IL BIVIO IN CUI SI TROVA IL GAMBIA

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La polizia nei giorni precedenti ha arrestato 137 persone, e più di 20 sarebbero rimaste ferite in seguito alle proteste che chiedono le dimissioni del Presidente Adama Barrow.

Il portavoce del Governo, Ebrima Sankareh, ha giustificato l’intervento delle forze dell’ordine dichiarando che i manifestanti hanno preso d’assalto la polizia mentre urlavano slogan contro il Presidente. Inoltre avrebbero bloccato le strade e causato diversi incendi in segno di protesta. Oltre agli arresti sono state sospese due stazioni radio, Home Digital Fm e King Fm, accusate di incitamento all’odio e di diffondere messaggi antigovernativi.

Sankareh ha aggiunto che tra i feriti ci sarebbero anche 7 agenti di polizia e che tra i manifestanti fossero presenti anche membri del gruppo Three Years Jotna definendolo “un movimento sovversivo, violento e illegale”.

Three Years Jotna è un movimento di liberazione presente in Gambia che già nei mesi precedenti aveva chiesto al Presidente di rispettare la promessa di dimettersi dopo tre anni. Impegno che, secondo Barrow, è duramente osteggiato da due partiti della coalizione di maggioranza.

In realtà la questione gambiana è abbastanza controversa e di difficile interpretazione.

Adama Barrow era salito al potere nel gennaio del 2017, dopo aver ottenuto alle elezioni presidenziali il 43,30% dei voti, contro il 39,60% dell’ex presidente Yahya Jammeh, al potere dal 1994. Il risultato elettorale viene inizialmente contestato dal suo antagonista che sostiene la presenza di gravi anomalie. Nonostante le proteste, poche settimane dopo, Jammeh, sotto le pressioni dell’Unione Africana, sarà costretto a riconoscere Barrow come Presidente e a lasciare il Gambia. Adama Barrow, una volta al potere propone di rinnovare il patto con gli elettori tenendo nuove elezioni alla fine del 2020 e di impegnarsi per un maggiore rispetto verso i diritti umani.

Promesse in parte sottese.

Osservando i dati di Freedom House infatti il Gambia è passato da un punteggio di 18/100 (Not Free) del 2016, al punteggio di 45/100 (Partly Free) del 2019. C’è un segnale di miglioramento per quanto riguarda la libertà di espressione e di riunione ma restano ancora molte le violazioni dei diritti umani: lo stato di diritto non è consolidato e sono ancora molte le discriminazioni subite dalle donne e dalle comunità LGBT.

A distanza di tre anni, ancora una volta, il Gambia si trova quindi di fronte a un bivio. Da un lato c’è il malcontento verso le promesse disattese del nuovo Presidente in un contesto politico-istituzionale incerto. Ricordiamo, tra l’altro, che la Costituzione prevede la durata di cinque anni per la carica presidenziale ma senza vincolo di mandato.

Le dimissioni di Barrow se da un lato potrebbero rappresentare un segnale forte ai fini dell’instaurazione di un rapporto di fiducia tra la popolazione e la classe politica, dall’altro potrebbe lasciare il Gambia in una situazione di pericolosa instabilità. Inoltre l’influenza di Jammeh è ancora forte nel Paese e in una recente dichiarazione ha sostenuto di voler tornare in Gambia. L’atmosfera di crescente tensione potrebbe diventare quindi un terreno fertile per l’ex Presidente e i suoi sostenitori. Il rischio è quello di tornare al punto di partenza azzerando gli obiettivi raggiunti.

 

 

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Cari lettori, ho il piacere di presentarmi, sono Giusy Monforte, analista dell’Istituto Analisi Relazioni Internazionali (IARI).
La mia passione per la geopolitica è iniziata a Catania, dove mi sono laureata in Politica e Relazioni internazionali. Successivamente mi sono spostata a Napoli, città che mi ha letteralmente incantata per la sua capacità di restare fedele alle sue radici identitarie pur guardando verso l’Europa. A Napoli ho conseguito una laurea magistrale in Studi Internazionali presso “L’Orientale”, dedicando particolare attenzione al mondo arabo e al diritto islamico, con il fine di inquadrare quest'ultimo nelle scienze giuspubblicistiche. Dopo la laurea ho continuato i miei studi e non ho mai smesso di scrivere: ho collaborato con diverse riviste di geopolitica.
Ho avuto la fortuna di salire a bordo di questo Think Tank sin dall’inizio riuscendo, in questo modo, a dare il mio contributo dalle sue prime manovre e a crescere professionalmente insieme ad esso. Allo IARI mi occupo soprattutto di temi afferenti al costituzionalismo in Africa e negli Stati a maggioranza musulmana.
La mia curiosità verso il mondo si riversa probabilmente anche nelle altre attività.
Dedico il resto del mio tempo alla ricerca delle scoperte musicali e vado spesso ai Festival che ti permettono di spaziare dal dreampop alla Jazztronica, senza sembrare una persona confusa, e a condividere, contemporaneamente, la passione per la musica con persone provenienti da tutto il mondo. Amo viaggiare, oltre che fisicamente, anche attraverso il cinema: seguo con particolare interesse il cinema iraniano e coreano, ma confesso che il mio cuore appartiene al canadese Xavier Dolan.
La parola che odio di più è etnocentrismo: spesso si ignora che non esiste solo una prospettiva e che la realtà ha diverse facce se imparassimo a guardarla con gli occhi degli altri.
La mia parola preferita, invece, è prònoia: perché l’universo può giocare anche a nostro favore ma a volte lo dimentichiamo

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