Molti osservatori pensavano che il processo di impeachment ai danni di Donald Trump avrebbe potuto indebolirlo a livello internazionale; tuttavia ciò non sta avvenendo, anzi il Presidente americano non intende indietreggiare di un centimetro sulle dispute commerciali poste in essere nel suo primo triennio di presidenza. A Trump interessa soprattutto che si affermi un principio universale: “le guerre commerciali finiscono, gli accordi vengono raggiunti se, quando, come voglio io”.
Poi non importa se sarà veramente così, ma nel frattempo agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il Presidente americano acquista forza negoziale; mentre, al contrario, emerge la debolezza delle controparti. Le principali dispute su cui ruota l’agenda commerciale americana sono naturalmente i rapporti con la Cina, le importazioni di acciaio e alluminio, nonché le minacce di ritorsione contro eventuali web tax, che colpirebbero i colossi dell’hi-tech statunitensi.
Rispetto alla guerra commerciale con la Cina, Trump ha recentemente dichiarato l’impossibilità di un accordo commerciale entro l’anno- anche se Bloomberg riferisce di un principio d’intesa tra le parti per evitare nuovi dazi americani, che dovrebbero scattare il 15 dicembre.
Mentre i dazi su acciaio e alluminio straniero procedono, giustificati dal “Trade Expansion act” del 1962, in base a cui le importazioni massicce di tali prodotti potrebbero rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale statunitense. Dopo la conferma dei dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio- che hanno colpito perlopiù il mercato europeo-, il Presidente Trump ha preso di mira Argentina e Brasile, originariamente esentati dalle misure tariffarie. Il Presidente ha annunciato imminenti sanzioni contro le importazioni di acciaio ed alluminio dai due Paesi sudamericani, perché, a suo avviso, le loro banche centrali manipolerebbero le loro valute, svalutandole per aumentare il volume delle esportazioni.
Inoltre, alla vigilia del summit NATO britannico, Trump ha nuovamente tuonato contro il Presidente francese Macron, per via di quella web tax del 3% sui redditi generati dalle imprese hi tech, tra le quali i giganti della Silicon Valley Google, Facebook, Amazon e Apple. Il Presidente americano, per dissuadere la controparte francese ad andare fino in fondo, ha caldeggiato la possibilità di colpire con dazi del 100% vini e formaggi francesi. Anche il Governo italiano è avvertito, dato che il sottosegretario all’economia, Misiani, ha recentemente confermato la presenza di una digital tax nella prossima legge di bilancio.
Si parla, al momento, di eventualità, ritorsioni, minacce; nulla di definitivo, insomma. Rimane quel principio universale di cui sopra: spetta a Trump decidere se, come e quando agire.
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