Non è un caso che le battaglie in nome della pace e della sicurezza internazionale si combattano spesso in aree ricche materie prime. Se inizialmente il gioco di forze fra oriente e occidente, si era concentrato sulla Siria, adesso è l’Africa a profilarsi come nuovo terreno di guerra.
Il Niger rientra fra le nazioni africane con la più alta presenza di militari stranieri, provenienti da Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Canada, con la funzione di garantire la sicurezza della nazione e allo stesso tempo di addestrare le forze armate locali: il Niger non è soltanto minacciato dalla presenza di gruppi terroristici jihadisti, ma confina anche con territori a loro volta fortemente instabili (Burkina Faso, Mali, Nigeria, Libia).

La regione del Sahel, di cui il paese fa parte, è uno dei territori più poveri del pianeta, attraversato da ripetute crisi alimentari: una condizione che favorisce inasprimento di conflitti, l’aumento della criminalità, alti livelli di corruzione e una debole presenza dello Stato come garante della giustizia sociale.
L’interessamento per le risorse presenti nel sottosuolo dei territori africani è il risultato della lunga esplorazione geologica, condotta dalle allora potenze coloniali europee del XIX secolo.
Il governo francese era giunto alla conclusione che il Sahara fosse geologicamente paragonabile al Canada o alla Siberia in materia di ricchezza di idrocarburi, di carbone e di ferro. Preservare il controllo di questi territori era dunque diventato di estrema importanza per la Francia. Dinanzi all’indipendenza di Algeria, Mali, Niger e Ciad, negli anni 60, la strategia di Parigi fu quella di creare l’Organizzazione Comune delle regioni sahariane: la funzione dichiarata era quella di preservare l’unità dei territori del Sahara per favorire uno sviluppo economico omogeneo, ma si trattava in realtà di una strategia per poter esercitare una funzione di controllo su questa zona.
Fra i territori africani, il Niger suscita un particolare interesse per la Francia, in seguito ad un’esplorazione mineraria nel 1950, che rileva la presenza di Uranio nella regione di Agadez.

Dopo un’esplorazione più ampia del territorio, gli interessi di Parigi per il Niger crescono sempre di più. I giacimenti di uranio presenti sono infatti una fonte indispensabile per l’Esagono, il quale aveva avviato negli anni 60 un programma atomico civile: si tratta di un minerale fondamentale per poter alimentare l’energia nucleare e di conseguenza, per la produzione di elettricità.
Da 50 anni le miniere di uranio del Niger vengono sfruttate da Orano, la grande multinazionale francese dell’energia nucleare, che fino al 2017 prendeva il nome di Areva. Ma a quale prezzo per l’ex colonia francese? Alle difficili condizioni territoriali e le instabilità politiche interne, si aggiungono anche le politiche neocoloniali del governo francese, spesso connotate sotto il nome di Françafrique, le quali hanno ostacolato la crescita economica del paese. Non c’è dunque da sorprendersi se, nonostante il Niger, figuri come quarto paese esportatore di uranio, risulti allo stesso tempo una delle nazioni più povere del pianeta.
Attraverso l’accordo di cooperazione del 24 aprile 1961 con la repubblica del Niger, il governo francese riesce ad assicurarsi una via d’accesso sicura alle risorse d’uranio nazionali: nonostante l’indipendenza raggiunta nell’anno precedente, il Niger restava un paese economicamente arretrato, privo di infrastrutture e un progetto di cooperazione con Parigi, avrebbe potuto rappresentare un’ottima opportunità di sviluppo.

Tuttavia le convenzioni firmate negli anni seguenti per il funzionamento delle miniere d’uranio Somaïr e Cominak (due filiali di Orano), non presentano alcune obbligazioni da parte delle compagnie, in ambito d’ investimenti per lo sviluppo economico regionale e locale, alla protezione ambientale, così come in materia di rischi legati alla radioattività dei residui di uranio, che comprometterebbero la salute della popolazione locale. L’allora presidente della Repubblica, Diori Hamani, chiese al governo francese nel 1972 di ricontrattare i prezzi dell’uranio, per ottenere un aumento che avrebbe portato maggiore profitto al suo paese.
Dinanzi ad uno scenario caratterizzato dalla crisi petrolifera del 1973 e ad un possibile aumento del costo del progetto di sfruttamento delle miniere in Nigeria, la delegazione francese rifiutò la proposta del presidente Hamani. Le instabilità interne del paese, giocarono in questo caso a favore di Parigi, quando il generale Seyni Kountché, a capo di un’armata, destituì il governo di Hamani attraverso un colpo di stato.
Col governo di Kountché la nazione conobbe un periodo di sviluppo economico, caratterizzato dal boom dell’uranio. L’impennata dei prezzi del petrolio portarono la Francia e altri paesi ad impiegare sempre di più sul nucleare. Il periodo di crescita non durerà a lungo: con la caduta dell’Unione Sovietica, molti paesi dell’est, iniziarono ad esportare uranio ad un prezzo inferiore, portando in recessione l’economia del Niger a partire dal 1983.
Gli anni seguenti saranno caratterizzati da un progressivo impoverimento del paese che porterà alla nascita di diversi tumulti e instabilità interne, le quali vedono sempre la questione dell’uranio al centro delle dinamiche.
Le esportazioni del minerale non hanno portato ad alcuna crescita economica per il paese: la causa è attribuita nella maggior parte dei casi agli accordi svantaggiosi che il governo locale ha firmato con le compagnie minerarie. Attualmente le risorse di uranio in Niger si stanno esaurendo e il direttore di Orano, Philippe Knoche, ha annunciato la chiusura del sito di Cominak entro il 2021.
Il Niger eredita dopo tanti anni di sfruttamento delle proprie miniere soltanto rifiuti e acque contaminate dalla radioattività, con gravi danni sulla salute degli abitanti (come molte ONG locali hanno denunciato in questi anni). Se finora la Francia aveva detenuto il monopolio economico e culturale nelle sue ex colonie del Sahel, dal 2011 la Cina irrompe sempre di più nelle economie di queste nazioni, attraverso cospicui finanziamenti per progetti di larga scala.
Nel 2018 il governo nigerino ha approvato un grande progetto di una società scientifica cinese, per una nuova esplorazione alla ricerca di uranio.
La Francia resta tuttavia militarmente presente nel Sahel attraverso l’operazione Barkhane, iniziata nel 2014. Lo scoppio della guerra civile siriana ha rappresentato per l’Esagono una dura sconfitta, poiché ha segnato la fine delle relazioni fra Parigi e Damasco.

Dinanzi ad una nuova eventualità che le instabilità interne possano segnare la fine dei rapporti con le ex colonie africane, che da sempre rappresentano per Parigi dei territori strategici, il presidente Macron punta al successo dell’operazione Barkhane, anche col sostegno militare da parte di Germania e Italia. Appare evidente che l’insolito intervenzionismo europeo nel Sahel abbia come obiettivo quello di scongiurare una nuova crisi migratoria: la guerra libica, così come quella siriana hanno mostrato come l’Europa non sia in grado, principalmente per ragioni geografiche, di poter assumere una politica isolazionista.
Tuttavia la presenza militare degli alleati europei, così come quella di Stati Uniti e Cina potrebbe rappresentare per la Francia la fine dei suoi rapporti esclusivi con le sue ex colonie africane.
Bibliografia:
Emmanuel Grégoire – Niger: un État à forte teneur en uranium – URL: https://www.cairn.info/revue-herodote-2011-3-page-206.htm
https://www.africaradio.com/news/niger-arret-de-la-cominak-filiale-d-orano-en-mars-2021-158758