Il 16 dicembre lo Stato d’Israele ha firmato i permessi per il trasferimento di gas naturale dai giacimenti di Leviathan e Tamar all’Egitto. Due sono i traguardi raggiunti attraverso questa manovra: anzitutto, Israele diviene esportatore di gas naturale grazie all’enorme estensione dei giacimenti al largo delle sue coste (e sui quali vi sono ancora contenziosi ed attriti) e, in seconda istanza, arriva a stringere una cooperazione di tipo strutturale (e dunque lega a sé ) con un “nemico naturale”, prima del 1979 con gli Accordi di Camp David.
La cooperazione di questi due paesi, accanto agli accordi fra Turchia e Libia, segna il corso di un futuro geopolitico ancora più incerto nel Mediterraneo orientale. La Palestina, terra di mezzo fra Egitto e Israele, gode del supporto incondizionato di Erdoğan, il quale al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione islamica ad Istanbul ha denunciato la complicità nei confronti di Israele da parte dei paesi occidentali e di alcuni paesi islamici.
Il riferimento all’Egitto non avrebbe potuto essere più palese. Al-Sisi vive ai bordi delle cooperazioni di stampo islamico. È dalla criminalizzazione dei Fratelli musulmani, finanziati e ben voluti da Ankara e Doha, fino a toccare le corde sensibilissime della situazione a Gaza, per la quale il Cairo ha mediato in maniera mirabilmente diplomatica, salvando capra e cavoli: per imbonirsi Israele e marginalizzare ancor di più i Fratelli musulmani, il regime ha guardato con sospetto Hamas, senza però negare la resistenza palestinese. Alcuni analisti vedono, dietro le recenti posizioni del Cairo e di Tel Aviv, un piano per la spartizione delle terre palestinesi. Una dietrologia che potrebbe avere la sua ragion d’essere.
Ciò detto, è altresì vero che Al-Sisi non supporta minimamente il GNA in Libia, capeggiato da Al-Serraj, ma che anzi abbia sedotto la Camera dei Rappresentanti di Tobruk, di cui due vertici molto importanti si sono tenuti proprio al Cairo, e che patteggi apertamente per il generale Haftar. La frattura in questa parte del Mediterraneo sta divenendo sempre più profonda: con la sempre maggiore polarizzazione fra Turchia e Libia da un lato, ed Egitto e Israele dall’altro, non è da escludere del tutto un possibile intervento armato (seppur minimo), il cui terreno di scontro sarà la Libia. Israele, ancora una volta, gioca bene le sue carte: dividi et impera.
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