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Tradizionalmente la settimana in Israele inizia la domenica, dopo lo Shabbat, il giorno di riposo ebraico.
Il prossimo lunedì 2 marzo, però, nella Stato della stella di David, potrebbe iniziare una nuova settimana politica.
I cittadini israeliani, infatti, sono nuovamente chiamati alle urne per eleggere i 120 rappresentanti del parlamento monocamerale, la Knesset.
Nuovamente perché nell’ultimo anno gli elettori sono hanno già espresso il proprio voto per le stesse finalità.
Sia la tornata di aprile, sia quella di settembre, non hanno però espresso una maggioranza tale da consentire un accordo di governo.
Sul ring della contesa i principali sfidanti sono per la terza volta Binyamin Gantz e Benjamin Netanyahu.
Gantz, come altri celebri politici israeliani, è sceso nell’arena elettorale dopo aver dismesso la divisa militare.
Ha partecipato sia alla guerra del Libano del 1982 sia alla prima ed alla seconda intifada, arrivando a fine carriera a ricoprire il ruolo di Capo di Stato maggiore delle forze di difesa israeliane.
Esperienze che gli conferiscono una tempra rara e l’autorevolezza necessaria per fondare, nel 2018, il partito Israel Resilience, confluito appunto un anno dopo nell’alleanza Blu e Bianco, di stampo liberale e centrista.
Netanyahu, Primo Ministro uscente, e già recordman di longevità come premier, è in cerca del quinto mandato alla guida del suo paese.
Leader del partito Likud, è stato recentemente incriminato per tre diversi capi di accusa, frode, abuso d’ufficio e corruzione, e la sua possibile rielezione alla guida del governo gli offrirebbe una insperata exit strategy da alcune delle sue tribolazioni giudiziarie.
Uno stallo così lungo non aveva precedenti negli oltre 71 anni di storia dello Stato di Israele, che di fatto naviga a vista da fine 2018.
Non sarebbe imprevedibile che anche la tornata di lunedì risulti inconcludente, e che, una volta sciolta nuovamente la Knesset, venga indetta una quarta elezione.
Si prospetta che ne Likud ne Blu Bianco riusciranno ad ottenere più di 35 seggi a testa, e il successivo lavoro di alleanze e accordi ha già mostrato di essere insufficiente per consentire la composizione di una maggioranza di almeno 61 seggi.
Al momento, quindi, un orizzonte certo sul futuro della politica interna israeliana appare offuscato.
A diradare la nebbia potrebbero non essere direttamente le urne, ma le aule di tribunale. A due settimane dal voto Benjamin Netanyahu dovrà affrontare la prima udienza dei suoi processi, chissà che a decretare un verdetto non arrivi prima un giudice che il voto.
Fonti:
Fonti
Nolfo, Ennio Di. Storia Delle Relazioni Internazionali: Dal 1918 Ai Giorni Nostri. Roma: GLF editori Laterza, 2013.
https://foreignpolicy.com/2011/01/20/the-gulf-war-in-retrospect/
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