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Nella dichiarazione si legge: “Il Dipartimento designa pubblicamente Paul Makonda…a causa del suo coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la flagrante negazione del diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà o alla sicurezza delle persone”. Inoltre, nella nota, viene espressa la crescente preoccupazione della comunità internazionale per la situazione dei diritti umani in Tanzania che versano in una situazione di “grave deterioramento”.
Makonda è membro del partito al potere, Chama Cha Mapinduzi (CCM), e particolarmente vicino al Presidente John Magufuli, in carica dal 2015.
Sotto la presidenza di Magufuli, la Tanzania ha avviato una campagna di repressione contro le comunità LGBT, campagna, in cui Makonda ha avuto un ruolo particolarmente attivo. Lo stesso Presidente nel 2017, in una dichiarazione che aveva indignato la comunità internazionale, aveva affermato: “Persino le vacche deplorano l’omosessualità”.
In questi anni le autorità hanno sospeso il CHESA, un importante centro che lavorava per l’informazione e il sostegno alla salute, con l’accusa di promuovere campagne a favore dell’omosessualità. La polizia, inoltre, ha fatto irruzione durante alcuni seminari sulla salute e sui diritti umani per le minoranze sessuali e di genere, arrestando i partecipanti. Persone “sospettate” di essere gay sono state fermate arbitrariamente e sottoposte agli esami anali forzati, pratica più volte denunciata dalle Nazione Unite.
In Tanzania l’omosessualità è considerata un reato perseguibile con pene particolarmente severe.
La sezione 154 del Codice Penale del 1945 (integrato dalla “Legge sulle disposizioni speciali dei reati sessuali” del 1998) disciplina i reati sessuali “non naturali” definendoli come quell’atto commesso da «Qualsiasi persona che ha una conoscenza carnale con un’altra persona contro l’ordine della natura» prevedendo la reclusione «…a vita e in ogni caso per un periodo non inferiore a trent’anni».
Inoltre una persona è perseguibile anche in caso di “tentativo” di commettere reati “sessuali non naturali” con una pena non inferiore a vent’anni di reclusione (Sezione 155).
Proprio con riferimento a questa legislazione particolarmente severa, nel 2018, il Parlamento europeo ha adottato una proposta di Risoluzione Comune che invita le autorità tanzaniane a modificare tutte le disposizioni restrittive e a sostituirle con una normativa in grado di che garantire la libertà di espressione, e il rispetto dei diritti umani.
Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, inoltre, nell’interpretazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato anche dalla Tanzania, ha affermato che gli arresti basati sull’orientamento sessuale violano il diritto alla privacy. Una violazione dello stesso tipo è stata riscontrata anche con riferimento al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, che tutela il diritto alla salute e vieta la discriminazione nell’accesso a tale diritto sulla base dell’orientamento sessuale.
Le pressioni della comunità internazionale, in cui si ascrive anche la decisione di Washigton, tuttavia possono solo riuscire nel tentativo di spingere il Paese verso una depenalizzazione dell’omosessualità formale. Che tali pressioni, siano in grado di svolgere un ruolo decisivo anche sul piano materiale nella garanzia del rispetto dei diritti, resta un’ipotesi abbastanza distante.
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