltivare.
È stato proprio Quabus che, per mezzo di una lettera sigillato ed aperta solo successivamente alla sua morte, ne ha indicato la nomina.
Haitham bin Tariq Al Said ha giurato ufficialmente come nuovo Sultano l’11 gennaio scorso.
Haitham, 65 anni ed alle spalle una lunga carriera in ruoli apicali della politica omanita, rappresenta un’attenta transizione generazionale ed esperienziale voluta del suo predecessore.

Ha lavorato per oltre 15 anni nel Ministero degli Affari Esteri, è stato poi Ministro per i Beni e la Cultura Nazionale e incaricato per lo sviluppo dell’Oman Vision 2040, l’imponente e complesso piano strategico per il futuro del paese.
Particolarmente delicato sarà il suo ruolo nel nuovo scenario che si profila all’orizzonte.

Sul piano interno dovrà attenzionare le crescenti aspettative della fascia giovane della popolazione, aperta e tecnologica, ben poco soddisfatta del paternalismo repressivo che ha contraddistinto l’ultimo decennio, e che già hanno mostrato segno di forte insofferenza per i troppi scandali di corruzione legati alle élite politiche.
L’emergenza coronavirus, inoltre, sembra malauguratamente farsi largo anche fra la popolazione omanita. Oltre 200 i casi di contagio nonostante le misure di restrizione e i divieti di assembramento siano già in vigore.

Misure che, di concerto alle precauzioni degli altri Stati, rendono l’epidemia globale una spina nel fianco del settore turistico omanita, quest’ultimo un importante asset del paese.

Haitham bin Tariq Al Said, nominato Sultano l’11 gennaio scorso

Sul piano internazionale la recente guerra dei pressi a firma saudita, innescata con il crollo dei consumi di greggio, potrebbe mettere in seria difficoltà il neutrale Sultanato.
Con il Regno dei Saud vi erano già state tensioni nel gennaio del 2015, quando la politica di riduzione dei costi del petrolio voluta da Riyad per mano dell’OPEC – l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio – aveva aggravato i bilanci di Mascate.
La successiva elezione di Donald Trump a inquilino della Casa Bianca, e la sua stratta alleanza con il Principe ereditario della monarchia saudita Mohammed bin Salman, aveva inoltre spostato l’asse delle alleanze della regione in una scomoda posizione per l’Oman, molto legato al Qatar contro il quale i Saud hanno intrapreso una feroce guerra commerciale.
Con il cambio di guida sul trono del Sultanato l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti proveranno a fare uso del nuovo ordine politico per i propri interessi, e implementare le proprie agende espansionistiche.
Ulteriore elemento di instabilità è rappresentato dal recente divorzio fra Regno Unito e Unione Europea. I primi potrebbero sfruttare la recente autonomia acquisita rafforzando la propria influenza nella regione.

Se da oltre cinquant’anni il Sultanato dell’Oman è stato oasi di concordia e armonia internazionale tanto da meritarsi l’appellativo di Svizzera del Medio Oriente, oggi la faticata stabilità risulta in forte rischio.
La pandemia, la svalutazione del greggio, il nuovo ordine finanziario, e l’interesse famelico degli attori della penisola fanno vacillare le solide sicurezze costruite nei decenni, che forse, per la prima storica volta, potrebbe abdicare alla sua neutralità.

Fonti:

https://www.economist.com/middle-east-and-africa/2020/01/11/sultan-qaboos-ruler-of-oman-for-almost-50-years-has-died

https://foreignpolicy.com/2020/01/14/sultan-qaboos-legacy-oman-confront-challenges-middle-east/

https://insidearabia.com/oman-a-facilitator-of-diplomacy/

https://www.reuters.com/article/us-oman-succession-sultan/sultan-qaboos-ushered-in-oman-renaissance-quiet-diplomacy-idUSKBN1ZA018

https://atlanticcouncil.org/blogs/iransource/omans-new-sultan-and-us-iran-tensions/

 

 

 

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Ha studiato Sviluppo e Cooperazione Internazionele all’Università di Bologna e Emergenze e Interventi Umanitari all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano.
Ha viaggiato curioso dall’Iran alla penisola arabica, dalla Giordania al Maghreb, dal Libano ai territori tirchi, lavorando a lungo in Grecia ed in Egitto.
Esperto di politiche migratorie, ha lavorato per Caritas Italiana.
Oggi è Assesore al Welfare, Europa e Smart City della sua Città, Faenza.

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