È difficile immaginare un futuro in cui non si utilizza la tecnologia “blockchain”. Questa catena di blocchi “open source” – ossia una sorta di archivio che conserva registrazioni di transazioni e le rende immodificabili- è un utile strumento per garantire la trasparenza delle operazioni commerciali. Da qualche tempo, la blockchain ha un utilizzo in più: garantire la tracciabilità del cobalto, bloccando il “cobalto sporco” proveniente da alcune miniere della Repubblica democratica del Congo.
Il cobalto, infatti, rappresenta una parte essenziale dell’economia del Paese: più del 60% della produzione mondiale proviene proprio dalla RdC, dalla provincia di Lualaba, da anni sulla bocca della comunità internazionale per i dubbiosi metodi di estrazione, specialmente nelle prolifiche miniere di Kalwesi, dove minori( a volte i bambini non raggiungono nemmeno i sette anni), vengono impiegati al fine di intrufolarsi negli strettissimi cunicoli delle gallerie, rischiando gravi malattie polmonari ed infortuni.
L’utilizzo della tecnologia blockchain per garantire il filtraggio della materia prima e arginare l’ingresso nella complicata e oscura filiera di materiale prodotto nel mancato rispetto del diritto del lavoro e più in generale dei diritti umani, sarebbe uno strumento utilissimo. Una battaglia che hanno preso a cuore anche molte case automobilistiche, impegnate nella corsa all’auto elettrica: la Volvo, ad esempio, ha dichiarato, così come la Ford all’inizio dell’anno, che a partire dal 2020 utilizzerà la blockchain per tracciare il cobalto utilizzato nelle batterie. Sarebbe importante che una simile scelta fosse condivisa anche dalle principali case produttrici di tecnologie come Samsung o Apple, che utilizzano una grandissima quantità di cobalto per gli schermi o le piccole parti di pc o smartphone. In questo modo, i colossi industriali potrebbero avere una leva efficace per promuovere un miglioramento delle condizioni generali delle condizioni di lavoro in miniera, com’è già successo nel caso dei diamanti di sangue.
È però indicativo di una nuova sensibilità rispetto al fenomeno, che in Africa stiano sorgendo una quantità di start-up a livello locale che si occupano proprio di sviluppo e utilizzo di blockchain nelle principali filiere produttive. C’è una nuova volontà di trasparenza nel territorio, e la blockchain sembra lo strumento giusto per ottenere dei grandi risultati.
[/et_pb_text][et_pb_image src=”https://iari.site/wp-content/uploads/2019/12/1.jpg” admin_label=”banner dossier” _builder_version=”3.24.1″ locked=”off”][/et_pb_image][/et_pb_column][/et_pb_row][/et_pb_section]